Missione civile del Coordinamento europeo dei comitati e associazioni per la Palestina – con sede a Bruxelles - 8/15 dicembre 2006

 

Alla delegazione hanno partecipato 12 rappresentanti di diverse associazioni dalla Francia, Belgio (anche un parlamentare, Pierre Galand, responsabile del Coordinamento europeo), Italia (Alessandra Mecozzi, per la Fiom-Cgil, Ester Fano, per la rete Ebrei contro l’occupazione) Norvegia, Inghilterra.

La delegazione ha incontrato varie associazioni, palestinesi e israeliane, diversi sindacati palestinesi, parlamentari e personalità di partiti, una rappresentanza del Consiglio nazionale legislativo palestinese, Il Presidente dell'ANP Mahmoud Abbas, il Ministro della Sanità (A Gaza, dove è potuto entrare solo il parlamentare con la sua assistente), il Ministro della Istruzione, la rappresentanza dell’Ufficio UE.  Si è recata  a Ramallah, Gerusalemme est e ovest, Betlemme, Nablus, Gaza, Haifa

E’ stato presentato il programma di lavoro del coordinamento Europeo per il 2007 alle organizzazioni della società civile incontrate, in particolare il lancio della campagna “40 anni di occupazione: adesso basta!” che sarà anche al centro di un seminario al Forum sociale mondiale di Nairobi a fine gennaio. L’accoglienza è stata sempre molto amichevole, ci sono molte aspettative sulle iniziative della società civile, compresi i sindacati, a livello europeo. Sulla politica della Unione Europea sono state espresse molte critiche e c’è un malcontento crescente tra i palestinesi, causato in particolare da quella “strana” concezione della democrazia, secondo la quale la UE ha prima  insistito perché venissero realizzate elezioni, che si sono svolte in modo corretto e trasparenti,  poi, alla luce dei risultati “non graditi”,  ha bloccato l’erogazione dei fondi previsti, mettendo in opera  sanzioni che colpiscono pesantemente tutta la popolazione palestinese,  aggiungendosi  al blocco operato da Israele dei trasferimenti alla ANP delle tasse dovutele.

 

NOTE E VOCI DAL VIAGGIO - prima parte

A cura di Alessandra Mecozzi

 

Gerusalemme, 8 dicembre

Incontro con Michel Warschawski, dell’Alternative Information Center

Il Centro è una organizzazione palestinese-israeliana che ha come priorità analisi critica e informazione su entrambe le società e sul conflitto derivante dall’occupazione e colonizzazione dei territori palestinesi. E’ un soggetto di iniziativa politica basato sui principi di giustizia, uguaglianza, solidarietà, coinvolgimento della società civile nella lotta per il rispetto dei diritti inalienabili nazionali di tutti i palestinesi.

Warschawski ci parla diffusamente della crisi politica, “quasi esistenziale”, che vive lo Stato di Israele. Non il Governo, la cui coalizione è stabile, ma  l’insieme dello Stato e delle sue strutture. Le istituzioni sono a pezzi, compreso l’esercito, la guerra in Libano ha mostrato una totale incapacità anche di direzione militare. Le strutture civili per i soccorsi, i rifugi, l’aiuto agli sfollati non hanno funzionato. Chi ha adesso molta popolarità è un ricco esponente della mafia che ha organizzato in 4 ore un grande campo di raccolta e 30 autobus per portar via da Sderot – che veniva colpita dai missili – bambini/e e ragazzi/e. L’esercito è stato un disastro e adesso sono state formate ben 14 commissioni di inchiesta! Il consenso alla guerra è stato generalizzato, persino il Meretz, partito a sinistra del Labour, l’ha sostenuta. E Peace Now sosteneva la guerra contro “l’Islam”. Si parla di una possibile, dicono quasi inevitabile, guerra contro l’Iran, la Siria, ancora il Libano…La prospettiva di una nuova guerra è accettata e questo fa paura. Lo scenario internazionale è in movimento: con il pesante fallimento degli USA in Iraq e il rifiuto di aprire a Siria e Iran, Bush e Olmert meditano la vendetta, entrambi nei confronti dell’Iran.

