Di
ritorno dalla Palestina Alessandra Mecozzi
La Fiom ha partecipato a una delegazione di 60 osservatori internazionali sulle elezioni legislative palestinesi promossa in Italia da Action for Peace. Dopo due giorni, passati tra Gerusalemme, Ramallah ed Hebron, con visite e incontri, ogni gruppo raggiunge il 24 le città per il lavoro di "osservazione" sullo svolgimento delle elezioni. Io sono in un gruppo di dodici che andrà a Gaza dal 24 al 26 gennaio. Una amara sorpresaLa
prima amara sorpresa, arrivando a Gaza, è stata scoprire che l'UNDP
(Nazioni Unite) diversamente dallo scorso anno (elezioni
presidenziali)aveva deciso di non avere un ufficio di coordinamento per
osservatori, che l'Unione Europea su 200 osservatorei ufficiali, ne
aveva lasciati a Gaza solo
6, chiusi in un appartamento, con il divieto di muoversi oltre la
cerchia della città e di qualche zona vicina, per motivi di
"sicurezza". Ai parlamentari europei presenti sono stati
imposti gli stessi limiti. Proprio in un momento importante, di
espressione democratica (così tanto reclamata anche dall'UE)della
popolazione palestinese, le istituzioni sovranazionali li avevano
abbandonati, dichiarando apertamente che chi vi si recava, in
particolare al sud, verso il confine con l'Egitto, lo faceva a suo
rischio e pericolo. Una decisione che simbolicamente riassume e
rappresenta una politica reticente e paurosa, via via passata da una
ambigua "equidistanza" da occupati e occupanti ad un esplicito
sostegno alla politica unilaterale di Sharon. Quel ritiro sembrava dire
che la "insicurezza" era legata alla assenza dell'esercito
israeliano! Ed è per questo che tutte le associazioni che abbiamo
incontrato ci hanno ringraziato di essere lì: era una prova di fiducia
nella loro reale voglia e capacità di partecipazione democratica. Le speranze di GazaNoi
dodici ci siamo divisi in due gruppi e abbiamo girato nord, centro e
sud, il giorno delle elezioni, dopo aver sentito le opinioni, del tutto
tranquillizzanti, della commissione centrale elettorale palestinese, del
sindacato, del Centro Palestinese per Diritti Umani, che ci ha anzi
mezzo a disposizione due suoi volontari. Abbiamo
trovato una popolazione in festa, in una giornata da tutti considerata
storica, una accoglienza amichevole e contenta, seggi con grande folla;
presidenti di seggio competenti e professionali; rappresentanti di lista
presenti e attenti; bandiere di tutti i colori (verde, giallo, rosso)
all’entrata dei seggi, ma rigorosa proibizione di portarvi dentro
simboli di partito; al sud abbiamo incontrato solo osservatori locali. Lì
abbiamo sentito e visto il sollievo di chi ha potuto ritornare alle
proprie case, sia pure bombardate e circondate da cumuli di macerie
degli insediamenti, dopo il ritiro dei coloni dagli insediamenti di Gush
Khatif. Abbiamo visto fazzoletti di terra recintati vicino al mare (dove
c'erano le colonie e le case dei palestinesi forzosamente abbandonate)
dove qualcuno ha cominciato a piantare piccoli ulivi e pianticelle da
orto. Ho sentito la speranza, il desiderio di futuro, ma anche la
solitudine di questo popolo. Hamas vinceLa
seconda sorpresa è arrivata il 26 gennaio, quando, contro previsioni,
aspettative e sondaggi, si è saputo del successo straripante di Hamas
(74 seggi su 132, di cui 45 per il voto ai candidati circoscrizionali e
29 per il voto sulle liste; Fatah, 17 e 28; il resto, Pur
disponendo di forti personalità (due delle quali, Yassine e Rantissi
assassinati dall'esercito israeliano), non e mai stata nel gioco
politico democratico (non faceva parte dell'OLP) e nei negoziati di
pace, di cui ha anzi criticato radicalmente i risultati degli accordi di
Oslo, ha scelto di affrontare per la prima volta la partecipazione
politica e il giudizio popolare, entrando nel processo elettorale per il
consiglio legislativo, cioè il parlamento palestinese (alle elezioni
presidenziali non aveva partecipato). E
questa forse è una delle ragioni per cui ha subito proposto a Fatah di
costituire insieme un governo di unita nazionale, avendone per ora un
netto rifiuto.
