GAZA FREEDOM MARCH.

Che la Marcia per la libertà di Gaza continui....

di Alessandra Mecozzi

Di ritorno dal Cairo e dalla Gaza Freedom March (27 dicembre 2009 – 2 gennaio 2010)

 

1. Incontri e attività

2. Commenti e valutazioni

 

Premessa

La difficoltà di connessione internet, almeno nel nostro albergo, la continua partecipazione a riunioni e iniziative quotidiane non mi ha permesso di mandare informazioni prima! Al ritorno da quei giorni, caldi in tutti i sensi, ecco un resoconto, con qualche valutazione politica, della esperienza della Gaza Freedom March e della delegazione italiana di Action for Peace, in cui eravamo presenti Roberto Giudici ed io, per la Fiom, alcuni compagni e compagne della Cgil (che non aveva dato il proprio appoggio all'iniziativa), rappresentanti della Associazione per la pace, di Un ponte per, di US citizens for peace and justice, di Time for peace-Genova, di Artisti contro le guerre, e molti altri/a a titolo individuale. Sicuramente ci saranno lacune, i miei appunti erano molto scarsi, data la situazione perennemente concitata.....

 

(adesivo Fiom)

1. Incontri e attività

28 sera: arrivo al Cairo e incontro con tutta la delegazione italiana di Action for peace, nella sala di un albergo vicino all'aeroporto. Un gruppo, tra cui Luisa Morgantini, era già arrivato in precedenza, e ci dirà dell'incontro avuto all'UNDP (agenzia ONU) da cui però non si è ottenuto niente, per l'autorizzazione a poter andare a Gaza. La riunione serve per conoscersi, darsi le ultime informazioni sullo stato dei rapporti con i rappresentanti del Governo Egiziano. Il divieto di entrata sembra irrevocabile, ci si dà un appuntamento per il mattino dopo all'Ambasciata italiana, per fare un presidio e un incontro. All'albergo troviamo polizia della sicurezza di stato, oltre a quella turistica che c'è abitualmente, che vuol sapere tutti i nostri programmi, conoscere spostamenti, ecc.

29 mattina: E' il giorno dei presidi alle ambasciate: a quella francese c'è già dal giorno precedente, quando è stato impedito agli autobus di partire per il confine, un folto gruppo si reca alla ambasciata americana (lo vedremo, circondato dalla polizia, che ci impedirà di avvicinarci) e entrambi i gruppi italiani si recano per un presidio all'ambasciata italiana, a cui abbiamo già richiesto un incontro. L'addetto ci riceve molto gentilmente (lo avevamo già debitamente informato del nostro arrivo come pure avevamo informato il Ministero degli Esteri italiano), ci informa che il Governo egiziano è irremovibile nel suo rifiuto di aprire il confine con Gaza.

pomeriggio ore 14: Davanti alla Associazione dei giornalisti manifestazione in solidarietà con un piccolo gruppo di americani, che è in sciopero della fame: prima fra tutti Hedy Epstein, di 84 anni, sopravvissuta all'olocausto. Siamo circa 300, con molti striscioni, cartelli, qualche bandiera della pace, pettorine blu con stelle del coordinamento europeo per la Palestina.

ore 18: Nello stesso luogo, manifestazione con molti egiziani, in particolare del movimento di opposizione Kefaia (Basta) contro l'arrivo del primo Ministro israeliano Netaniahu. Gli egiziani protestano contro il Governo, in una situazione di relativa “sicurezza” che forniamo loro in quanto delegazioni internazionali. Infatti, dato che in Egitto vige ancora lo stato di emergenza e il diritto a manifestare è estremamente limitato e condizionato, quando sono soli a manifestare vengono rapidamente dispersi con molta violenza e anche uso delle armi da parte della polizia.

