PASSAGGIO PER GAZA di Alessandra Mecozzi Un terminal supertecnologico, un lungo muro di cemento, tante macerie: niente può illustrare meglio il passaggio da un mondo all'altro; quello dei ricchi, a cui "spetta" la sicurezza; quello dei poveri, tra bombe ed embargo...ma Gaza vuole un futuro! Il 10 ottobre, sono entrata a Gaza, dove non tornavo da oltre due anni. L'ultima volta è stata in occasione delle elezioni per il Consiglio legislativo, gennaio 2006, quando la fiom aveva partecipato alle delegazioni di osservatori internazionali. Erano le elezioni da cui uscì vincitore Hamas e dopo le quali quella infelice striscia di terra con il suo milione e mezzo di abitanti palestinesi è stata oggetto e teatro di violenze: bombardamenti israeliani e centinaia di vittime palestinesi, distruzioni, scontri tra fazioni armate palestinesi, e un lungo assedio che dura tuttora e non permette mobilità né in entrata né in uscita di merci e persone, Poco più di due anni hanno trasformato la faccia di questo pezzetto di terra e la vita delle persone. Il ritiro israeliano ha lasciato macerie dietro di sè ed altre ne ha prodotte; l'entrata dal check point di Eretz mette di fronte ad una nuova e tragica situazione. Alle otto di mattina sono sola ad entrare, passando prima da unapiccola cabina dove mostro il passaporto e ho il via libera, poi attraverso un enorme edificio, un terminal da aereoporto, deserto apparentemente, con una lunga fila di sportelli ovviamente chiusi data l'assenza di persone che vogliano o possano entrare. Pochi minuti allo sportello 9, per timbro passaporto, senza interrogatori, e poi attraverso questo grande spazio. Mi accorgo che tutto il personale che controlla attraverso computers e videocamere, si trova al piano alto, dietro grandi vetrate. Percorro un lungo corridoio coperto tra due reticolati, specie di terra di nessuno deserta, e poi entro su una strada sterrata in territorio palestinese. Macerie da tutti i lati, è quello che resta della zona industriale, dove prima erano attive fabbriche, e se mi volto vedo che anche qui è stato costruito un alto muro di cemento. Terminal super tecnologico, muro, macerie: niente potrebbe con maggior evidenza mostrare il passaggio da un mondo all'altro. Il mondo ricco, l'inferno dei poveri. Qualche taxi spera in quasi impossibili clienti, e qualche ragazzo si offre di portare valigie (che io non ho) per racimolare pochi sheckel. Sono venuta qui per incontrare i partner palestinesi, della campagna Un futuro per Gaza, lanciata da Action for peace - di cui la Fiom è parte attiva - a maggio di quest'anno, nel quadro della campagna internazionale "End Gaza siege" promossa da un buon numero di personalità indipendenti di Gaza,( http://www.end-gaza-siege.ps ) coordinata da Eyad El Sarray, un medico attivissimo, il cui assistente viene a prendermi. Incontrerò Eyad in fine mattina, dopo aver scambiato qualche opinione con il responsabile del Cric, una ONG che non ha mai lasciato Gaza. Come tutti coloro che incontrerò in queste calde giornate di ottobre, Eyad è pieno di energia e mi parla del progetto attualmente + importante: la raccolta di un milione di firme contro l'assedio, da consegnare alle Istituzioni internazionali. Sono già arrivati a 500.000! Come molti altri spera in qualcosa di buono, per la riconciliazione tra palestinesi, dagli incontri che si svolgono in Egitto, ma la situazione economica e sociale è un disastro. Di fronte a un bel mare, con qualche raro pescatore, che si comincia a vedere verso mezzogiorno, e qualche bandiera palestinese piantata sulla spiaggia, Eyad ricorda che probabilmente queste acque sono sempre più inquinate per la quantità di liquame e rifiuti che vi si riversano ogni giorno, in presenza di un sistema fognario non funzionante (anche per mancanza di energia elettrica) e impossibile da riparare, in mancanza di pezzi di ricambio. Del resto lo stesso Tony Blair,recatosi in visita in rappresentanza del Quartetto UE, ONU, Russia e Usa, ha denunciato con una lettera al Governo Israeliano (art. su L'Unità i Umberto De Giovannangeli del 14 ottobre) lo stato di collasso dell'economia e della società di Gaza, la malnutrizione e le malattie dei bambini, l'anemia delle donne, la vita sotto la sogli di povertà dell'80 % circa della popolazione. Aumento vertiginoso dei prezzi, code ai distributori di benzina, la stragrande maggioranza della popolazione vive di aiuti esterni. Ma qui voglio raccontare qualcosa della Gaza che resiste, che vuole vivere e non solo sopravvivere, che non abbandona né la speranza né la voglia di costruire...cominciando da Hatem e Nadine. Hatem e Nadine sono due giovani che vogliono realizzare un sogno e un idea intelligente