“Adesso devono cambiare anche loro…”Coloro
con cui abbiamo potuto parlare, di Fatah o altre forze di sinistra,
hanno espresso parere contrario ad una ipotesi di governo di unita
nazionale, di cui aveva parlato, dal carcere, il solo Marwan Barghouti
il giorno prima delle elezioni, e che è vista, forse illuministicamente,
come la soluzione migliore anche da alcuni esponenti israeliani della
sinistra radicale (Michel Warshawsky). Se è vero infatti che una
soluzione politica di questo tipo consentirebbe ai palestinesi, la cui
identità nazionale forte è sempre stato l'unico strumento di
sopravvivenza politica, di poter tenere nelle proprie mani in certa
misura l’ iniziativa, evitando di essere usati gli uni contro gli
altri, è anche difficile pensare, almeno nell'immediato, che i rapporti
esistenti possano produrre un accordo politico di governo. Ce lo dice a
Nablus Majid, una candidata del Fronte Popolare che non è riuscita ad
essere eletta pur avendo ottenuto 15.000 preferenze, impegnatissima
anche nella lotta per i diritti delle donne, e ce lo dice Abla, del
Sindacato PGFTU, mostrandomi con orgoglio i depliants che ha fatto per
la partecipazione al voto: "Devono mettersi alla prova, cambiare
anche loro, mostrare se sapranno dare risposte migliori e alternative
alle aspettative e alle frustrazioni sociali". Sono queste infatti,
in larga misura, piu ancora forse del sentimento di appartenenza
religiosa, che ne hanno decretato il successo, particolarmente rilevante
rispetto ai candidati circoscrizionali, dove si sono concentrati su
candidature singole, mentre gli altri si sono dispersi in numerosi nomi.
C'è anche chi pensa, almeno come fase di passaggio, che possa essere
costruito un governo fatto da personalità di vario orientamento, più
tecnici che politici, caratterizzato da moderazione politica...(Zvi
Schuldiner). Una protesta sociale e moralePerché
questo voto? Il nome con cui si e presentato Hamas alle elezioni è"cambiare
e riformare", cioè quello che tutti reclamano e aspettano. 12 anni
di governo di Fatah non hanno portato risultati ne dal punto di vista
del processo di pace e dei diritti palestinesi, sociali e nazionali, che
anzi sono regrediti con la costruzione del muro che ha esteso l
occupazione, e, a detta anche di molti di al Fatah, la corruzione e
l’utilizzo di risorse pubbliche per vantaggi personali erano
esagerati. Il fallimento degli accordi di Oslo, venne sottolineato dalla
esplosione della seconda intifada che in qualche modo esprimeva anche
una critica alla direzione politica, oltre che la reazione a sette anni
in cui ai negoziati e agli accordi intermedi non avevano fatto seguito
cambiamenti sostanziali della condizione di vita, ma anzi avevano visto
il proseguire della colonizzazione con il raddoppio del numero dei
coloni, senza che niente fosse stato fatto contro questo. La
rioccupazione violenta delle città nel 2002, con l'operazione "defensive
shield", poi l'implacabile costruzione del muro che sempre più ha
evidenziato una politica di annessione di ulteriori porzioni di
territori, non la separazione sui confini del 1967, mentre
l'immiserimento della popolazione aumentava, insieme alla umiliazione
politica dell'imprigionamento di Arafat fino alla sua tuttora misteriosa
morte, l'arroganza indisturbata di Sharon, che anche nel ritiro da Gaza
ha voluto marcare il suo disegno unilaterale, disconoscendo l'Autorità
Nazionale Palestinese, sottolineandone la inconsistenza e la dipendenza:
se scorriamo rapidamente queste immagini riusciamo a spiegarci il perché
del clamoroso successo di Hamas, presentatosi per la prima volta alle
elezioni con il nome di "cambiamento e riforme", dopo aver a
lungo lavorato nella società, certo in maniera assistenziale e
clientelare, ma in modo estremamente diffuso, soprattutto negli strati
più poveri della popolazione, e con una incessante campagna contro la
corruzione, fortemente demagogica, ma con segni riscontrabili nella
realtà, nel modo di vivere di personalità e ministri. Del resto