(foto tratta dal giornale " Al Masri Al Yom")

Mentre siamo lì, e alcuni di noi in riunione in un bar vicino con francesi e belgi (facciamo insieme parte del Coordinamento europeo dei comitati per la Palestina), ci arriva la notizia che Codepink (l'organizzazione statunitense che ha lanciato l'iniziativa della Gaza Freedom March) ha concordato con la moglie di Mubarak, presidente della mezzaluna rossa, l'invio di una propria delegazione a Gaza, con carattere umanitario per portare gli aiuti, con due bus, aperta ad un rappresentante per ciascuna delegazione paese (per l'Italia uno della nostra delegazione e uno della delegazione Forum Palestina). Chiedono il nome entro un'ora. Alcuni di noi sono contrari, comprendendo che questo avrebbe definitivamente chiuso la possibilità di entrata per tutti, diviso il movimento, depotenziato il carattere politico e rappresentativo della Gaza Freedom march

Facciamo una riunione rapida e concitata per strada, con la delegazione presente alla manifestazione anti Netaniahu, con Luisa Morgantini che sostiene con forza le ragioni dell'accettazione di quell'accordo e perché si dia un nome. Dato che la maggioranza della delegazione è d'accordo, viene indicato il nome della compagna più giovane del gruppo, attivista di Un ponte per, che si è resa disponibile ad andare. La partenza dovrebbe avvenire il giorno 30 alle ore 7. Anche l'altra delegazione italiana ha dato il suo nome.

Comunico al nostro compagno sindacalista di Gaza, che ci aveva prenotato l'albergo, di annullarlo e che il gruppo ha deciso di destinare quello che riuscirà a recuperare dell'acconto già pagato, ad un progetto a Gaza, che ci comunicherà.

 

(foto Franco Zavatti)

 

30 dicembre

30 mattina: alle 8 ricevo una telefonata di Morgantini che mi dice che nel frattempo, dopo una lunga discussione notturna, il comitato di direzione della marcia ha convenuto di aver preso una decisione sbagliata sulla delegazione e lo ha comunicato ai bus, senza tuttavia – incredibilmente – cancellarne la partenza. Nella notte anche altre delegazioni hanno espresso parere contrario e vanno a dirlo, alla partenza dei bus. Nella grande confusione e tensione che si è creata, si decide di ritirare la delegata, così fa anche il gruppo francese ed altri, compresa l'altra parte della delegazione italiana che lo aveva già fatto nella notte. (vedi comunicati del comitato di Direzione e lettera aperta ai partecipanti)

Partono comunque due bus, con statunitensi, palestinesi di origine americana che vanno a trovare i familiari, e altri/altre. Un altro gruppo verrà raccolto a Al Arish: in tutto 92 persone.

Al mattino ci troviamo tutti in un albergo del centro dove si svolge la riunione internazionale per decidere della iniziativa del giorno dopo, il 31, il giorno della marcia, prevista a Gaza e anche in Israele, verso l'altro valico, quello di Eretz. La decisione – ci informano – è stata già presa: ci si dovrebbe trovare tutti in un punto centrale, arrivando alla spicciolata per evitare di essere fermati prima, e poi fare un pezzo di marcia lungo il Nilo, direzione Gaza. C'è chi dice che dato che verremo fermati piuttosto presto dalla polizia, ci si dovrebbe preparare a fermarsi per un paio di giorni lì. Tra di noi questa eventualità sembra da escludere e comunque ci si dà appuntamento in albergo per la sera stessa per verificare il programma definitivo che verrà stabilito in una riunione alle 19.

Diversi di noi si recano all'ambasciata francese dove un gruppo francese, Europalestine, campeggia in permanenza all'esterno, con tende, sul suolo dell'ambasciata, per fare pressione sul Governo francese.

La sera, in albergo, iniziamo la nostra riunione in atmosfera piuttosto tesa, tensione che aumenta quando arriva notizia, dalla compagna inviata alla riunione internazionale nell'albergo del centro, che il programma è cambiato e sarà quello di bloccare le strade che arrivano nella grande piazza del Museo Egizio (tutte super trafficate!). Ci sono molte critiche alla gestione della iniziativa e al tipo di decisione presa, che espone a pesanti rischi tutti, c'è anche quattro persone che dichiarano che non parteciperanno, ma si decide di partecipare come delegazione e si organizzano i piccoli gruppi che in taxi raggiungeranno la piazza o luoghi vicini, per poi arrivare al punto di raccolta. Si dice anche che chi non se la sente di partecipare è libero di farlo senza problemi. Ma il giorno dopo ci saremo tutti!

