Lettera firmata da 142 organizzazioni di società civile di tutti i continenti, tra cui la Fism. 

Commercio mondiale: guardare ai fatti invece di ascoltare la lobby delle multinazionali.

Le organizzazioni e singoli sottoscritti, rappresentano 10 milioni di lavoratori, contadini, senza terra e disoccupati, attivisti per i diritti umani, lo sviluppo e l’ambiente, donne, studenti, professori e cittadini di tutti gli angoli della terra.

Scriviamo in risposta alla lettera dei dirigenti e managers aziendali di grandi multinazionali mondiali, con la quale sollecitano i governi che compongono il  WTO (organizzazione mondiale del commercio) a concludere il ciclo di negoziati di Doha “in tempo”.

Sebbene non ci facciamo illusioni sulle ragioni per le quali le multinazionali sono così ansiose di vedere la conclusione del round di Doha, consideriamo davvero deviante la loro argomentazione secondo la quale la liberalizzazione del commercio è “una forza guida per la crescita economica globale, la creazione di posti di lavoro e la possibilità di più ampi consumi”. 

La prima dichiarazione sulla crescita è discutibile. Un rapporto recente dal Centro di Ricerca per la politica economica, confronta i tassi medi di crescita in 175 paesi tra il 1960 - 1979  e il 1980-2000, divisi in cinque gruppi secondo il reddito procapite all’inizio di ciascun periodo. Nei primi 4 gruppi, i tassi medi di crescita sono caduti di oltre la metà, da quelli compresi tra 2,4 e 3,1% del primo ventennio a quelli di 0,7 a 1,3 %del secondo ventennio.

Solo il gruppo con il più basso PIL procapite ha mostrato un lieve aumento, dal 1,7 a 1,8%, anche se include la rapida crescita di Cina e India (www.cepr.net).

Dati dell’OIL raccontano la stessa storia: la crescita del PIL mondiale procapite scende dal 3,6% del 1961 all’1% del 2003 (A fair globalisation, World commission on the social dimension of globalisation, ILO 2004, p.36)

L’America Latina mostra il più forte capovolgimento di fortune: tra il 1960 e il 1979 la regione è cresciuta di più dell’80%, tuttavia è crollata all’11% del 1980-2000 e 3% del 2000-2005.

E’ la peggior performance economica della storia moderna  dell’america latina, incluso anche il perido della Grande Depressione.

Sebbene le cosiddette “leading corporations” mondiali sostengano che una maggior liberalizzazione del commercio rovescerebbe questa tendenza, la realtà è che durante gli ultimi 25 ani l’America Latina ha già intrapreso una liberalizzazione unilaterale di beni e servizi attraverso i confini, in aggiunta alla privatizzazione, sotto la guida di più di 80 programmi del Fondo Monetario Internazionale.

Al contrario, il perido 1980-2000 è stato u  perido di liberalizzazione accelerata del commercio: il contributo medio del commercio al PIL è passato dal 40% al 60% quasi (ILO, 2004, p. 25). Non sembra che ci sia una stretta relazione tra crescita e aumento dei flussi commerciali.

Secondo, la dichiarazione per cui la liberalizzazione porterebbe alla creazione di posti di lavoro. Ancora, se guardiamo alla ricerca, tra il 1990 e il 2002 la disoccupazione è aumentata in 7 su 9 regioni. Nell’Asia di sud est la disoccupazione è almeno raddoppiata tra il 1990 e il 2002, passando da 3,6% a 6,5%. Analogamente nello stesso periodo la disoccupazione è cresciuta di quasi il 50% in america Latina e perfino nell’Asia orientale, che include la Cina , c’è stato lo stesso raddoppio.

Queste regioni stanno tutte vivendo un alto tasso di incremento demografico, così il numero assoluto di disoccupati cresce a un tasso anche più rapido.

E sebbene le 200 imprese leader mondiali contano per un quarto della attività economica mondiale, impiegano meno dell’1% della forza lavoro globale (Isituto di Studi politici, dicembre 2000).

Comprendiamo che l’Organizzazione Mondiale del Commercio e la liberalizzazione del commercio è stata redditizia per le multinazionali. In effetti, 49 delle 63 imprese che hanno firmato la lettera sono in “Forbes 2000” che dichiara l’insieme dei profitti in 109.29 miliardi di dollari e il loro valore di mercato totale in 2 180.5  miliardi di dollari. Ma prima di lanciarsi in dichiarazioni stravaganti sui benefici della liberalizzazione del commercio, i dirigenti e managers delle corporations mondiali farebbero bene a dare uno sguardo ai dati. Altrimenti, rischiano di essere accusati di distorcere i fatti a  vantaggio dei loro interessi.

In questi giorni pressanti prima di Hong Kong, i negoziatori sul commercio, a Ginevra, dovrebbero essere ben consigliati: guardare ai fatti anziché dare ascolto alle lobbies delle corporations.  

 

Financial times 15 novembre 2005