conviene guardarsi con attenzione i risultati, particolarmente
quelli del voto nominativo, (dove la distanza tra i voti per Hamas e
Fatah è più grande)per capire la grande importanza delle singole
personalità e il differente legame con i rispettivi territori. Pesanti responsabilità
della Comunità Internazionale
Ma
se gli errori di Al Fatah ci sono certamente stati, l'Europa in primo
luogo ha una responsabilità storica nel non aver fatto una politica
realmente orientata alla pace e alla affermazione dei diritti nazionali
palestinesi, lasciando che procedesse una occupazione militare e
coloniale, in spregio a risoluzioni ONU, Convenzioni di Ginevra, il
parere della Corte Internazionale di giustizia sulla illegalità del
muro. Tante volte nel corso di questi ultimi anni ci siamo sentiti
ripetere dalle donne e uomini palestinesi che incontravamo che l' Unione
Europea dovrebbe dare meno soldi e più azione politica per la giustizia
e la pace! E adesso vorrebbe, come gli Stati Uniti, sottoporre una
intera popolazione ad un'altra punizione collettiva tagliando i fondi
che alimentano oltre 100.000 stipendi, se Hamas non rinuncia alle armi e
non riconosce lo Stato di Israele, senza nulla dire sulla prospettiva,
in una situazione in cui il processo di pace è palesemente morto, e
senza nulla chiedere all'autore di violazioni macroscopiche del diritto
internazionale e dei diritti umani della popolazione occupata: il
Governo di Israele, la cui politica, e non la popolazione israeliana,
avrebbe da tempo meritato sanzioni internazionali, richiesta finora
inascoltata della Campagna europea di associazioni e sindacati (anche
palestinesi e israeliane) per le sanzioni contro l’occupazione. Una nuova riflessione anche per il movimento per la paceE
adesso una nuova riflessione si pone anche al movimento europeo e
internazionale per la pace: almeno due credo debbano essere le direzioni
certe della nostra bussola. La prima, quella del mantenimento e
rafforzamento della vicinanza a tutti quegli uomini e donne palestinesi
ed israeliani che vogliono pace e giustizia, la fine dell’occupazione
e del muro, il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani e
nazionali dei palestinesi, ascoltando e dando forza alle voci, come
quella dei “Combattenti per la pace”, gruppo composto da israeliani
e palestinesi, che hanno scelto di lasciare armi e violenza e di
combattere in modo non violento contro l’occupazione. Un giovane
palestinese ci ha detto: “adesso che Hamas ha vinto le elezioni,
proporremo anche a loro di seguire questa strada…”; la seconda
quella di guardare ad Hamas come una forza sociale, oggi politicamente
rappresentativa della maggioranza della popolazione palestinese, con cui
confrontare con chiarezza la nostra visione sulla pace, la giustizia, i
diritti di donne e uomini, consapevoli della grande distanza e diversità
da una visione religiosa integralista che era estranea alla società
palestinese ed ha potuto affermarsi anche grazie agli errori
dell’occidente e alla retorica armata e guerriera della “guerra al
terrorismo”. E’ ancora troppo presto per dare giudizi definitivi o
delineare strategie, ma è certo che il movimento internazionale per la
pace e la giustizia non potrà che sostenere ancora e con maggior forza
l’incontro e il dialogo con una società civile che continuerà a
reclamare i propri diritti individuali e collettivi, primo tra tutti
quello a vivere e lottare in pace, cittadine e cittadini di un proprio e
vero Stato indipendente. Forse mai come adesso l’ombra dello scontro di civiltà è vicina, e mai come adesso dipende anche da tutte e tutti noi , soprattutto in Europa, la costruzione dell’incontro tra culture, civiltà, società. Non è questo il messaggio più forte che i movimenti hanno costruito con l’iniziativa di questi anni? Adesso c’è un banco di prova….
- Final Result distribution of PLC seats - Final Results for the Electoral Lists - Final Result Votes for Lists Per District
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febbraio 2006 |