(foto Franco Zavatti)

31 mattina: arriviamo come convenuto e nel luogo convenuto e l'attacco della polizia avviene al momento del blocco della prima strada con lo striscione. Spintoni, calci e pugni da parte della polizia, qualcuno viene ferito, tutti si siedono a terra e fanno resistenza passiva. Alla fine la polizia è comunque costretta ad accettare la nostra presenza, e ci circonda con un folto schieramento di poliziotti. Si vedono centinaia di cartelli neri con su scritto FREE GAZA e FREE PALESTINE in bianco. Sento per telefono Michel Warschawski, storico punto di riferimento in Israele del movimento anticoloniale e antioccupazione, ed è entusiasta delle 1000 persone israeliane e palestinesi di israele, che si trovano a manifestare al valico di Eretz, confine israeliano con Gaza. “Siamo insieme, voi al Cairo e noi qui. E finalmente il mondo grazie a tutti, ha sotto gli occhi la vergogna dell'assedio di Gaza!” Rimaniamo alcune ore e nel pomeriggio il comitato di direzione decide di sciogliere la manifestazione per poi ritrovarsi la sera per una fiaccolata di solidarietà con Gaza.

Dato che il nostro albergo dista più di un'ora dal centro (per il mostruoso traffico del Cairo) si decide di cenare in albergo e festeggiare insieme, a questo punto in una atmosfera rilassata e allegra, l'arrivo del nuovo anno. Si cena, si balla e si brinda perfino, con “champagne” egiziano!

 

(foto Claude Leost)

 

1° gennaio

Manifestazioni e incontri proseguono. Dalle 13 alle 15 manifestazione all'Ambasciata Israeliana. “Basta con l'assedio di Gaza, stop all'occupazione dei territori palestinesi, stop all'impunità di Israele”, dice il nostro striscione in inglese e in arabo, ben visibile e applaudito dai passanti. Ci sono anche slogans e striscioni per il boicottaggio di Israele. Gli adesivi della Fiom “Cittadin@ di Gaza” vanno a ruba (vedi foto)

Come al solito siamo circondati da fitti cordoni di polizia, presi alla sprovvista e quindi arrivati più tardi; ma la solidarietà della popolazione egiziana è grande! Dalle macchine e dai passanti abbiamo segni di simpatia, il segno della vittoria, clacson. Si distribuiscono adesivi. Un gruppo di ebrei americani celebra il rito del “pane della pace” sotto gli sguardi attoniti dei poliziotti. Tutto si svolge tranquillamente, fino alle 15.

Alle 15 incontriamo una rappresentante della delegazione dell'UE in Egitto, - gentilmente prestatasi all'incontro di Capodanno! - insieme a francesi, belgi e lussemburghesi (il coordinamento europeo). Facciamo presente, i belgi con particolare energia, la nostra protesta per un mancato intervento autorevole per spostare la posizione del Governo egiziano rispetto alla Gaza freedom march, ed anche la debole pressione politica perché l'assedio abbia fine.

Inoltre viene richiesto un appoggio per il gruppo che rimane e intende tentare ancora di entrare a Gaza, come delegazione europea di ECCP. La funzionaria ci dice che l'ambasciatore si occuperà di trasmettere le nostre richieste al Governo egiziano, ma ci informa anche che è stato ufficialmente comunicato che il valico di Rafah aprirà tre giorni, dal 3, solo per palestinesi ed egiziani.*

In serata sempre nella piazza del Museo Egizio incontro delle varie delegazioni con assemblea. La delegazione sudafricana presenta un documento che lancia il rafforzamento della Campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni nei confronti del Governo di Israele finché non venga messo fine all'assedio di Gaza. Il documento parte con 132 firme (allegato)

Nota. Il convoglio umanitario britannico VIVA PALESTINA (200 veicoli con beni di prima necessità e 400 persone), dopo lunga attesa a El Arish e anche qualche scontro con la polizia, entrerà il giorno 6 gennaio.

