| Commercio, occupazione e sviluppo: Una strategia per i lavoratori dell’industria metalmeccanica Qualche conclusione e alcune proposte presentate Nei
      giorni 11, 12 e 13 ottobre si è tenuto nella Scuola sindacale del CAW,
      sindacato canadese dell’auto, in Canada, Port Elgin, un seminario
      promosso dalla Fism con la partecipazione di dirigenti e rappresentanti di
      sindacati metalmeccanici  dell’America
      del sud e del nord, insieme a rappresentanti di sindacati del’Asia,
      Europa, Africa, tutti affiliati alla Fism e facenti parte del gruppo di
      lavoro sui suddetti temi.  Scopo dell’incontro,
      analizzare lo stato attuale delle negoziazioni dell’OMC – cioè in
      ambito multilaterale – e nelle sfere regionali e bilaterali. Inoltre si
      è discusso sul ruolo globale della economia cinese.  Il
      seminario è un momento di arrivo di un intenso lavoro svolto dalla Fism
      con seminari regionali, intensa attività del gruppo di lavoro e attività
      sulla OMC, con obiettivi principali: ·        
      Fornire
      agli affiliati elementi per accompagnare lo sviluppo dei negoziati OMC,
      specialmente relativi al tentativo di nuova liberalizzazione delle tariffe
      industriali (NAMA). 
       ·        
      Discutere
      l’impatto di questi processi di negoziazione commrciale (sia accordi di
      libero commercio, sia accordi di integrazione) sull’occupazione e i
      diritti del lavoro. ·        
      Promuovere
      lo scambio di informazionie di esperienze tra sindacalisti delle diverse
      regioni (paesi sviluppati e in via di sviluppo), circa gli effetti di
      queste politiche suo mercato del lavoro e sulle azioni e politiche
      sviluppate.   ·        
      Aiutare
      la formulazione di proposte e azioni sindacali contro queste questioni e
      sostenere una maggior articolazione e collegamento dei sindacati
      metalmeccanici con sindacati di altri settori e con movimenti sociali
      anche essi in lotta contro il fondamentalismo del libero commercio e la
      deregolamentazione economica e sociale.  · Tutti hanno condiviso la preoccupazione che una nuova liberalizzazione commerciale, applicata in forma rigida e generalizzata, produrrà danni serii alle economie con minor sviluppo e potrà impedire che questi paesi si costruiscano una propria politica industriale e rimangano nella condizione di esportatori di prodotti primari e di basso valore aggiunto. L’applicazione di queste misure avrebbe un forte impatto negativo sulla prospettiva di realizzare uno sviluppo sostenibile nei paesi e regioni più povere e meno sviluppate, peggiorando le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle lavoratrici di questi paesi. 
 D’altro
      canto, si è anche analizzato che la riduzione tariffaria proposta per i
      paesi più sviluppati relativa ai prodotti industriali e servizi (la
      cosiddetta formula svizzera) potrebbe provocare la perdita di molti posti
      di lavoro industriali , aumenterebbe in via generale la precarizzazione
      delle condizioni di lavoro di molti lavoratori e lavoratrici che
      attualmente dispongono di contratti di lavoro e che andrebbero ad
      ingrossare le fila del mercato informale del lavoro perdendo le tutele
      minime del lavoro.  Molto
      probabilmente ci sarebbero conseguenze negative anche per i lavoratori e
      le lavoratrici dei paesi più sviluppati, che hanno sofferto
      sistematicamente perdite e riduzione dei diritti del lavoro e sociali, a
      causa della delocalizzazione delle imprese,
      investimenti e produzioni, in paesi con bassi costi di produzione, in
      virtù dei sussidi fiscali e soprattutto dell’intenso sfruttamento della
      forza lavoro, con bassissimi salari e assenza di tutele dei diritti. Una
      nuova apertura del commercio generalizzata e non flessibile, come è stata
      proposta, potrebbe provocare una nuova ondata di delocalizzazioni degli
      investimenti dei paesi centrali verso paesi che garantiscono l’aumento
      della competitività dei propri prodotti. In questo ambito di
      preoccupazioni, è stato particolarmente discusso il caso della Cina,
      analizzando la crescita costante delle sue esportazioni, la crescita dell’industria
      automobilistica e il trasferimento di investimenti e produzione in questo
      paese.   Due
      temi molto discussi sono stati gli effetti del libero commercio e l’inclusione
      nel corpo degli accordi di meccanismi che permettano la difesa dei diritti
      del lavoro fondamentali. In relazione alla prima questione si è convenuto
      che il libero commercio dovrebbe esser visto come uno strumento e non un
