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       Missione civile del
      Coordinamento europeo dei comitati e associazioni per la Palestina – con
      sede a Bruxelles - 8/15 dicembre 2006 
 NOTE E VOCI DAL VIAGGIO - seconda parte A cura di Alessandra Mecozzi 
 Nablus, 11 dicembre Eva
      Center Dopo
      aver invano atteso più di un’ora al check point Eretz, per entrare a
      Gaza, dobbiamo rinunciarci. Viene autorizzato solo il parlamentare belga
      con la sua assistente. Perciò raggiungiamo il resto del gruppo a Nablus,
      dove incontriamo subito la presidente del Hawwa Society for culture and
      arts (Eve Center), Ghada Abdul Rahim. E’ un’attivista per i diritti
      umani, arrestata 3 volte, fa parte del Consiglio nazionale palestinese. Il
      centro, nato nel 1994, è particolarmente attivo nella promozione
      culturale delle e tra le donne a Nablus, una città particolarmente vivace
      culturalmente e politicamente. Anche lei denuncia la situazione economica
      grave in seguito al blocco dei fondi della Unione Europea e quelli
      israeliani e il rischio forte di arretramento della società civile. La
      vita delle donne è particolarmente difficile e la società soggetta a
      processi di disgregazione dato che migliaia sono gli uomini morti, feriti,
      prigionieri, disabili: è in rapida crescita la percentuale di divorzi. Si
      ferma molto a parlare della situazione politica difficile e della
      necessità di mettere tutti gli sforzi nel lavoro unitario, evitando la
      frammentazione partitica. La necessità di unità tra i palestinesi è
      tanto necessaria quanto difficile in questa situazione: le pressioni
      contro il Governo di Hamas sono forti, alle sanzioni esterne si aggiungono
      le pressioni interne e non nasconde il carattere politico degli scioperi
      in corso dei dipendenti pubblici che rivendicano il pagamento dei salari,
      bloccati da diversi mesi. A chi le chiede se il Governo di Hamas potrà
      comportare arretramenti nei diritti delle donne risponde di no con grande
      sicurezza, e ne è prova il fatto che non c’è stato il minimo tentativo
      di intervenire sulle leggi esistenti…Alla Unione Europea rimprovera
      anche di mettere in opera progetti che non corrispondono alle necessità
      delle ong palestinesi e della società civile: c’è delusione per una
      politica europea che in altri tempi ha espresso il proprio sostegno e che
      adesso si ritira, mostrando di non rispettare il risultato elettorale.  Campo profughi di Askar (nuovo) Questo
      campo, nelle vicinanze di Nablus, ospita circa 6000 persone. E’ uno dei
      5 campi non riconosciuti dalla’Agenzia delle Nazioni Unite (UNRWA). E’
      stato messo in piedi su propria iniziativa da un gruppo di profughi. Il
      non riconoscimento dell’UNRWA implica l’assenza di strutture sociali e
      di servizi. Ma incontriamo un gruppo di grande energia e entusiasmo che ha
      creato nel 2000 il Social development center, proprio per dare la
      possibilità di un luogo di aggregazione, discussione, cultura ai giovani
      che sono la maggior parte degli abitanti del campo, “per offrir loro
      qualcosa di diverso dalla strada”. Si tratta, come spiega il video che
      ci mostrano, di riuscire a rompere isolamento e frustrazione, a
      coinvolgere ragazze e ragazzi in attività di apprendimento, letture,
      musica, dar loro la possibilità di sperimentarsi in varie attività. “La
      nostra lotta è in primo luogo sociale e culturale” ci dice il direttore
      del Centro e con grande orgoglio ci parla della formazione dei giovani
      alla musica, alla danza tradizionale insieme alle idee di giustizia e di
      diritti. L’incontro viene suggellato da una esibizione del gruppo di
      giovanissimi, tra i 9 e i 13 anni, che esegue la tradizionale danza
      palestinese “dabka”. Ci parla di un progetto per la formazione di un
      gruppo musicale e della difficoltà di reperire le risorse per acquistare
      gli strumenti…E’ davvero incredibile come anche nelle condizioni
      economiche e sociali più difficili sia possibile realizzare qualcosa di
      così bello e vivo, un punto di attrazione per molti ragazzi e ragazze: ci
      lasciamo con l’impegno a cercare il modo di sostenere uno dei loro
      progetti. 