La situazione sociale ed economica in Israele è molto grave: il divario ricchi-poveri aumenta sempre più e la destra è tutta concentrata sul fare affari, per i poveri resta la carità. Dice chiaramente che Israele sta andando verso una alternativa antidemocratica e autoritaria, con una militarizzazione sempre più spinta. L’opposizione è molto piccola, senza influenza sulla società frammentata, ci dice che considera la manifestazione del 2 dicembre un fallimento. E’ passata, con la costruzione del Muro, l’idea della separazione, contro quella della coesistenza, di fronte alla impotenza della politica. La società israeliana è divisa e impoverita, i russi (un milione circa) sono una società a parte dentro la società e lo sviluppo delle mafie cresce. Si è accreditata l’idea dell’Islam come nemico principale. Una situazione così bloccata può essere sbloccata solo a livello internazionale: il piano Baker, a cui in Israele ci sono però state reazioni negative, il rilancio del multilateralismo, l’idea di contrapporre alla distruzione un generale processo di democratizzazione, sono possibili spazi.

 

Ramallah, 9 dicembre 2006

Incontro con il Sindacato dei dipendenti pubblici in sciopero.

Sono 165.000 i lavoratori dipendenti dalla Autorità Nazionale Palestinese da 10 mesi senza salario a causa delle sanzioni decretate dalla Unione Europea nei confronti del Governo di Hamas, eletto con le elezioni del 25 gennaio di quest’anno, a detta di tutti gli osservatori nazionali e internazionali, corrette e democratiche.

Attualmente questi lavoratori ricevono, sia attraverso il meccanismo temporaneo della Unione Europea approvato dal Quartetto (che bypassa il Governo) sia attraverso donazioni dai paesi arabi, circa il 20% del salario. Questo riguarda i dipendenti della Sanità e della Istruzione, ma non gli altri 120.000 dipendenti pubblici, di cui 86.000 fanno parte delle forze di sicurezza.

Sono in sciopero da settembre. Le condizioni economiche e sociali sono sempre peggiori, la povertà colpisce il 70% circa della popolazione. C’è stato un incremento del 20% di criminalità comune. Sono aumentate le malattie anche perché le derrate alimentari non vengono controllate. Molte aziende hanno chiuso i battenti.

Viene richiesta una pressione internazionale da parte della società civile sui rispettivi Governi perché venga rispettato il risultato elettorale e non venga fatto pagare a tutta la popolazione palestinese un altissimo prezzo. Viene anche richiesto di fare pressione perché Israele restituisca le tasse riscosse, che spettano ai palestinesi.

Questo sindacato è stato creato 4 anni fa, anche in polemica contro la corruzione. Il Governo palestinese non ha mantenuto il programma, - dicono - ma non dispone di soldi. I rappresentanti sindacali hanno convenuto che, durante lo sciopero, ci sia comunque la copertura delle emergenze. La situazione è molto grave, perciò – dicono - il Governo deve rivedere la sua politica. Tutti sottolineano il carattere non politico dello sciopero, ma concordano che la soluzione, per uscire dall’impasse, potrebbe essere quella di un Governo di unità nazionale Hamas-Fatah.

 

Incontro con PNGO

(è una coalizione di circa 100 organizzazioni non governative, lavora a livello nazionale – in videoconferenza con Gaza, per l’impossibilità di entrare e uscire - e internazionale, coordinandosi con altre associazioni).

Partecipano alla riunione i rappresentanti dello “Steering Committee”.

Viene fatta una presentazione dettagliata sugli avvenimenti dopo l’elezione al Governo di Hamas, le caratteristiche sempre più gravi della situazione politica, l’aggravarsi della crisi umanitaria, le conseguenze della guerra in Libano, la valutazione positiva del rapporto Usa Baker Hamilton.