contro l'assedio di Gaza: "un concerto con poche parole molta musica e ballo, tutto palestinese, contro l'assedio. Ma che faccia vedere al mondo un'altra Gaza, non solo quella delle vittime della violenza, del sangue, delle fazioni armate le une contro le altre, ma una Gaza che resiste, che spera e che in questo presente vuole costruirsi un futuro... Hatem è uno dei cantanti che si esibiranno, è molto chiaro sull'impostazione che sta dietro a questo progetto: di fazioni non vuol neanche sentir parlare. Quanto alle possibilità economiche, non saprebbero come fare a realizzare il loro sogno, il nostro contributo è per loro decisivo per poterci ancora credere e cominciare a lavorarci. Hanno già inviato un progetto più dettagliato e hanno anche fissato la data del concerto, prima della fine dell'anno. Poco dopo sarà invece Abu Isam, responsabile internazionale del sindacato dei metalmeccanici del Pgftu, con cui la Fiom ha lavorato per molti anni, e che continua a collaborare con quel che resta del Pgftu (mi porterà ad un incontro il giorno dopo con i sindacati dei servizi pubblici, della sanità e istruzione), fuori da ogni partito: "sono indipendente, e non faccio che ripetere ai miei sette figli di non legarsi a nessun partito!" Mi parla molto dell'impatto sulla vita sociale dello scontro tra fazioni, Hamas e Fatah, della distruzione del lavoro fatto in questi anni per costruire il sindacato. La sede è oggi mezzo distrutta da missili israeliani (compreso quel centro computer che era stato comprato con una sottoscrizione dei metalmeccanici italiani) e quel che resta è occupato da Hamas, e non si è ancora trovato il modo di risolvere la questione. Il settore lavorativo più significativo è oggi quello dei dipendenti pubblici (comprende anche 40.000 uomini armati delle forze di sicurezza delle due fazioni), ancora in parte in sciopero, ricevono stipendio da Ramallah, Autorità nazionale palestinese. Abu Isam è critico su uno sciopero tutto palesemente politico, tanto più che tocca settori vitali come la scuola e la sanità, e che non ha una vera piattaforma (scioperano contro alcuni trasferimenti!). Con Hamas viene rifiutata qualsiasi collaborazione, anche se c'è la consapevolezza che se si andasse ora alle elezioni sindacali, sarebbero loro a prevalere, e non per ragioni ideologiche, ma solo materiali. A loro viene riconosciuto, anche da chi non li ama, di aver riportato un ordine (purtroppo con la forza!) e ristabilito un rispetto per regole e autorità. Israele, dice Abu Isam sta lavorando anche nella West Bank per il suo obiettivo: distruggere qualsiasi principio di autorità, ammazzando continuamente, con negoziati inconcludenti, mostrando che non c'è nessuna sicurezza per le persone e nessuna possibilità di pace." Purtroppo la comunità internazionale è sostanzialmente immobile e dipendente dalle condizioni Usa; la Unione Europea si limita a far affluire un po' di soldi." E' il più pessimista tra quelli che incontro sull'esito dei colloqui del Cairo. Partiamo con Husam al mattino presto del giorno 11, per Khan Younis: è il responsabile del REmedial Education Centre , un uomo sensibile, intelligente, che vuole farmi vedere quanto più possibile, nel poco tempo a disposizione, delle loro attività essenzialmente riferite a bambini. A Khan Younis visitiamo il reparto pediatrico dell'ospedale europeo: 27 bambini malati gravi (spesso impossibile trasportarli dove potrebbero avere migliori cure fuori da Gaza), che il gruppo di giovani "medici clown" cerca di divertire e far sorridere "soprattutto prima delle operazioni ". Ma cercano anche di dare un po' di sollievo all'angoscia delle madri. L'ospedale è grande, pulito, mi spiegano che mancano di alcuni medicinali, ma tutti sembrano molto impegnati nel proprio lavoro, sorpresi da visite straniere, che sono una rarità. Torniamo in fretta verso Jabalia, al nord, dove si trova l'asilo a cui salaam ragazzi dell'ulivo di Milano ha inviato un primo finanziamento. La storia di questo asilo nido è singolare: è stato invaso una notte di marzo da un gruppo di soldati israeliani, che hanno sfondato porte, spaccato finestre, distrutto computer e perfino giocattoli, lasciando un messaggio di scuse sulla lavagna indirizzato ai bambini! Sono rimasti tre i giorni, usandolo come base militare da cui hanno sparato sulle case di fronte, uccidendo un palestinese "E' avvenuto proprio dal mio ufficio, dice Husam, perciò non ci ho messo più piede e lo ho trasferito altrove". Il finanziamento è servito a sostenere per un mese l'attività portata all'esterno (ai bambini non abbiamo voluto dire niente di quello che è successo, per non alimentare rabbia e odio, che avrebbero riversato in