Assemblea nazionale Fiom-Cgil area Ict

Roma 22 novembre2004

Sintesi della relazione introduttiva di Francesca Re David

La Fiom propone l’apertura di una vertenza di settore

 

“Le condizioni di crisi in cui versa tutta la filiera metalmeccanica dell’Ict (dalle installazioni alla produzione e ricerca, fino all’informatica) sono di per sé disastrose per gli effetti sull’occupazione che producono nel settore e insieme sintomo del degrado in cui versa il sistema industriale, i servizi avanzati, la qualità della Pubblica amministrazione e delle infrastrutture di questo paese. Stiamo parlando infatti delle lavoratrici e dei lavoratori, delle aziende fornitrici di innovazione. La cultura e la pratica del massimo ribasso applicata a queste aree segna il modello di sviluppo scelto per l’intero paese.”

Così ha affermato Francesca Re David, segretaria nazionale Fiom-Cgil, nella relazione introduttiva all’Assemblea nazionale delle delegate e dei delegati Fiom dell’area Ict che si è tenuta il 22 novembre a Roma, che ha visto la partecipazione di oltre 200 lavoratori.

“Ora tutti parlano – dalla Confindustria, ai centri di ricerca, all’authority sulle telecomunicazioni fino allo stesso governo – degli effetti disastrosi prodotti dalle scelte compiute negli ultimi dieci anni. L’analisi è molto simile a quanto noi da tempo denunciamo, la cosa più incredibile però è che se ne parla come se fossero fatti oggettivi, mentre invece le responsabilità sono precise, e nascono dalle modalità con cui si è proceduto alla privatizzazione di Telecom e alla fine delle Partecipazioni statali, alla riorganizzazione e ai processi di esternalizzazione delle grandi multinazionali del settore, al mancato investimento e sostegno all’innovazione nella macchina pubblica e nel sistema industriale.”

“Da poco l’Enea ha reso pubblici i risultati di una ricerca, dove si afferma che l’Italia ha dimenticato come si fa tecnologia, non perché non si facciano investimenti o se ne facciano pochi – le imprese italiane che investono sulla ‘fascia bassa’ sono sugli stessi livelli degli altri paesi – ma perché investono solo su prodotti di scarso valore aggiunto, restando invece assenti dai settori delle telecomunicazioni, dell’elettronica di consumo e delle macchine da ufficio. Anche uno studio della Fondazione Rosselli afferma che l’Italia è terzultima (dietro a lei solo Portogallo e Spagna) per la produzione di innovazione: dopo la scomparsa dal mercato di Olivetti la capacità di produzione informatica si è esaurita, e nessun altro soggetto è stato in grado di sostituirla.”

“Ma non si tratta solamente di un problema di mancanza di produzione, la tecnologia non viene nemmeno acquistata. Nei giorni scorsi, alla riunione di Confindustria a Parma, è stato detto che dell’innovazione si deve fare una scelta strategica, perché senza un rilancio del settore non è possibile reggere la concorrenza basata solo sui costi, adesso che i paesi dell’Est sono entrati a far parte dell’Unione europea.”

“Se la mancanza di innovazione di questi ultimi anni è diventato l’elemento principale di discussione per il rilancio industriale del paese – ha sottolineato Re David – i problemi immediati da affrontare sono quelli prodotti dalla privatizzazione di Telecom, dalla mancanza di produzione hardware e software in Italia, dalla fine delle Partecipazioni statali nelle imprese produttive e dalla riorganizzazione delle multinazionali – Siemens, Alcatel, Italtel ed Ericsson, per citarne alcune.”

“Prendendo in esame la vicenda Telecom, l’azienda è di fatto un monopolio privato per quanto riguarda la rete di telefonia fissa, e ha utilizzato questo privilegio per determinare le scelte di investimento di tutto il paese, condizionando i bilanci delle altre aziende che gravitano attorno alle sue decisioni. E accade che gli investimenti si facciano laddove è più conveniente dal punto di vista economico, piuttosto che guardare ai bisogni dei singoli territori. La politica dei costi è diventata la politica di riferimento più accreditata di Telecom, e le gare al ribasso hanno determinato una riorganizzazione complessiva delle imprese, selezionate in base alla loro capacità di contenere i costi, con un sistema di appalti e subappalti che ha portato a un incremento del lavoro nero per rientrare nei budget di spesa. Adesso è necessario riconoscere il fallimento di questa politica al ribasso, e investire invece su innovazione e ricerca. Bisogna restituire al settore delle telecomunicazioni la funzione ‘pubblica’, garantendo un volume di investimenti adeguato e definendo un limite massimo alla pratica del subappalto.”

“La vicenda di Tecnosistemi è emblematica per rappresentare il disastro del settore delle installazioni: su 1.500 dipendenti solo un terzo pare che continuerà la produzione, ai rimanenti sono stati cancellati i diritti come lavoratori, perfino con la messa in discussione di un reddito decente che li ‘accompagni’ all’uscita dal ciclo produttivo. Questa azienda – con la sua ‘finanza avventuristica’ – è l’esempio dell’inadeguatezza di un sistema che massimalizza gli ammortizzatori sociali, simbolo della crisi di questo settore.”

Ancora, “Finmek e Oli.it rappresentano il simbolo della crisi nel settore della produzione, ormai contrassegnato in larghissima misura dal contract manufacturing, il lavoro conto terzi; il tavolo di discussione per la risoluzione di questi problemi deve partire dall’assunzione di capacità di investimento nel sistema e dalla messa in campo di strumenti finanziari in grado di preservare nell’immediato la struttura industriale”.

“La forte crisi diventa dramma nei cosiddetti poli elettronici – L’Aquila, Caserta e altre aree del Centro-Sud – dove l’intervento pubblico aveva radicato nel territorio grandi aziende a partecipazione statale, ma che oggi, per i processi di esternalizzazione che hanno rotto la connessione tra produzione e ricerca, non danno alcuna certezza per il mantenimento delle attività. Alcatel ed Ericsson hanno tagliato occupazione per garantire la capacità di essere concorrenziali, ma sembra non esistere una responsabilità sociale per queste aziende che mettono a rischio la propria presenza, licenziando migliaia di lavoratori e con processi di esternalizzazione rischiosissimi.”

“Per la Fiom gli obiettivi sono il mantenimento della produzione di qualità e il mantenimento della ricerca, da portare davanti al tavolo di discussione di settore, per articolare e riorganizzare tutta l’area: salvarla, con provvedimenti immediati, e successivamente pensare alla ricostruzione, con strumenti finanziari adeguati, coinvolgendo gruppi affidabili, in grado di garantire lo sviluppo e la ricerca, con un controllo pubblico di questi processi.”

“Il settore dell’informatica non è da meno, anche qui c’è il rischio di chiusura per molte aziende perché è stata attuata la medesima politica, basata sui bassi costi, sulle gare al ribasso per garantire le commesse per la Pubblica amministrazione, con l’utilizzo di contratti di collaborazione, ma il mercato non si può basare solo sui costi, senza pensare all’innovazione, alla ricerca, alla internazionalizzazione, cioè al penetramento del mercato internazionale.”

Francesca Re David ha concluso la sua relazione ribadendo la necessità di aprire una “vera” vertenza del settore, generale e allo stesso tempo articolata, in grado cioè di coinvolgere l’intero settore, e affrontando la risoluzione di tutti i problemi concreti, riconoscendo la qualità e il valore del lavoro e rifiutando la logica della concorrenza come unica logica di mercato.