Quando l’industria arriva, distrugge - e
se ne va
locandina
Singur, 40 km da Calcutta,
primi dicembre 2006: per fare spazio all'insediamento
industriale Tata Motors, per la produzione dell’auto “low cost”
da tempo pubblicizzata come il “regalo” che Ratan Tata intende
fare a milioni di famigliole indiane, il Governo del Bengala
Occidentale confisca 400 ettari di terre agricole e
particolarmente produttive.
L’impiego della forza è
impressionante, come documentano i materiali video ripresi
quel giorno. Parecchi contadini, soprattutto tra mezzadri e
piccoli proprietari, che nei mesi precedenti avevano rifiutato
gli irrisori indennizzi offerti, vengono trascinato via con la
forza. Nonostante i negoziati ancora in corso, anche i loro
campi (140 ettari, ca un terzo delle terre assegnate a Tata
Motors) vengono recintati d’autorità.
Da quel giorno Singur è un campo
di battaglia, il teatro di un infinito contenzioso.
Barricata all’interno del muro di cinta, Tata Motors inizia e
porta a termine la costruzione della fabbrica. Ma sulla
rivendicazione di quei 140 ettari requisiti con la forza il
fronte contadino non si arrende.
Gennaio 2008: il prototipo
della Nano Car è la star del Motor Show di New Delhi – ma sotto
la luce dei riflettori le telecamere captano anche un drappello
di contadini con indosso T-Shirt che dicono “quella macchina è
sporca del sangue delle terre di Singur”. A Calcutta viene
inscenata una manifestazione con la condanna al rogo dell’odiata
vetturetta, ovviamente di cartone. Anche quelle foto fanno il
giro del mondo, ma non importa: le proiezioni di vendita della
Nano Car su tutti i mercati (soprattutto su quelli “emergenti”)
sono tali da posizionare Tata Motors tra i big dell’auto a
livello mondiale. Di lì a pochi mesi seguirà l’acquisizione dei
marchi Jaguar e Land Rover.
Il fronte contadino però non
desiste. Nonostante una bruciante sconfitta sul fronte legale
(fine gennaio 2008), la resistenza si ricompatta tra la
primavera e l’estate del 2008 e a fine agosto è un vero e
proprio assedio, un picchettaggio articolato su 21 diverse
postazioni. Dopo un particolare climax di tensione i primi di
settembre, Tata Motors minaccia di ritirarsi anche se ciò
significherà traslocare impianti ormai pronti per entrare in
produzione. Qualche settimana dopo la conferma: la Tata se ne
va, la Nano Car verrà prodotta in tutt’altra area, a Sanand,
periferia di Ahmedabad, in Gujarat, con condizioni di ingresso
persino più favorevoli di quelle già “regalate” dal Governo del
West Bengala. Pazienza se i 350 milioni di dollari investiti
hanno già sacrificato una fiorente economia agricola – e hanno
prodotto un conflitto sociale che dalle terre di Singur si è poi
esteso a Nandigram e più di recente nel Midnapore, mettendo a
ferro e fuoco l’intera regione…
Una vicenda, quella di Singur, che
benché molto seguita in India e sulla stampa internazionale, non
ha avuto alcun risalto su quella italiana – nonostante
l’importanza (o proprio a causa) dell’alleanza industriale che
già prima dei fatti di Singur si era consolidata tra
TataMotors e Fiat Group. Un’alleanza che proprio sul
progetto “small car” aveva messo in moto una complessa
convergenza di interessi, sia a livello di soluzioni costruttive
che di distribuzione su mercati terzi, particolarmente in
America Latina. Ed era stata il ‘perno’ di quella grande e
pubblicizzata missione commerciale in India, promossa nel
febbraio 2007 dal governo Prodi: che proprio nel Bengala
Occidentale, da trent’anni governato dalla “sinistra”, individuò
un hub privilegiato di investimenti.
Una vicenda che rappresenta dunque,
in tutte le sue facce e contraddizioni, la brutalità di un
modello di sviluppo indifferente a qualsiasi principio
etico, consultazione democratica, preoccupazione ambientale.
Oltre che per la forzata espulsione di quelle 6mila famiglie
(più di 30mila persone) da un territorio agricolo che era un
tempo la “tazza fertile” della regione, la Nano Car by Tata
Motors è stata infatti criticata dalle organizzazioni
ambientaliste dell’India anche per l’alto potenziale inquinante
e la minima sicurezza nelle condizioni di guida. Basti pensare
che la carrozzeria é coibentata in amianto per l'elevato
rischio-incendio connesso con la posizione del carburante.
Low Cost e ‘povera’ su tutti i fronti, la Nano Car non
avrebbe mai trovato distribuzione in Europa.
Andandosene da Singur Tata
Motors lascia sul terreno una montagna di problemi. Un
ipotetico recupero agricolo richiederebbe (qualcuno ha già
stimato) 15 anni. Quanto alla rottamazione, o a una qualsiasi
alternativa industriale, anche quella richiederà mesi di
negoziati: il recupero di quell’assegnazione territoriale e
relativi costi, bonifiche, liberatorie (considerati i vincoli
posti dal coloniale Land Acquisition Act cui si è fatto ricorso
per le assegnazioni) non potrà che diventare un ennesimo (e
possiamo immaginare infinito) contenzioso tra lo stesso governo
Bengalese e il signoraggio dei Tata.
Imbroglio insolubile, intricata
matassa di opportunismi anche politici, impresentabile pasticcio
sotto ogni punto di vista (giuridico, gestionale, industriale)
il caso Singur è però soprattutto un caso di Diritti
Fondamentali calpestati nel nome del più incauto sviluppismo
e contro il più elementare Principio di Precauzione,
nonostante la sbandierata adesione delle Industrie Tata ai
principi del Global Compact dell'ONU.
Un mondo di vinti quello
delle terre ex agricole di Singur, che accomuna, a diversi
livelli di espropriazione chi la fabbrica non l’avrebbe mai
voluta e chi invece la voleva e aveva ‘quasi’ cominciato a
lavorarci – e si trova ora a fare i conti con il No Future di
indennizzi già spesi a fronte di promesse sfumate, senza alcuna
ulteriore indennità. Senza neppure l’ombra, o l’idea, di ciò che
noi chiameremmo “ammortizzatori sociali” – ma che dovrebbero
considerarsi semplicemente “diritti umani”, uguali e validi per
tutti.
Il diritto a uno sviluppo
rispettoso dei tempi e delle esigenze di tutti invece che solo
del più forte. Generatore di crescita e benessere – invece che
di ingiustizia, conflitto e sprechi. |