 

(foto Bruna Orlandi - ambasciata italiana )

 

2 gennaio

E' una giornata relativamente libera per tutti: ci sono tante belle cose da vedere al Cairo e dintorni e ognuno sceglie individualmente o a piccoli gruppi la propria meta: piramidi, città copta, cittadella, mercato Khan el Khalil, museo egizio.....

Ci si ritrova in molti all'albergo verso le 18 per un incontro con le altre delegazioni del coordinamento europeo (ECCP): belgi, francesi, lussemburghesi (che però non riescono a partecipare). Si tratta di associazioni con cui lavoriamo da anni e con cui abbiamo una somiglianza di vedute e di pratiche: Associazione France Palestine Solidarité, Campagna civile internazionale per la protezione del popolo palestinese (entrambi francesi), associazione belgo palestinese.

Concordiamo su diversi punti: 1. la Marcia ha avuto il grande risultato di riportare all'attenzione pubblica e della politica la questione dell'assedio di Gaza e la condizione inumana in cui costringe la popolazione palestinese, duramente colpita dall'attacco “piombo fuso” dello scorso anno; 2. però tutto il processo ha sofferto di scarsa partecipazione, mancanza di democrazia nella presa di decisioni (che ha anche comportato dissensi e divisioni, come nel caso della controversa decisione sull'invio di una delegazione ristretta con gli aiuti); 3. la Dichiarazione del Cairo, di cui abbiamo preso conoscenza proprio quella sera, in realtà rappresenta solo un gruppo (non può essere fatta a nome di tutti), per quanto significativo, e dovrà essere ampiamente discussa nelle diverse sedi nazionali e poi a livello europeo, prima di apporre eventuali firme; 4. Come coordinamento europeo non siamo stati in grado di fare un lavoro più efficace (la mancanza di connessione internet , la grande distanza degli alberghi vi ha contribuito) ma è stato importante comunque presentarsi così; 5. La necessità di un rafforzamento dell'impegno europeo è stata evidenziata da tutti e per questo si è deciso di affrontare il tema della valutazione della GFM e come andare avanti all'incontro, già fissato, a Bruxelles di ECCP il 5 e 6 febbraio prossimi.

 

(foto Bruna Orlandi - ambasciata italiana )

 

3 gennaio – giornata turistica fuori Cairo per quasi tutto il gruppo, che va a Saqqara e a Memphis. E' previsto per la sera un incontro con qualche partecipante alla contestata delegazione dei 90 entrata a Gaza. Io e altr* li ascoltiamo già al mattino nell'incontro con la delegazione internazionale.

All'incontro della sera verranno un giovane danese, Puya, (origine iraniana) e la sua giovanissima compagna Helena. Il racconto è preciso e dettagliato: dopo aver trascorso ben 18 ore (di solito ce ne vanno 8!) in autobus, partiti intorno a mezzogiorno dal Cairo e arrivati a Gaza nella notte, sono stati letteralmente presi in consegna da funzionari e Ministri del Governo di Hamas, diventato il promotore della marcia (che doveva essere della società civile, che da mesi si stava preparando, nel frattempo ritiratasi in seguito al mancato arrivo della marcia internazionale!). La delegazione internazionale in parte partecipa e in parte guarda, a lato della manifestazione. Sono trattati da ospiti d'onore, portati a visitare le zona distrutte, orfanatrofi, ospedale, zone marine inquinatissime. Insomma i disastri di “Piombo fuso” e dell'assedio. E' palesemente – ci dicono Puya ed Helena – usata come strumento di propaganda. La marcia, di poche centinaia di persone, è in realtà l' occasione per far intervistare da giornali e televisioni, gli ospiti internazionali che denunciano l'assedio di Gaza, la violazione del diritto internazionale e dei diritti umani. “Abbiamo capito che la decisione di Codepink per questa delegazione è stata sbagliata, ma io ci tenevo troppo, e alla fine devo ammettere che ho preso una decisione egoistica; ma tutto quello che abbiamo visto lo racconteremo nei particolari nel nostro paese: siamo comunque testimoni diretti” . E il 4 si parte per il ritorno in Italia. C'è chi si ferma ancora qualche giorno, ma al mare...

