Riunione
del Coordinamento nazionale Fiom Relazione di Rosa RinaldiI processi di ristrutturazione dell’industria informatica di questa fase ci segnalano: 1) assenza di una politica industriale del settore da parte dei diversi soggetti –associazioni industriali, governo, sindacato. 2) Aziende che non tengono sul mercato (piccole, medio-piccole). Da qui la necessità di socializzare nella Fiom un tentativo di analisi intorno alle caratteristiche di questi processi. È evidente che senza un intervento di politica industriale attiva nel settore, la deriva già presente in molte imprese di trasformarsi in “filiali commerciali” di gruppi multinazionali, e la discesa nella catena del valore dell’informatica, rischia di essere inarrestabile. La prima domanda che pongo è: questa prima, asciutta considerazione, è un processo che possiamo definire generale? Oppure no? Ed eventualmente quali sono i segmenti, le aree e i territori in cui il fenomeno è altro da questo? Per esempio: Data Mat, Engineering, List di Pisa – aziende che pare vadano molto bene – sono un’anomalia, un’eccezione in questo campo? Bisognerebbe , insomma, indagare su quali siano le aree in crisi e comprenderne le ragioni. A noi capita di incontrare le aziende soprattutto quando dichiarano la crisi, registrando che le ragioni della crisi e i piani industriali approntati dalle aziende per le procedure di cassa integrazione o di mobilità sembrano fatti a matrice; e il ruolo sindacale che esprimiamo è, quando ci riesce, il raggiungimento di accordi che limitano il danno. Accordi che, se non inquadrati in una dimensione politica di analisi del settore, rischiano di rappresentare una sorta di atomizzazione dell’intervento sindacale al livello, esclusivamente, della singola azienda, senza alcuna relazione con il contesto e gli andamenti di settore. Secondo le stime, il 90% delle imprese italiane di information technology (It) ha meno di 5 addetti, mentre solo il 3% più di 50. Un sistema quasi polverizzato; infatti nelle graduatorie dei principali operatori It stilate da Databank Consulting e Data Manager risulta che assieme alle multinazionali statunitensi (Ibm in testa) nel nostro mercato ci sono presenze di importanti gruppi francesi e tedeschi, mentre, nessun gruppo o azienda italiana è presente nelle graduatorie degli altri paesi europei. È possibile che permanga una situazione di questo tipo? O piuttosto dovremmo individuare un’iniziativa di politica sindacale utile a ricondurre le aziende a essere fabbriche di software invece che filiali commerciali? Se costruiremo e condivideremo un’analisi sul settore, sarà necessario, per parte nostra, individuare politiche industriali per l’informatica e pretendere un confronto a partire dalle associazioni industriali. Altrimenti, se continua la fase depressiva si rischia la desertificazione e la colonizzazione industriale. Del resto per sviluppare e mantenere centri tecnologici, che alludano direttamente a un polo tecnologico, a un’industria dell’informatica, è necessario dotarsi di una massa critica di aggregati industriali per lo sviluppo di prodotti tecnologici con risorse nazionali, in grado di assumere i caratteri di veri e propri centri di eccellenza in grado di competere in Europa e con le multinazionali. Negli
ultimi mesi leggiamo sempre più insistentemente di operazioni di vendita e
fusione di grandi aziende, che danno vita anche a consorzi industriali, come ad
esempio la vicenda di It Telecom, con Hp, Elsag, o il consorzio
Telecom-Pirelli-Olivetti, (su questo mi soffermerò in maggior dettaglio più
avanti). In questo quadro il ruolo e la funzione dei gestori telefonici è quello di indirizzare le risorse finanziarie e rappresentano, anche, la tecnologia che serve. L’iniziativa dei gestori telefonici è finalizzata soprattutto alla realizzazione di maggiori profitti, mentre si registra un sostanziale disimpegno verso investimenti per ricerca e sviluppo, tant’è che la tecnologia che serve viene acquistata sul mercato. Purtroppo non si registra nessuna sfida tra i gestori telefonici su sviluppo e ricerca, anzi ciò che è sempre più evidente è il quadro di rallentamento degli investimenti, mentre è altrettanto evidente che un progetto su alcune grandi imprese produrrebbe un indotto interessante sia sul versante della dimensione industriale che su quello occupazionale. “Schema
di analisi”o “ analisi schematica” 1) Punti di crisi: a) la qualità è determinata dal mercato; b) come far fronte alla riduzione dei profitti; c) punti di eccellenza (es. List). 2) Possibilità di individuare aggregazione di imprese che ruoti su un progetto industriale forte: a) centri di competenza tecnologica; b)
grandi gestori telefonici investono nello sviluppo del software per
l’evoluzione delle reti. Nel rapporto tra a) e b) i gestori telefonici diventano generatori di mercato, tecnologie, risorse finanziarie. La capacità
di innovazione della Pubblica amministrazione, che passa dalla carta alla
procedura, rappresenta un mercato elevatissimo; ma questo da solo può dare
concretezza a un’industria diffusa dell’informatica? Si è aperto il
“mercato” della Pubblica amministrazione sia centrale che decentrata,
mercato verso il quale tutte le aziende informatiche guardano, tanto è vero che