      obiettivo finale capace di dar soluzione a tutti i problemi economici,
      come sostiene la politica liberista che ha egemonizzato nell’ultimo
      ventennio tutti gli ambiti multilaterali.  Tutti
      concordano che ciò che deve essere analizzato è come si sta negoziando e
      che cosa significa un Trattato di libero commercio tra economie più
      ricche e quelle meno sviluppate (come è il caso del Cafta, firmato tra i
      paesi della America Centrale e gli Stati Uniti e due accordi firmati da
      quel paese e il Cile nel 2003 e con il Peru e la Colombia nel 2006, tutti
      molto svantaggiosi per i paesi latino americani.) Quanto
      all’inclusione di meccanismi di tutela del lavoro negli accordi
      commerciali, c’è stato assoluto consenso sulla importanza del tema e la
      necessità di trovare forme di pressione che ne consentano l’applicazione
      nei negoziati commerciali. Nello stesso tempo si è riconosciuto che è
      necessario analizzare caso per caso, perché nell’ambito di un accordo
      tra economie con grande squilibrio economico e commerciale (come sono gli
      esempi dei negoziati nord-sud) chiaramente svantaggiosi per la parte più
      debole, è difficile che qualsiasi meccanismo di protezione del lavoro
      possa svolgere il suo ruolo.  Su
      questi aspetti, si è anche rilevato che la strategia del movimento
      sindacale internazionale di promuovere le clausole sociali (CLS) non è
      sufficiente. Perché la nostra lotta sia efficace e con risultati concreti
      il movimento sindacale deve elaborare un progetto alternativo al liberismo
      e per la riforma del sistema della “governance” mondiale. La FISM si
      è preparata a questa sfida con l’adozione del Programma economico
      alternativo del 2003, per sviluppare questo processo e dar impulso a
      questo dibattito con le altre Federazioni internazionali Altri
      punti che il dibattito ha valorizzato sono state le rappresentazioni dei
      processi di integrazione regionali, come nel caso del SACU, Mercosur, e
      della Comunità sudamericana delle Nazioni, con le relative difficoltà e
      avanzamenti raggiunti, in particolare nell’America del Sud che oggi
      conta una maggioranza di Governi democratici e popolari che hanno tra le
      priorità un modello di collocazione internazionale più indipendente,
      basato in un processo di integrazione regionale.  Altro
      caso abbastanza analizzato è stato quello della negoziazione di un
      accordo di libero commercio tra il Canada e la Corea del sud, considerato
      svantaggioso dal Canada, tenendo in considerazione le dimensioni e la
      composizione della attuale bilancia commerciale tra i due paesi. Anche il
      caso della Cina ha meritato una attenzione specifica, completata da
      informazioni sulle sue relazioni con l’India. Con riferimento
      alla Cina si è denunciata la permanente violazione dei diritti dei
      lavoratori e di quelli del Mozambico e del sud dell’Africa dove quel
      paese ha crescenti investimenti. Infine è stata di grande intresse la
      rappresentazione del ruolo del Giappone nell’economia globale. Infine è stato consideato estremamente
      positivo il ruolo che il blocco dei G20 sta svolgendo nella attuale fase
      di negoziati dell’OMC e messo in luce che la sua esistenza segna una
      profonda differenza tra il ciclo di negoziati di Doha e quello dell’Uruguay,
      definito all’inizio degli anni  E ancora in relazione ai G 20 c’è stato
      accordo sulla necessità di parlare con i Governi che ne fanno parte
      perché assumano impegni per il compimento e l’applicazione delle
      convenzioni sui diritti fondamentali internazionali e che discutano una
      strategia su come sviluppare questo processo. In questo senso si è
      convenuto tra tutti che la Fism e i sindacati suoi affiliati devono
      proporre alle altre organizzazioni sindacali e sociali l’appoggio alla
      politica di resistenza dei G20, così come la richiesta a questi governi
      che amplino il loro campo d’intervento relativo alla questione
      commerciale includendo in questo ambito i temi della promoszione della
      occupazione e del miglioramento dei diritti sociali e del lavoro. Per
      questo si è in conclusione sottolineata la necessità di un rapporto e
      lavoro comune con le altre federazioni sindacali intrnazionali e con la
      Cisl internazionale. Infine sono state rifriete le proposte di attività
      successive da parte del Gruppo di lavoro sull’OMC/NAMA e i suggerimenti
      per il 2007, nel quadro di quanto sopra esposto:  
 
 FISM,
      Porto Elgin, Canada, 13 ottobre 2007 |