Gaza: a proposito dell’uso finale dei sistemi d’arma prodotti dalla Thales

Dichiarazione dei metalmeccanici della CGT del Gruppo Thales S A. all’Azienda
 

Permetteteci, come rappresentanti CGT dei lavoratori, di affrontare una questione difficile davanti alla Azienda. In primo luogo, togliamo qualsiasi ambiguità. Non si tratta di prendere una posizione di parte in un conflitto che oppone due Stati. Si tratta di una richiesta di riflessione sulla destinazione finale, e dunque l’utilizzo finale, dei sistemi d’arma realizzati dalla Thales, nella quale lavoriamo.

La dichiarazione della CGT, alla quale siamo affiliati, del 26 gennaio, in occasione del Cessate il fuoco a Gaza, chiede la fine della cooperazione militare e della vendita di armi, in particolare francesi, allo Stato di Israele, e la sospensione dell’Accordo di associazione tra Unione Europea e Israele.

L’attualità ha sottolineato numerosi progetti di cooperazione, e non solo tra Thales e aziende israeliane di armi. Pensiamo in particolare ad un accordo recente sui droni, con la società ELBIT SYSTEMS.

Ora, a che cosa sono serviti i droni nella operazione di Gaza? La domanda merita di essere posta. A smascherare e distruggere pericolosi terroristi?

Gli esperti militari, anche se ancora non sono state tirate tutte le conclusioni, mettono già sul tavolo i “risultati” dell’operazione israeliana a Gaza: ha ucciso 1300 palestinesi, feriti oltre 5000, di cui due terzi sono donne e bambini, quasi tutti vittime della forza aerea. Mentre si constata l’assenza quasi totale di perdite israeliane. E tutto questo, senza mettere fine ai lanci di razzi di diverse organizzazioni della resistenza palestinese a Gaza, tra cui Hamas.

Non si tratta di guerra asimmetrica, né di guerra controinsurrezionale, quindi gli esperti dovranno inventare un altro termine, come “guerra a risposta sproporzionata”? Ma qual è la buona proporzione in questo campo?

Citiamo Shlomo Sand, storico israeliano, vecchio studente della Scuola di alti studi di Scienze sociali a Parigi, professore all’Università di Tel Aviv: “Hamas è stato eliminato? Abbiamo rafforzato il campo della pace presso i palestinesi?” e in Israele è possibile rafforzare i partigiani della pace?

Molto spesso la Direzione Generale, con grande pubblicità, ha allertato i lavoratori sugli aspetti deontologici, e ancora recentemente sulle precauzioni da prendere in materia di corruzione (22 dicembre 2008).

Qui non si tratta di corruzione. Si tratta di riflettere alla finalità dei nostri sistemi d’arma e delle loro condizioni di utilizzo, alla finalità del lavoro dei salariati.

Deontologicamente, può Thales continuare a passare accordi commerciali con un paese che è accusato di crimini di guerra da numerose Ong ( la Fondazione Frantz Fanon, Amnesty international, la Piattaforma delle Ong francesi per la Palestina, la Federazione Internazionale dei diritti umani e la sua affiliata francese…), in particolare a proposito del tiro sui civili, o della distruzione dei materiali delle organizzazioni umanitarie o di assistenza sanitaria, di cui alcune sono autorizzate dal Ministero degli Affari Esteri?

Niente può giustificare che i lavoratori del Gruppo partecipino indirettamente ad attività condannabili. Il Codice etico, di cui il Gruppo si è dotato, vi si oppone, precisamente in questo contesto.

E’ in gioco l’immagine del Gruppo Thales, ed anche quella dei lavoratori.

 

2 febbraio 2009