La situazione sul terreno indica la gravità sociale ed economica e la disintegrazione geografica: il muro è ormai di 450 km ., ci sono tre zone, praticamente in comunicanti: Gaza, Gerusalemme est e 3 bantustan nella Cisgiordania, isolati gli uni dagli altri.

Alla crisi socioeconomica corrisponde un grave impasse politico; ci sono due Autorità con due teste: la Presidenza e il Gabinetto dei Ministri. Il Quartetto continua a porre le condizioni del riconoscimento del diritto ad esistere di Israele, il riconoscimento degli accordi di Oslo, la rinuncia alla violenza come indispensabili per la ripresa di rapporti con il Governo (ma fanno notare che gli Accordi di Oslo sono stati ampiamente violati dal Governo israeliano,  ad esempio con la costruzione  del muro, e che Hamas rispetta da quasi due anni la tregua, oltre ad aver riconosciuto i confini del 1967, quindi implicitamente Israele stesso….)

La posizione di Israele viene così riassunta:

-         Impossibile negoziare perché non c’è partner

-         Il conflitto va contenuto, non risolto

-         Strategia per un accordo provvisorio (non Stato, non definizione confini, non capitale ecc)

Sul terreno, dopo la cattura del soldato israeliano Shalit, la repressione israeliana si è fatta sempre più forte, l’Autorità centrale è debole, mentre si sviluppano conflitti interni e prevale un senso di disperazione e frustrazione generale, anche per la situazione economica determinata dal blocco degli aiuti e dall’embargo sui trasferimenti bancari.

La posizione della società civile:

-         il risultato delle elezioni va rispettato;

-         i fondi che arrivano dall’esterno non vanno utilizzati per una agenda politica sotterranea (caduta del Governo)

-         le Ong non sono disponibili a canalizzare aiuti e sopperire ad inadempienze verso Governo

-         molto importante un lavoro coordinato anche a livello internazionale

-         rifiuto delle Ong palestinesi di firmare certificato “antiterrorismo” che propongono Usa per accedere ai fondi di US Aid: 120 milioni di dollari per Ong e Governo.

Ruolo società civile:

-         sostegno forte ai valori democratici:

-         attività per realizzare il massimo di coordinamento tra tutte le associazioni

-         sostegno ad iniziative nazionali;

-         alleviare la sofferenza e rispondere a bisogni della popolazione

Israele ha creato fatti compiuti continuamente e dice che non c’è partner, è evidente una progressiva incapacità palestinese di influenzare la sua politica: l’attenzione non è più concentrata sulla occupazione, ma sulle questioni interne.

La guerra in Libano è stata una azione selvaggia; Israele non ci ha guadagnato niente, ma si è aperto un conflitto interno a Israele stesso, che destabilizza fortemente tutto il quadro politico della regione.

Quali scenari?

-         Dialogo nazionale per Governo di unità nazionale

-         Conferenza internazionale (proposta Italia, Spagna, Francia)

-         Piano Baker-Hamilton

-         Elezioni anticipate in Palestina (4 mesi per Presidenziali, di più per Parlamento)

Quale possibile uscita?

-         Accordarsi per un possibile piano politico comune

-         Gestire democraticamente il conflitto interno

-         Lavorare per un Governo di unità nazionale

Problemi:

-         Forte disputa interna: non c’è possibilità di esercizio di Governo da parte di Hamas

-         Che vuol dire riconoscere Israele? Con quali confini?

