Mustafa Barghouti al Comitato Centrale della Fiom, 11 settembre 2007 Incerta fino all’ultimo, per la
grande quantità di impegni dell’invitato, c’è stata la visita al
Comitato Centrale della Fiom, non pianificata, ma caldamente accolta, di
Mustafa Barghouti, dirigente palestinese, prima coordinatore nazionale
delle Ong palestinesi, autore dell’appello per la campagna per la
presenza civile internazionale in Palestina (2001) a cui anche la Fiom ha
ampiamente partecipato, poi fondatore del movimento Mubadara (iniziativa
nazionale Palestinese) di cui è tuttora presidente, ministro
dell’informazione e portavoce del Governo di unità nazionale
palestinese nella sua breve esistenza del 2007. Barghouti ha con chiarezza e brevità
lanciato il suo messaggio al Comitato Centrale della Fiom, che ha sospeso
per una ventina di minuti gli interventi. Ecco le sue parole: “Sono grato per l’invito, onorato
e contento di parlare a questo importante sindacato che è impegnato da
anni nella solidarietà con il popolo palestinese. E in primo luogo voglio dire che
quando le forze progressiste nel mondo parlano di pace, giustizia,
solidarietà, dimenticano che c’è un buco nero,
rappresentato dalla Palestina: un posto in cui dura l’occupazione
da 40 anni, dove si è esercitato esproprio e oppressione da circa 60
anni, costringendo milioni alla condizione di rifugiati. All’inizio del
ventunesimo secolo, quando tutti i regimi coloniali sono caduti, è il
regime coloniale che lo inaugura; e ciò che è ancora peggio di tutto è
che è un regime di occupazione che si sta trasformando in regime di
apartheid. Si parla di un luogo in cui vengono violati tutti i diritti
umani e che ha il record di 20 persone che hanno passato in galera oltre
27 anni, cioè il periodo che vi ha passato Nelson Mandela, e che è
generalmente considerato il massimo esistente. Ma queste 20 persone sono
solo una piccola parte degli oltre 11.000 prigionieri palestinesi relegati
nelle carceri israeliane, di cui 375 sono bambini e 106 sono donne,
inclusi 45 membri eletti del nostro Parlamento, cioè un terzo, questione
su cui non mi pare che si levino grandi proteste. Tutti sanno che la questione
palestinese è quella più destabilizzante per il Medio oriente e tutto il
mondo come sanno che proprio Nelson Mandela l’ha definita la questione
morale numero uno nel mondo. Ma non sentiamo ancora un movimento
internazionale di solidarietà adeguato a questa situazione. Sarò molto franco: è assurdo pensare
che una forte solidarietà con i palestinesi porti il segno
dell’antisemitismo; non è affatto in contraddizione questa solidarietà
con quella per gli ebrei vittime dell’olocausto. Un grande intellettuale
palestinese, Edward Said, anzi, definì i palestinesi come vittima
secondaria dell’olocausto! Il mio movimento insieme con tanti
altri è impegnato, siamo impegnati, in una lotta di resistenza popolare
non violenta e proprio nei giorni scorsi si è registrata una prima
vittoria, quando la Corte suprema di Israele ha dato ragione al comitato
di abitanti di questo villaggio, da due anni impegnati in questa
resistenza, nel loro ricorso contro il tracciato del muro che li
espropriava di gran parte delle loro terre. Il muro dovrà essere fatto su
un altro tracciato. E tuttavia vi dico che in Palestina,
come del resto è avvenuto in Sud Africa, un movimento di resistenza non
violenta non riuscirà a vincere pienamente se non sarà sorretto da un
forte movimento internazionale. Lo strano è che quando si parla di
Palestina, tutti vogliono diventare diplomatici: ma in questo mondo di
diplomatici ne abbiamo fin troppi, a noi serve un movimento forte di
solidarietà. Tra ieri e oggi mi sono incontrato con
molte persone in Italia, a Venezia, anche con il sindaco, a Bologna, sono
stato a Vicenza a incontrarmi con coloro che si battono contro la
costruzione della nuova base americana: ho sempre sentito una solidarietà
molto forte con i palestinesi, ma quando sono stato – e ne sono onorato
– ministro di un Governo palestinese (quello di unità nazionale, con
Fatah, Hamas e altre forze, n.d.r.) che rappresentava il 96%
dell’elettorato – più democratico di così! – ho visto che solo un
Governo europeo, la Norvegia, lo ha riconosciuto, e di fatto è stato
fatto cadere dall’isolamento internazionale, anzi la Comunità
internazionale lo ha messo sotto embargo. E allora mi domando: dov’è il ruolo
indipendente dell’Europa, se gli Stati Uniti sono in grado di
paralizzarne in tal modo l’iniziativa politica? Voi siete lavoratori e rappresentanti
di lavoratori e lavoratrici, sapete che significa la disoccupazione:
ebbene nell’ultimo mese da noi hanno chiuso 3170 fabbriche, il tasso di
disoccupazione supera il 50%, ed è in crescita…e questo è in buona
parte dovuto all’embargo, al blocco che Israele esercita sui valichi di
Gaza, dove è proibito il passaggio di materiali da costruzione, merci,
materiali per lavorare. Qui non si tratta di una disputa tra
due popoli, ma di un popolo occupato ed oppresso che lotta per la propria
libertà; e quando si parla di pace e di lotta contro la guerra, vorrei
ricordare che Israele è diventato il 4° esportatore di armi nel mondo,
che ha una forza aerea più grande di quella britannica. E allora perché
l’Italia, come anche la Svezia, che rispettano, o dicono di rispettare i
diritti umani, importano e commerciano armi con Israele che lede i diritti
umani di tutta una popolazione? Abbiamo bisogno di un forte movimento
di solidarietà per la pace. Chiediamo sanzioni dai Governi su Israele, e
se i Governi non se la sentono di mettere sanzioni, per lo meno blocchino
gli accordi militari. E infine vi dico: noi possiamo anche
vivere in povertà e sotto l’oppressione, ma siamo determinati a vivere
liberamente e in pace e siamo determinati a mobilitare quanto più
possibile per questo, e mi auguro che il vostro sindacato sarà in prima
fila in questa mobilitazione. E credetemi, ciò che è buono per la libertà
della Palestina e dei suoi figli, è anche buono per la libertà dei figli
di Israele. Un popolo che opprime un altro popolo non sarà mai un popolo
libero. (a cura di Ufficio internazionale
Fiom-Cgil) |