 

(foto Bruna Orlandi - ambasciata italiana )

 

2. Commenti e valutazioni

Un'idea coraggiosa

La Gaza Freedom March – un movimento internazionale di 1400 persone, provenienti da 42 paesi, che si organizza per rompere l'assedio di Gaza – è stata un'idea straordinaria e coraggiosa. Di fronte al silenzio, quasi complice, della Comunità internazionale, il pacifismo statunitense, e in particolare l'associazione di Code Pink, ha offerto a tutto il pacifismo globale una occasione straordinaria, che bisognava cogliere.

La preparazione, gli incontri con le Autorità egiziane per ottenere l'autorizzazione a passare dal valico di Rafah, sono cominciati almeno sette mesi prima. Codepink (insieme ad altri rappresentanti di associazioni canadesi) ha cominciato il lavoro. L'esperienza già fatta nei mesi precedenti di organizzare e far passare 7 delegazioni (ma di non più di 100 persone ognuna) ha fatto loro pensare che la cosa potesse realizzarsi in maniera relativamente tranquilla. Ovviamente con 1400 persone le difficoltà organizzative e non solo erano molto maggiori.

 

(foto Bruna Orlandi - alla associazione dei giornalisti )

 

Molte differenze esigono partecipazione e solido coordinamento

Come sempre, quando si parla di movimenti, si parla anche di grandi differenze: di rappresentanza, di cultura politica, di approccio, alla stessa questione palestinese e dell'assedio di Gaza. Una composizione molto variegata, spesso anche con differenze e contraddizioni interne anche a ciascun paese, come nei casi più conosciuti della Francia (tre delegazioni) e dell'Italia (due delegazioni) con storie e approcci diversi.

Non tenere in considerazione questo aspetto e dunque la necessità assoluta di mettere in piedi un solido organismo di coordinamento internazionale rappresentativo e con modalità chiare e condivise di comunicazione e partecipazione alle decisioni, fin dalla fase preparatoria, è stato a mio avviso un errore.

Questa mancanza di partecipazione e di voce in capitolo nelle decisioni è stata molto avvertita da tutto il gruppo, e ad essa si è aggiunta la difficoltà di trovarsi molto lontano dal centro (dove venivano prese tutte le decisioni) e senza collegamento internet: e questo è un risultato dell'aver saputo all'ultimo minuto (quando tutti gli alberghi centrali erano pieni o molto cari) che la notte del 28 non si sarebbe partiti dal Cairo per Gaza, e probabilmente neanche nelle notti successive.

 

(foto Bruna Orlandi - ambasciata francese)

 

L'atteggiamento contraddittorio del Governo Egiziano

L'atteggiamento dell'Egitto, per qualche mese dialogante, solo negli ultimissimi giorni (quando già tutti erano organizzati per partire) di drastico ed aggressivo rifiuto è stato per molti, forse la maggior parte dei partecipanti e anche dell'organizzazione, una sorpresa. Ho avuto l'impressione che ben pochi avessero in mente la faccia poliziesca di questo Stato, di un governo durissimo contro le opposizioni, e particolarmente contro quella proveniente dai Fratelli Musulmani (collegati ad Hamas). Questo in qualche modo spiega l'irrigidimento del Governo, soprattutto in un momento in cui – e questo lo abbiamo scoperto solo pochissimi giorni prima – sta costruendo un muro di acciaio sotterraneo al confine con Gaza, per impedire il contrabbando di merci attraverso i tunnels.

Ma questo, che appare adesso un nuovo terreno di contestazione, giustifica a maggior ragione la richiesta della fine dell'assedio che, come ha detto anche l'ambasciatore palestinese in Egitto, potrebbe metter fine al contrabbando avversato dal Governo egiziano, anziché inasprire, come di fatto è successo, i rapporti non solo tra Egitto e Governo di Gaza, ma anche con gli internazionali, nonostante tutte le delegazioni fossero orientate e convinte della denuncia contro l'assedio e la politica di guerra e inumana di Israele, e non rivolte contro l'Egitto.