-         Nuove e anticipate elezioni? Molto rischiose

-         Governo di unità nazionale è meglio, ma se non c’è il riconoscimento di Israele nei termini in cui lo chiedono, la situazione non cambia

-         Troppe pressioni esterne su entrambe le parti; mettono in difficoltà anche società civile che rischia di arretrare nel proprio sviluppo

-         Necessaria riforma OLP, deve essere inclusivo di tutti

-         Hamas viene considerato grande problema per Europa, ma lo è anche per Palestina. Necessario sostenere decisamente la via democratica: Hamas ha accettato di misurarsi su questo terreno, è un passo importante

-         Segno positivo il piano Baker per quanto riguarda il rapporto Usa-Medio oriente

Esprimono le loro critiche (che ci verranno rappresentate anche dalle altre associazioni che incontreremo) sulle modalità con cui le Nazioni Unite stanno procedendo per la compilazione del “Registro dei danni provocati dal muro” alla popolazione. Mancano criteri precisi per l’identificazione dei danni (“materiali e immateriali”) e delle persone danneggiate. Ci dicono che o verranno apportate le modifiche presentate dalle associazioni o non parteciperanno al lavoro di raccolta delle informazioni, in quanto sarebbe inutilizzabile.

Proposta PNGO: loro partecipazione a due riunioni all’anno di ECCP a Bruxelles per coordinamento e discussione; invito ad essere presenti nelle riunioni in Palestina in occasione della discussione su campagne internazionali (es. quella per sanzioni contro l’occupazione)

Principio fondamentale per essere all’interno di PNGO: riconoscere spazio e pratiche democratiche; tradizionalmente non erano presenti né Fatah né Hamas, adesso ci sono due associazioni  rispettivamente legate alle due forze politiche.

 

Incontro con diversi sindacati

Abbiamo per la prima volta incontrato anche sindacati diversi dal PGFTU, che è la confederazione storica nata nel 1965 (Palestinian General Federation of Trade Unions): sono infatti nati negli anni più recenti nuovi sindacati, sulla base dei principi di democrazia e indipendenza. E’ infatti forte la critica alla assenza di elezioni all’interno del principale sindacato, da molti anni. Nel 1993 si è formato un Centro per la democrazia e i diritti dei lavoratori che opera come coordinamento per i diversi nuovi sindacati e fornisce aiuto legale e formativo sui temi: democrazia e indipendenza; libertà di associazione; ambiente e sicurezza.

E’ nella loro sede che incontriamo diversi rappresentanti sindacali dei settori di Banche, Università, Enti locali, servizi pubblici della sanità, e il sindacato per la libertà di associazione. Si sono inoltre formati 15 comitati in altrettanti posti di lavoro. Sia i sindacati di categoria che i comitati di fabbrica o posto di lavoro hanno un anno di vita circa. Insistono molto sulla necessità di indipendenza dalla politica e in particolare dall’OLP, pur essendo tutti iscritti a partiti. La situazione di un’economia totalmente dipendente da Israele è ragione di grande difficoltà. 40.000 laureati all’anno si ritrovano disoccupati. Viene espresso un netto giudizio di condanna sul blocco degli aiuti economici deciso dalla UE, che ha attivato in tal modo un embargo internazionale contro la popolazione palestinese.

Lo sciopero dei dipendenti pubblici è considerato uno sciopero tutto politico contro il Governo e l’atteggiamento del Governo è negativo. Tuttavia ci consegnano il testo di un primo accordo che sono riusciti a realizzare per il pagamento parziale dei salari nel settore dell’istruzione e della sanità (i settori a cui arrivano parte dei fondi attraverso il meccanismo provvisorio stabilito dalla UE, senza passare dal Governo). Dopo la conclusione di questo accordo hanno deciso, proprio nel giorno in cui li incontriamo, la sospensione(non la fine, tengono a sottolineare) dello sciopero.

Incontro con Mustapha Barghouti, deputato di Mubadara (Iniziativa nazionale palestinese)

Conosciamo Mustapha Barghouti da molti anni, da quando, come presidente della coalizione delle organizzazioni non governative e del Medical Relief, aveva fatto appello ad una presenza civile internazionale nei territori occupati, come forma di solidarietà e protezione della popolazione civile palestinese (nel 2001: anno in cui, per rispondere a questo appello, è nata in Italia la coalizione di Action for Peace , di cui la Fiom fa parte, e si è avviato un piano di missioni civili in Palestina-Israele, prima interrotto e poi molto rallentato a causa dei respingimenti all’aeroporto di Tel Aviv delle missioni internazionali).