tutti i piani industriali presentati alle Organizzazioni sindacali prevedono
come mercato di sviluppo quello della Pubblica amministrazione, che certo ha una
sua vastità – si pensi ai comuni medio grandi, alle province e a tutte le
strutture sanitarie ecc. – però è altrettanto vero che anche l’ultima
Finanziaria non prevede investimenti per l’innovazione, ma anzi tagli verso le
Pubbliche amministrazioni locali. Anche la politica degli appalti pubblici, che
vede i grandi enti appaltanti attivare gare al massimo ribasso, senza prevedere
le garanzie, anche minime, stabilite dai contratti collettivi nazionali di
lavoro, vede una competizione sfrenata da parte delle aziende, che continua
anche dopo le aggiudicazioni delle commesse attraverso i ricorsi per vizi di
procedura o quant’altro, determinando per le aziende incertezze sui loro piani
di sviluppo e di attività, e per l’occupazione una precarizzazione nella
prospettiva sia di mantenimento del posto di lavoro, che di adeguatezza dei
profili professionali al nuovo prodotto. Questa situazione porterà, ed è già
così, le aziende a fare veri e propri accordi di cartello per
l’aggiudicazione delle gare. Viene
sempre meno la volontà di sviluppare prodotti e soluzioni applicative alla
necessità dei clienti, diventando per questa via sempre più filiali
commerciali di gruppi multinazionali, vale in particolare per l’informatica
applicata alle telecomunicazioni (Tlc). Contratto Si pone il problema di lanciare una sfida alle imprese sul progetto industriale e sui modelli organizzativi, come ad esempio, l'arretramento professionale, il tempo di lavoro, superamento della logica: riduzione dei costi/flessibilità. È necessario ampliare il confronto per sviluppare la contrattazione aziendale sull’innovazione. Queste caratteristiche, alla lunga, da un lato non qualificano l’occupazione né sotto il profilo qualitativo delle professionalità né sotto quello quantitativo; se è presto per parlare di emergenza occupazionale possiamo, però, osservare che il turn-over si sta abbassando a quote fisiologiche, e che processi di disoccupazione in questi settori sono già alle porte. Quindi, se si può affermare che a oggi non c’è, ancora, una emergenza occupazionale per quanto riguarda i grandi gruppi, non possiamo non rilevare che per quanto riguarda, invece, le aziende fornitrici di soluzioni per le grandi imprese, siamo di fronte a una vera e propria crisi, determinata dalla necessità, dichiarata dalle aziende, di tagliare i costi. Primi
strumenti Dare avvio al coordinamento di settore per: a) condividere un’analisi di settore; b) condividere le conoscenze; c) elaborazione condivisa di politiche di settore; d) nuovo equilibrio tra
nazionale, territorio e aziende che determinano i destini del
settore.
Gestori telefonici La
scelta metalmeccanica dopo la “liberalizzazione” del settore telefonico è
avvenuta in particolare perché il soggetto imprenditoriale nasceva dalla
riconversione dell’industria informatica. Infatti, Colaninno realizzava dalla dismissione delle aziende di hardware e software del mondo Olivetti il primo concorrente privato dell’industria telefonica pubblica. In cambio di una spiccata flessibilità che permettesse alle nuove aziende di comunicazione di allora, di affermarsi in un mercato in via di deregolamentazione, Confindustria e Confederazioni hanno attivato lo scorporo di intere aziende dalla categoria metalmeccanica. Forse, un po’ maliziosamente, potremmo dire che i possibili background di questa scelta sono stati anche i fattori legati all’organizzazione del lavoro e al suo costo, tant’è che nel 1999 leggevamo interviste e articoli che alludevano direttamente a una “alleanza” tra Telecom, tesa alla ricerca di risparmio e flessibilità, e la stessa Cgil, impegnata nell’intento di strappare iscritti e consenso alla Fiom, sindacato – si leggeva – con spiccato senso dell’autonomia. Così come, in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, del giugno 1999, la Uil, per bocca di Larizza, dichiarava che uno dei limiti di quella tornata contrattuale era la dimensione e l’articolazione della categoria, e Pier Paolo Baretta – firmatario dell’accordo delle Tlc – a chi gli chiedeva quali sarebbero stati i meccanismi che avrebbero convinto le aziende al cambio di contratto e categoria, esplicitamente spiegò che il punto di attrazione era costituito dalle diverse nuove convenienze previste nel testo contrattuale. E difatti le diversità normative e retributive tra metalmeccanici e Tlc rimangono, per non parlare di intere sacche di sfruttamento e precarietà che si insediano nei cosiddetti nuovi lavori, come i call-center. Telecom Nel
maggio del 2002 Telecom ha presentato un piano industriale che prevedeva la
divisione aziendale in due macro aree: Information technology mercato (Itm) e
Information technology group (Itg); successivamente è stata costituita una
nuova azienda – It Telecom – per l’informatica applicata al gruppo, e ciò
ha comportato il passaggio di due aziende, Net Siel e Telesoft, a Itt,
accompagnato dall’entusiasmo del Sindacato lavoratori comunicazione (Slc-Cgil)
che salutava, finalmente, l’informatica nel core
business di Telecom.