 Betlemme,
      12 dicembre Entrare
      a Betlemme passando da un’apertura nell’alto muro di cemento grigio fa
      sempre effetto, ma è difficile credere ai propri occhi vedendo il grande
      pannello colorato affisso sul muro dall’Ufficio del turismo israeliano,
      con gli auguri di buon anno!… A Beit
      Jala incontriamo un gruppo che rappresenta il Centro BADIL (“Alternativa”),
      nato nel 1998, impegnato sul fronte dei diritti di residenza e del diritto
      al ritorno per i profughi palestinesi. Ingrid è la direttrice attivissima
      che ci illustra subito, come altre ong, le critiche alle modalità con cui
      le Nazioni Unite stanno definendo il Registro dei danni derivanti alla
      popolazione palestinese dal Muro, l’unica misura applicata tra quelle
      raccomandate dal parere della Corte internazionale di giustizia che ha
      dichiarato il muro illegale. Sollecita il coordinamento europeo ad
      attivarsi nei confronti della Unione Europea che, incredibilmente, si è
      astenuta sulle 6 risoluzioni relative ai diritti inalienabili dei
      palestinesi in sede ONU. Sollecita anche una iniziativa più energica
      nella campagna BDS (Boycott – Sanctions – Divestement): la campagna
      per sanzioni europee contro l’occupazione, partita dal Coordinamento
      europeo, ha raccolto alcune decine di migliaia di firme. Ma c’è l’impegno
      a rilanciarla anche all’interno del Forum sociale mondiale di Nairobi, a
      cui parteciperà una consistente delegazione delle varie ong palestinesi,
      con un seminario che coinvolga in primo luogo i sindacati a livello
      europeo e mondiale. Sollecitano anche una pressione sulla Unione Europea
      perché renda pubblico ufficialmente il rapporto su Gerusalemme prodotto
      all’inizio di quest’anno e che documenta la politica di annessione nei
      confronti di Gerusalemme est da parte di Israele attraverso la costruzione
      del muro. Saranno impegnati anche nella campagna 2007 per la fine dell’occupazione
      (“40 anni: adesso basta!”) e per il diritto al ritorno (“60 anni
      dalla Nakba, nel 2008). Ci lasciamo con l’impegno ad organizzare al
      meglio la partecipazione ai seminari nel Forum, in modo che possa uscirne
      un piano di azione comune per il 2007. Considerazioni
      simili e analoga volontà di collaborare viene anche da Stop the wall
      campaign. Ne incontriamo il coordinatore Jamal Jumaa che ci parla dell’avvio
      di una campagna palestinese di boicottaggio di alcuni prodotti israeliani
      e, soprattutto, di una campagna per sostenere i prodotti palestinesi, che
      vengono pesantemente colpiti dalla concorrenza israeliana.  La vita
      e la possibilità di sviluppo della campagna è molto legata alla
      informazione: per questo si è dato vita ad un sito aperto, quale
      strumento per l’informazione e il coordinamento delle associazioni e
      tutti coloro che sono impegnati nella campagna contro il muro.  In
      conclusione della giornata passiamo tre ore a Bilin, un villaggio divenuto
      famoso per la determinazione con cui il locale comitato popolare conduce
      da due anni una resistenza non violenta contro il muro e l’esproprio
      delle terre. Ce ne parla Mohammed Khatib, uno dei giovani coordinatori
      della iniziativa che vede la partecipazione anche di pacifisti israeliani
      e di altri paesi. Visitiamo in un’ora tutta l’area che è stata
      sottratta al villaggio dalla costruzione, in questo caso, di un recinto
      con una apertura. I militari, dopo aver richiesto l’autorizzazione al
      superiore, ci fanno entrare e ci seguono. Vediamo in lontananza un
      insediamento in costruzione: il comitato di Bilin ne ha ottenuto il
      blocco, attraverso le due azioni che costituiscono l’ossatura di questa
      resistenza: quella legale e quella popolare. E’ una esperienza che si è
      ispirata ad altre analoghe in altri villaggi (Mas’ha, Biddu, …) e che
      sta rilanciando l’iniziativa anche a livello nazionale. Da due anni,
      ogni venerdì, una marcia raggiunge e cerca di attraversare il recinto per
      andare sulla propria terra. La reazione dei militari è violenta: gas
      lacrimogeni, bombe assordanti, proiettili di gomma, tanto che ogni
      settimana qualcuno è ferito, altri fermati. Ad aprile si terrà una
      grande conferenza nazionale e internazionale, con tutti i comitati
      popolari contro il muro.  Un
