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Commercio mondiale: guardare ai fatti invece di ascoltare la lobby delle multinazionali. Le
organizzazioni e singoli sottoscritti, rappresentano 10 milioni di
lavoratori, contadini, senza terra e disoccupati, attivisti per i diritti
umani, lo sviluppo e l’ambiente, donne, studenti, professori e cittadini
di tutti gli angoli della terra. Scriviamo
in risposta alla lettera dei dirigenti e managers aziendali di grandi
multinazionali mondiali, con la quale sollecitano i governi che compongono
il WTO (organizzazione
mondiale del commercio) a concludere il ciclo di negoziati di Doha “in
tempo”. Sebbene non ci facciamo illusioni sulle ragioni per le quali le multinazionali sono così ansiose di vedere la conclusione del round di Doha, consideriamo davvero deviante la loro argomentazione secondo la quale la liberalizzazione del commercio è “una forza guida per la crescita economica globale, la creazione di posti di lavoro e la possibilità di più ampi consumi”. La prima
dichiarazione sulla crescita è discutibile. Un rapporto recente dal
Centro di Ricerca per la politica economica, confronta i tassi medi di
crescita in 175 paesi tra il 1960 - 1979
e il 1980-2000, divisi in cinque gruppi secondo il reddito
procapite all’inizio di ciascun periodo. Nei primi 4 gruppi, i tassi
medi di crescita sono caduti di oltre la metà, da quelli compresi tra 2,4
e 3,1% del primo ventennio a quelli di Solo il
gruppo con il più basso PIL procapite ha mostrato un lieve aumento, dal Dati
dell’OIL raccontano la stessa storia: la crescita del PIL mondiale
procapite scende dal 3,6% del 1961 all’1% del 2003 (A fair globalisation,
World commission on the social dimension of globalisation, ILO 2004, p.36) L’America
Latina mostra il più forte capovolgimento di fortune: tra il 1960 e il
1979 la regione è cresciuta di più dell’80%, tuttavia è crollata
all’11% del 1980-2000 e 3% del 2000-2005. E’ la
peggior performance economica della storia moderna
dell’america latina, incluso anche il perido della Grande
Depressione. Sebbene
le cosiddette “leading corporations” mondiali sostengano che una
maggior liberalizzazione del commercio rovescerebbe questa tendenza, la
realtà è che durante gli ultimi 25 ani l’America Latina ha già
intrapreso una liberalizzazione unilaterale di beni e servizi attraverso i
confini, in aggiunta alla privatizzazione, sotto la guida di più di 80
programmi del Fondo Monetario Internazionale. Al
contrario, il perido 1980-2000 è stato u
perido di liberalizzazione accelerata del commercio: il contributo
medio del commercio al PIL è passato dal 40% al 60% quasi (ILO, 2004, p.
25). Non sembra che ci sia una stretta relazione tra crescita e aumento
dei flussi commerciali. Secondo,
la dichiarazione per cui la liberalizzazione porterebbe alla creazione di
posti di lavoro. Ancora, se guardiamo alla ricerca, tra il 1990 e il 2002
la disoccupazione è aumentata in 7 su 9 regioni. Nell’Asia di sud est
la disoccupazione è almeno raddoppiata tra il 1990 e il 2002, passando da
3,6% a 6,5%. Analogamente nello stesso periodo la disoccupazione è
cresciuta di quasi il 50% in america Latina e perfino nell’Asia
orientale, che include Queste
regioni stanno tutte vivendo un alto tasso di incremento demografico, così
il numero assoluto di disoccupati cresce a un tasso anche più rapido. E
sebbene le 200 imprese leader mondiali contano per un quarto della attività
economica mondiale, impiegano meno dell’1% della forza lavoro globale (Isituto
di Studi politici, dicembre 2000). Comprendiamo
che l’Organizzazione Mondiale del Commercio e la liberalizzazione del
commercio è stata redditizia per le multinazionali. In effetti, 49 delle
63 imprese che hanno firmato la lettera sono in “Forbes In
questi giorni pressanti prima di Hong Kong, i negoziatori sul commercio, a
Ginevra, dovrebbero essere ben consigliati: guardare ai fatti anziché
dare ascolto alle lobbies delle corporations.
Financial
times 15 novembre 2005 |