Attualmente, in veste di deputato di una piccola formazione politica indipendente,Barghouti ha un ruolo importante di mediazione tra Fatah e Hamas, per favorire la formazione di un Governo di unità nazionale. L’obiettivo politico, ci dice, è quello di arrivare alla costituzione di uno Stato Palestinese indipendente sui confini pre-occupazione del 1967, con la fine dell’occupazione. E’ molto critico verso le posizioni della Unione Europea, che non ha fatto aperture rispetto al blocco degli aiuti alla ANP, pur avendo Hamas, e lo stesso suo leader all’estero, Mashal, riconosciuto i confini del ‘67. Anzi, sembra che la UE abbia stanziato un sostanzioso pacchetto di aiuti economici a Israele per i prossimi 7 anni.

Barghouti insiste sulla necessità di mobilitazioni forti anche a livello internazionale, come cercano di fare in Palestina, con la resistenza popolare non violenta al Muro, e parla della intenzione, anche da parte palestinese, di avviare il boicottaggio di alcuni prodotti israeliani come forma di pressione sul Governo. Ritiene che la strada per modificare le posizioni di Hamas, frutto della povertà e di un sistema politico clientelare, debba essere quella politica e non quella della violenza, ma Israele deve accettare la reciprocità. Parla della necessità di togliere ad Hamas il monopolio sulle moschee e di fare una legge che stabilisca un fondo per gli studenti, in modo che possano accedere agli studi fuori dalla dipendenza politica. Ritiene che una delle maggiori difficoltà per la formazione di un Governo di unità nazionale palestinese sia rappresentata da forti pressioni esterne su entrambi le parti politiche. “La democrazia deve essere il nostro strumento fondamentale e per questo va riformato anche la OLP”, dentro la quale non sono presenti Hamas, Jihad e Mubadara, che fanno insieme più del 50%. Poi bisognerebbe costituire un nuovo Consiglio legislativo nazionale (parlamento) facendo votare anche i palestinesi della diaspora. 

Delinea infine quale a suo avviso sarebbe lo scenario ideale:

-         Governo di unità nazionale

-         Forte movimento popolare non violento palestinese

-         Forte movimento di solidarietà internazionale

 

Ilan Halevi,

giornalista e politico israeliano- palestinese, uno dei pochi componenti ebrei della OLP. Rappresentante dell’Olp in Europa e presso l’internazionale socialista, è stato viceministro dell’ Olp per gli affari internazionali ed in tale veste ha partecipato alla Conferenza di Madrid del 1991. E’ stato uno dei fondatori della Revue des Etudes Palestiniennes e vive attualmente tra Parigi e la Cisgiordania.

C’è molta confusione dappertutto: su Hamas anche qui ci sono percezioni molto diverse. Dentro Fatah coesistono diverse posizioni e linee. Il documento dei prigionieri politici rappresenta comunque, perché sottoscritto da tutte le parti politiche, la base per un Governo di unità nazionale.