      giovane regista israeliano, che ha partecipato alla iniziativa, ne ha
      tratto un bel documentario che ci fanno vedere alla fine della visita e
      dei racconti: commovente e coinvolgente, un film di speranza, che speriamo
      di vedere presto tradotto in italiano in circuiti accessibili ad un
      pubblico ampio. Foto molto belle si trovano sul sito www.bilin-village.org  Coalizione per Gerusalemme, 13
      dicembre L’incontro
      con rappresentanti della Coalizione per Gerusalemme, formata da diverse
      associazioni, 70 persone, impegnate nella attività per preservare
      Gerusalemme est (territorio occupato dal 1967) come città abitata da
      palestinesi, è di particolare interesse e la richiesta alla nostra
      delegazione europea, che viene da tutti coloro che interverranno,a
      cominciare da Amal Nashashibi, che fa la presentazione, è quella di far
      pressione sulla Unione Europea perché renda pubblico il rapporto redatto
      da funzionari UE e poi messo nel cassetto nella riunione del Consiglio dei
      Ministri degli Esteri del 2005, e denunciare l’azione di Israele per
      mutare la composizione della popolazione, da palestinese in israeliana. Il
      “master plan” che Amal illustra non è stato ancora approvato ed è
      stato possibile avere dettagli non pubblici da una funzionaria israeliana
      che ha lasciato il Comune. Già dal 1967 è stato espropriato il 35% della
      terra per costruire colonie e il 14% per costruire le strade di
      collegamento tra di esse (by pass roads). Il documento di cui si dispone,
      ci dice Amal, è più ideologico che tecnico e consiste nel definire le
      modalità attraverso le quali Israele intende spostare il maggior numero
      possibile di ebrei israeliani in Gerusalemme e il maggior numero possibile
      di palestinesi al di fuori. La costruzione del muro già in buona parte
      realizzata serve per bloccare l’accesso dei palestinesi, mentre vengono
      demolite case al di là della linea verde. L’obiettivo finale è quello
      di eliminare la continuità tra la parte nord e quella sud dei territori
      occupati, annettere Gerusalemme, trasformare Gerico in una enclave.  Il collegamento con Ramallah
      dovrebbe essere, per i palestinesi, garantito da tunnel sotterranei! Anche
      la popolazione nella città vecchia viene progressivamente ridotta. Il
      tutto è illegale, perché Gerusalemme est, in quanto territorio occupato,
      secondo la Convenzione di Ginevra, non dovrebbe subire trasferimenti di
      popolazione. Ma lo stesso Ministro palestinese per Gerusalemme è tra i
      ministri palestinesi attualmente in carcere. 
       E’ in
      costruzione un tram per sostenere le infrastrutture dei coloni, costruito
      da due multinazionali francesi, Alsthom e Connex, e sponsorizzato dal
      Governo francese. Ha un costo molto alto (350 milioni di euro) e servirà
      sostanzialmente solo agli israeliani dato che non ci sono stazioni nella
      zona araba. Ma gli israeliani hanno a disposizione le by pass roads, per
      cui il tram verrà utilizzato ben poco. In realtà, ci dicono, il progetto
      serve essenzialmente a prendere ulteriori porzioni di terra. Tre
      organizzazioni israeliane prendono parte, insieme alle francesi Cedetim e
      Associazione France-Palestine solidarité, nel ricorso contro il Governo
      francese: Alternative information center, Coalizione delle donne, il
      Centro israeliano contro la demolizione delle case.  E’ importante ricordare che le
      banche olandesi coinvolte si sono ritirate, in seguito alla protesta dei
      lavoratori olandesi, in nome dei diritti dei palestinesi. La coalizione
      per Gerusalemme chiede che tutti i sindacati prendano una posizione contro
      le violazioni del diritto che questa costruzione comporta. Chiedono
      iniziative perché venga rispettata la Convenzione di Ginevra relativa
      agli obblighi degli occupanti verso gli occupati, perché si faccia un
      appello alle istituzioni religiose  e
      di carattere internazionale, all’Unesco perché venga salvaguardato un
      patrimonio dell’umanità, e infine che ci sia una campagna per
      Gerusalemme città aperta e accessibile a tutti. Propongono di fare un
      piano di azione comune su Gerusalemme per il 2007, nell’ambito della
      campagna contro l’occupazione (40 anni: adesso basta!) coalitionforjerusalem.blogspot.com
       3 gennaio 2007  |