casa; abbiamo fatto una assemblea con i genitori e li abbiamo informati: sono stati tutti d'accordo sulla linea da seguire) e a ripristinare edifico e materiali. Adesso l'asilo è di nuovo funzionante, i bambini ai loro posti allegri, le maestre sorridenti e contente. Il centro di Husam si occupa anche, esperimento nuovo per Gaza, dell'inserimento nelle classi di una vicina scuola di bambini disabili "per vincere il tabù sociale che prescrive di tenerli a casa e nasconderli". Husam è molto contento della visita, mi consegna una lettera di ringraziamento per "Action for peace" e ci tiene a dire che avere visite qui di amiche e amici della Palestina serve a dare più forza ed energia in un lavoro che ne richiede, soprattutto in condizioni così difficili, tantissime. Naim è un giovane e brillante ingegnere del Collegio universitario per le scienze e tecnologie applicate di Gaza ( www.ccast.edu.ps ). Mi accompagna all'incontro - predisposto dal rettore del Collegio - all'ospedale di al Shifa, il più grande di Gaza, dove il nostro progetto , consiste nell'istallazione di un sistema per produrre energia eolica e solare, rendendoli così indipendenti dalla fornitura, molto saltuaria e discrezionale, di energia elettrica da parte di Israele. C'è il nuovo direttore dell'istituto, ingegneri e tecnici, tra cui anche uno del Centro universitario, che incontreremo nel reparto prescelto per la istallazione, quello di cardiologia, nell'unità di terapia intensiva. Sembrano non avere alcun problema relativamente agli eventuali ostacoli che potrebbero essere creati per l'accesso dei macchinari da parte di Israele: ciò che va agli ospedali di solito entra...Sono entusiasti, tanto più che stavano già pensando ad una soluzione di questo genere. Il direttore del Centro universitario mi mostrerà una piccola istallazione fatta sul tetto che fornisce energia elettrica per il suo computer 3 ore al giorno! Se c'è un luogo dove regnano sole e vento è proprio Gaza, quindi speriamo proprio che questo progetto possa segnare l'inizio di uno di più ampia estensione! Di nuovo a Khan Younis, in un centro, Ard al Insan ( www.ardelinsan.org ), che si occupa di dare cure e cibo a bambini (4000 l'anno, tra qui e Gaza) malnutriti, affetti da anemia grave, con braccia e gambe filiformi: vogliono che guardi questa tristissima realtà, mentre le mamme con un gesto repentino si coprono il viso col velo nero quando appaio sulla porta. Per i vari reparti mi guida Hanan, una giovane donna alta, molto energica, che mi spiega i dettagli della loro attività in un perfetto e instancabile inglese. E' competente nel suo lavoro di organizzare la sottrazione alla fame,alla morte di questi bambini, di educare le madri a dare una alimentazione adeguata anche disponendo di un poverissimo bilancio. Vedo solo i suoi occhi vivaci e intelligenti nella fessura del velo, sento la sua energia e la sua contentezza nella stretta di mano forte con cui mi saluta. Anche a Gaza, dove incontrerò la direttrice de Centro Ard El Insan, e anche responsabile amministrativa, insieme al medico, mostreranno contentezza per questa offerta di sostegno e solidarietà. Lo stesso centro, lo dice il suo nome, è nato per il forte sostegno di una ONG svizzera "Terre des hommes". Mi accompagna il responsabile di Khan Younis per il Palestinian center for human rights, che avevamo già conosciuto due anni fa in occasione delle elezioni e che già allora ci aveva aiutato significativamente a raggiungere i vari seggi elettorali. Tornando verso la città di Gaza percorriamo la strada costiera, un tempo inaccessibile per la presenza delle colonie. Molte macerie sono state finalmente rimosse e anzi c'è una zona in cui sorgono nuove case (costruite dall'UNRWA) per gli abitanti del luogo. Purtroppo sono tutte bloccate, come bloccato un padiglione nuovo dell'ospedale "al shifa", per mancanza di materiali da costruzione, frutto di questo embargo indecente. Nonostante questo comunque non ho visto che voglia di costruire, entusiasmo di fare, riconoscenza (ma io credo che facciamo davvero poco rispetto a ciò che servirebbe) e voglia di camminare con le proprie gambe. Neanche nei luoghi di maggior sofferenza ho sentito rassegnazione o disperazione. Ci sono intelligenze, c'è cultura, idee, forse anche per questo Raji Sourani, il direttore del PCHR, conclude la nostra chiacchierata dicendo"ma noi non abbiamo il diritto di essere pessimisti!" A noi tocca sostenere, anche concretamente, questa resistenza e queste volontà.
Riferimenti bancari per la campagna "un futuro per
gaza"
- coordinate IBAN: IT 89 N 05018 03200 000000545454 indicare causale: “Un futuro per Gaza!"
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