Marwan Barghouti, adesso in carcere, aveva fin dal 1996 capito che cosa si stava preparando, non negli apparati politici, ma nelle strade e per questo aveva fatto appello a tutte le forze patriottiche e islamiche, proprio per non lasciare solo ad Hamas “la strada”. I prigionieri che sono oltre 8000, rappresentano un “collegio” elettorale significativo. E’ importante che Abu Mazen e Hanye siano d’accordo per il Governo di unità nazionale, ma questo accordo deve essere condiviso anche dalle strutture di entrambe le forze politiche. Al momento non lo è; pesa molto anche la repressione che venne operata nel 1996 dalla ANP nei confronti degli islamismi: ne vennero messi in prigione ben 3000. D’altra parte il modesto scarto che c’è stato nelle elezioni impedisce che Fatah proceda ad una seria autocritica: secondo me è difficile per entrambe governare, tantopiù che le pressioni internazionali sono molto forti. Hamas ha fatto la sua campagna elettorale senza fare riferimento al modello sociale che hanno in testa, e neanche agli slogan politici: si sono presentati come “Cambiamento e riforme” (qualcuno addirittura guardando al modello di Governo islamico moderato della Turchia). Comunque le frontiere del 67 le riconoscono ed è del tutto ideologico chiedere loro di accettare “il diritto ad esistere” di Israele. A fronte di quel riconoscimento dovrebbe avvenire la fine dell’occupazione, più passa il tempo più si fa forte la pressione popolare per una maggior rigidità, c’è rabbia contro quello che è percepito come volontà di umiliazione. La situazione è andata indietro, dopo 13 anni di fallimento del processo di pace; addirittura non viene messo internazionalmente in discussione neanche l’assassinio politico che Israele pratica normalmente: si fanno solo i conti di quanti civili ci sono andati di mezzo, come “danno collaterale”! Nostra speranza è che riprendano i negoziati, che si parli, mentre cresce il numero di quelli che non vogliono parlare, ma vogliono sparare…A Gaza cresce insieme alla esasperazione (c’è chi rapisce per poter avere un posto nella polizia) anche la criminalità comune, o qualcosa di molto simile.

Qui c’è un conflitto che potremmo definire arcaico: per la terra e per l’acqua, ma adesso è entrato nelle dinamiche globali: Palestina, Libano, Iraq, sono parte della stessa guerra agli occhi delle persone, ma non altrettanto per i politici. Prevale l’isteria islamofobica, gli ultraconservatori sono quelli che vogliono distruggere le società: sono piuttosto scettico sui “movimenti” politici: Rumsfeld cacciato, Bolton dimissionario, il piano Baker Hamilton. Ma credo che nella situazione in cui siamo bisogna attaccarsi anche ai più piccoli spiragli….

 

10 dicembre a Ramallah

Incontro con il Consiglio Legislativo Palestinese (Parlamento).

Questo organismo è stato eletto nel gennaio 2005, l’ultima elezione era stata nel 1996. Hamas ha vinto ottenendo 74 seggi, Fatah ne ha ottenuti 45.

All’incontro partecipano un deputato indipendente, come portavoce, uno di Hamas, una deputata del PFLP.

  1. Un terzo del Governo si trova ancora in prigione e gli effetti disastrosi sulla popolazione prodotti dal blocco degli aiuti e dagli scioperi connessi all’assenza di salari. L’OLP ha riconosciuto Israele ed è rappresentativo di tutti i palestinesi. Il cessate il fuoco al momento è unilaterale, da parte palestinese. Ci sono ancora oltre 8000 prigionieri, di cui alcuni sono neonati nati in prigione. L’auspicio è quello di un Governo di unità nazionale. Le richieste sono: aiutare lo sblocco dei fondi, sostenere l’iniziativa per una Conferenza internazionale; sostenere la richiesta di truppe internazionali di interposizione. E’ un paradosso che proprio in un paese sotto occupazione la popolazione abbia esercitato la democrazia e comprenda il senso dei diritti umani e che la comunità internazionale non lo riconosca.
  2. E’ vero che ci sono idee diverse – dice il rappresentante di Hamas – ma Fatah ha perso le elezioni e non può fare come se le avesse vinte. Il documento dei prigionieri è stato firmato anche da Hamas e lo consideriamo la base per un accordo di unità nazionale che auspichiamo. Siamo anche per la riforma della Olp e delle forze di sicurezza. Vogliamo una pace giusta e vi chiediamo di aiutarci a realizzarla.
  3. La parlamentare esprime la necessità di una discussione interna palestinese, libera dalle troppe pressioni esterne.