Noi non abbiamo condiviso quel piano industriale, né il passaggio di contratto,
comunque abbiamo difeso al meglio le condizioni in essere delle lavoratrici e
dei lavoratori in una difficile impresa di armonizzazione dei trattamenti;
accade però che, a distanza di poco più di un mese, la Itt appena costituita
decide di vendere ed esternalizzare l’informatica appena acquisita.
Qui si inserisce l’accordo strategico di outsourcing tra Telecom Italia e Hewlett-Packard, che stipulano un contratto di cinque anni di collaborazione tra area management service e outsourcing, del valore complessivo di 225 milioni di euro. HP fornirà le attività di asset management, help desk, manutenzione e gestione di 90.000 postazioni di lavoro avvalendosi di circa 600 specialisti di Itt, che confluiranno all’interno di una nuova entità HP specializzata in tali servizi. Itt ospiterà i sistemi e gestirà le attività operative di HP Italia in ambiente sap. L’accordo consente a Telecom di proseguire la strategia di focalizzazione sul proprio core business e consolidare competitività (riduzione dei costi It) e offre a Hp un servizio per l’outsourcing di sistemi sap. All’inizio
di quest’anno appaiono prime indiscrezioni giornalistiche circa il fatto che
Finsiel e altre aziende del gruppo non farebbero parte del core business
di Telecom e di contatti con possibili acquirenti (Engineering, HP, Accenture
ecc.); nel frattempo la cordata Finsiel-Ibm e altre vincono l’appalto della
Pubblica istruzione. È anche dentro questo quadro che vanno considerate le politiche generali di Telecom nei confronti di Information technology. Il piano industriale 2002-2004 è stato caratterizzato dall’emergenza organizzativa e dal taglio dei costi, ma rischia di non produrre sviluppi positivi se Itm, come di fatto accade, non è nel core business di Telecom. C'è il rischio di un’azione predatoria di Pirelli, che con Telecom acquisisce l’informatica Finsiel e vende parti pregiate, ristruttura e vende a pezzi quello che rimane, provocando la fine della principale industria nazionale nel settore It. In questo scenario, più che di smentite c’è bisogno di un confronto generale sul futuro dell’industria informatica nel paese, capace di creare sinergie e di competere sia a livello europeo che internazionale, e di garantire un’occupazione stabile e qualificata. Rumori
intorno a un polo industriale dell’informatica Quasi quotidianamente sulla stampa di settore compaiono notizie che alludono direttamente alla possibile costituzione di un polo italiano dell’informatica; soggetti presi a riferimento cambiano di volta in volta. Ultima di queste news, in ordine di tempo, è quella di un polo capitanato da Engineering con un nucleo di software house come Elsag di Finmeccanica, Finsiel e Enel.it: un polo da 1500 miliardi di euro capace di coprire un decimo del mercato del software e dei servizi informatici che viene stimato in 15.000 milioni di euro. Un polo, questo, che avrebbe una buona distribuzione territoriale e una sufficiente massa critica per competere anche all’estero. Le dimensioni, come affermavo prima, contano. Sembrerebbe che su questo progetto sia d’accordo il ministro Marzano e anche rappresentanti dell’opposizione nella Commissione industria. Non è chiaro cosa pensino Telecom e Finmeccanica relativamente alla vendita delle loro società di It, anzi su questo ci sono smentite; non ci sarebbe alcun interesse a vendere Finsiel, mentre su Elsag le notizie sono più possibiliste e il pretendente maggiormente accreditato è appunto Engineering, che mostra un vivo interesse anche verso Finsiel; inoltre tra i candidati interessati all’acquisto di Finsiel figurano (già da gennaio) HP e Accenture, due colossi dell’It, e anche il fondo americano Carlyle (che da Finmeccanica ha acquisito Fiat Avio), e che si candida anche ad acquisire Elsag. Questa
sorta di “risiko” tra le aziende del settore dimostra, a mio avviso, non già
una fase di progresso evolutivo dell’informatica, ma, semmai, incertezze e
confusione circa il destino industriale dell’informatica nel paese. È
a partire da questa considerazione finale che ci proponiamo come Fiom di avviare un lavoro di conoscenza , attraverso il
Coordinamento di settore, utile a determinare il contesto nel quale ci muoviamo,
nell’ambito, anche, delle politiche industriali messe a punto dalla Segreteria
nazionale. |