Forse si poteva preparare prima e più accuratamente un rapporto con il movimento della società civile e di solidarietà egiziano? Ce lo siamo chiesto, anche se consapevoli, che per loro – opposizione politica più o meno dichiarata – sarebbe stato un rapporto difficile. Non c'è dubbio che è anche questo un terreno di lavoro nuovo per il movimento di solidarietà con la Palestina e per una pace giusta in Medio Oriente, nel cui scenario l'Egitto gioca un ruolo molto importante. E non solo a livello di ogni paese, ma anche a quello europeo, per il quale il terreno del “mediterraneo” (e quindi delle sue società, delle sue condizioni, della carenza di diritti e democrazia, delle diverse culture) è ineludibile. L'esperienza fatta in Italia per tre anni, con diverse associazioni come Libera, Un ponte per, Arci, ed altre, oltre che la Fiom, chiamata “Medlink” (legami mediterranei), e dedicata proprio alla costruzione di rapporti e iniziativa sui diritti, la pace, la democrazia, nell'area mediterranea, ci aveva già parlato di questo. Mentre negli Stati Uniti, questa dimensione non è compresa, né considerata essenziale.

 

(foto Bruna Orlandi - manifestazione del 31/12/09)

 

Forza e debolezza politica

Abbiamo al Cairo in qualche modo scontato il prezzo della nostra debolezza politica, anche se si è avuta la forza, grazie alla grande e incessante mobilitazione al Cairo, di riportare alla ribalta dell'opinione pubblica e politica l'assedio di Gaza, la sua inumanità e la sua illegalità internazionale.

Abbiamo, con la controversa delegazione a Gaza decisa arbitrariamente, senza nessun passaggio democratico, consentito al Governo egiziano di utilizzarla per salvarsi la faccia in extremis, assurdamente sostenendo che quella era la delegazione dei pochi “buoni”, che impediva l'entrata ai tanti “cattivi”da lasciare al Cairo! E che dimostrava la volontà del Governo di alleviare la sofferenza dei palestinesi! Ma si è anche data la possibilità al governo di Gaza di utilizzarla a suo piacimento, mentre le organizzazioni della società civile palestinese si sono viste costrette, dal divieto del Governo egiziano, alla rinuncia alla Marcia. Insomma, come spesso succede nei movimenti, la loro autonomia dipende dalla loro forza, chiarezza di percorsi, condivisione e determinazione, e viceversa, queste si consolidano se c'è autonomia.

C'è una forza politica nell'unità attorno ad un obiettivo: rompere l'assedio di Gaza, mettervi fine. Ma il lavoro per renderla pienamente in grado di operare è ancora lungo e non può più eludere il coinvolgimento, la partecipazione, la condivisione: c'è una Dichiarazione del Cairo, proclamata alla fine su iniziativa della delegazione sudafricana (con molti sindacalisti), firmata da 132 persone (impropriamente a nome di tutta la Marcia) che dovrà essere valutata e discussa perché possa essere messa in opera in modo esteso e mettere radici; c'è stata una evidente necessità di maggior peso dei movimenti europei e del loro coordinamento, di una loro autonoma iniziativa, ed anche questo verrà affrontato, insieme alla discussione sulla dichiarazione del Cairo, cercando di ampliarne orizzonti e strumenti, ma anche di radicare maggiormente il suo focus, quello sulla Campagna per il boicottaggio, il disinvestimento da e le sanzioni su Israele. In questo senso il sindacato sudafricano sarà certamente un utile interlocutore e “sollecitatore” per i sindacati in Europa e nel mondo. Fino ad oggi infatti da pochi si è levata la voce contro l'assedio di Gaza, scarsissima è stata l'iniziativa per ripristinare diritti umani e diritto internazionale in una delle più drammatiche situazioni sociali e di crisi umanitaria derivante dalla “punizione collettiva” dell'assedio e dell'operazione militare israeliana “Piombo Fuso” di un anno fa.

La FIOM è tra questi pochi, e di questo siamo orgogliosi. Ma c'è anche da lavorare perché i sindacati a livello nazionale e internazionale agiscano, in coerenza con le dichiarazioni di principi fondamentali di giustizia, umanità, pace, alla base di qualsiasi agire sindacale.

 

(foto Bruna Orlandi - manifestazione del 31/12/09)

(foto Bruna Orlandi - manifestazione del 31/12/09)

(foto Bruna Orlandi - manifestazione contro Netanihau)