 

Al Palazzo presidenziale (Mukhata)

Qui incontriamo prima il capogabinetto del Presidente e poi il Presidente stesso Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Il capo di gabinetto denuncia il terrorismo di Stato israeliano, che ha fatto in pochi mesi ben 450 vittime. Denuncia una situazione politica bloccata e la necessità, per uscirne, di andare a nuove elezioni sia presidenziali che legislative (decisione che ci comunica esser stata presa dall’Esecutivo dell’OLP). E’ molto duro con Hamas, e in particolare con il loro programma sociale che rappresenterebbe un forte arretramento e islamizzazione della società. Denuncia anche il fallimento dell’occidente in tutta l’area e l’opportunismo nel sostegno all’islamismo sia da parte degli Usa (“Bin Laden è creatura della Cia) che dei britannici (“che hanno favorito i fratelli musulmani, per mettere un freno al movimento progressista e anticoloniale”). “La dinamica internazionale è estremamente complicata e rischia di sottrarci la possibilità di decisioni “. Per questo insiste sulle elezioni anticipate, come unica strada per sbloccare la situazione!

Il Presidente esprime una posizione un po’ diversa, sostenendo che il Governo di unità nazionale è la sua prima opzione e che continuerà a lavorare per questo, dato che comunque la decisione per elezioni anticipate non ha effetto operativo immediato. “Se troviamo un accordo non si fanno le elezioni”. La questione di fondo non riguarda i posti di ministro, “sono disponibile a non richiedere nessun ministero”, e a procedere alla riforma dell’OLP, facendo entrare chi non c’è. Le elezioni anticipate diventano obbligatorie se non si riesce ad arrivare ad un accordo.

L’incontro con il Segretario generale del PGFTU, Shaher Saed, sarà purtroppo molto breve, alla fine di un seminario di dirigenti sindacali donne, dato il prolungarsi dell’incontro alla Mukhata.

 

Incontro con Mossi Raz, israeliano, già parlamentare del Meretz e tra i fondatori di Peace Now.

Attualmente è molto impegnato nella gestione di una stazione radio, “All for peace”, che va in onda due ore alla settimana, curata da un gruppo di giovani composto di palestinesi e israeliani. Ci sono circa 24.000 ascoltatori

E’ molto importante che ci sia una informazione costruita insieme, perché i media di solito riportano solo ciò che avviene in Israele (se sono israeliani) o in Palestina (se sono palestinesi). Ma bisogna che le sofferenze come la cultura e l’esperienza di entrambe le parti vengano conosciute da tutti. Il campo della pace è in Israele molto debole, in particolare a causa del ruolo negativo svolto dal Partito laburista, che è al Governo, e molti di Peace Now, ritengono che non bisogna scendere in piazza. E’ una vergogna che uno come Liebermann sia al Governo. Mossi ha partecipato sia alle mobilitazioni contro la guerra in Libano che a quella, molto limitata, del due dicembre per la fine dei combattimenti  e dell’assedio a Gaza. Sulla scarsa partecipazione ha forse influito il fatto che il giorno prima fosse stato proclamato il cessate il fuoco.

Del cosiddetto campo della pace fa anche parte Bat Shalom, che è una coalizione di donne, molto significativa e altri gruppi più radicali, ma molto piccoli.

Amir Peretz che pure aveva svolto un ruolo importante da leader sindacale, soprattutto sulla questione sociale, si è rivelato una grande delusione e si è tirato fuori dal campo della pace.

Gli Stati uniti sono l’unica potenza che potrebbe fare pressioni su Israele, ed essere ascoltati: le sanzioni contro i palestinesi sono contro il diritto internazionale.

Mossi dice anche che molto probabilmente anche in Israele ci sarà una mobilitazione forte contro l’occupazione in occasione dei 40 anni, nel 2007, e si augura che Meretz e Peace Now possano svolgere un ruolo trainante. Critica infine la politica di Israele per quanto riguarda il nucleare e sostiene che bisognerebbe battersi per un Medio oriente libero dal nucleare.

 

22 dicembre 2006