Intervento di Alessandra Mecozzi al Comitato centrale della Fism

3 e 4 dicembre 2003, Città del Capo, Sud Africa

Tema del Comitato centrale: mobilitare i lavoratori per un programma economico alternativo

Voglio in primo luogo ringraziare i compagni e le compagne sudafricane, non solo per la loro accoglienza, ma per ciò che fanno e che hanno fatto. Ricordo che il mio primo viaggio in Sud Africa è stato al tempo delle prime elezioni libere, quasi 10 anni fa, nella delegazione degli osservatori sindacali internazionali in accordo con il Cosatu, e posso dire che è stata l’esperienza più emozionante e istruttiva della mia vita: una prova di partecipazione democratica e popolare davvero straordinaria

Sul tema che qui discutiamo voglio porre come contributo al dibattito quattro punti che ritengo basilari nell’impegno alla mobilitazione per un programma economico alternativo proposto dalla Fism, dicendo in premessa che c’è assoluta necessità di costruire alternative a una globalizzazione che ha evidentemente fallito nelle sue promesse di migliori condizioni di vita e maggiore libertà per tutti e che le alternative non possono essere costruite a tavolino, ma possiamo formarle in un processo radicato nella nostra pratica sindacale.

Per questo credo in primo luogo che ci sia la necessità di difendere con la lotta le conquiste di diritti acquisiti e quotidianamente attaccati dalle politiche liberiste, in Italia e in Europa: in primo luogo la contrattazione collettiva, strumento essenziale per il miglioramento della condizione di lavoro e salariale di milioni di persone e strumento essenziale del sindacato. Se non difendiamo questi diritti dove esistono, non pensiamo che essi possano affermarsi dove non esistono o sono più deboli. Il lavoro industriale aumenta, non diminuisce, ma non aumenta come lavoro decente, ma precario, svalorizzato, senza diritti né dignità. Nello stesso tempo vanno affermati nuovi diritti sociali, a cominciare da quelli che riguardano i lavoratori e le lavoratrici immigrate, diritti di cittadinanza, di uguaglianza.

In secondo luogo per il sindacato è vitale l’autonomia e l’indipendenza: dalle imprese, ovviamente attraverso una autonomia della contrattazione collettiva, e da partiti e governi: e ciò è vero al Nord come nel Sud, è vero nei confronti delle istituzioni europee, come la commissione, e a maggior ragione delle istituzioni internazionali. Questo non vuol dire essere necessariamente in opposizione: ma vuol dire avere proprie proposte e sostenerle con gli strumenti propri del sindacato, come lo sciopero, le manifestazioni. Certo in Italia, rispetto alla politica economica e sociale del governo Berlusconi, il sindacato non può che opporsi: e infatti il 6 dicembre, dopo che a ottobre è già stato fatto uno sciopero generale, centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori manifesteranno a Roma contro la politica del governo. Il sindacato organizza e afferma gli interessi di milioni di lavoratori, non è una lobby, come qui è stato detto, né un gruppo di pressione. Rappresenta uomini e donne in carne e ossa, con i loro bisogni, desideri di far valere i propri diritti e dignità: ed è la loro voce che deve essere sentita dai governi, dalle istituzioni europee e internazionali.

Un terzo punto che mi sembra indispensabile mettere alla base della mobilitazione è quello dei rapporti con i movimenti “altromondialisti”, di movimenti sociali e non solo ong con specifiche, a volte ottime, competenze. Della nostra esperienza fa parte questo rapporto, noi stessi ci sentiamo parte di questo grande movimento, sul piano nazionale come su quello europeo, come si è visto a Firenze e a Parigi, nei Forum sociali europei, come su quello internazionale, dal primo Porto Alegre. Per questo è davvero importante e positivo che la Fism sia a Mumbay, nel Forum sociale mondiale, per uno sviluppo equo e sostenibile, ma anche per una società sostenibile, per lo sviluppo umano. Il Forum sociale mondiale è un grande spazio pubblico democratico, pacifico, non violento all’insegna del dialogo e del confronto, della reciproca conoscenza in primo luogo. Spazio pubblico in cui si contribuisce a costruire le alternative alle politiche liberiste, quello strano liberismo che si è visto a Cancun, dove i potenti vogliono proteggere i propri beni e le proprie merci e vorrebbero imporre ai non potenti o ai cosiddetti paesi poveri l’apertura al libero mercato. Dove le grandi corporations vogliono privatizzare beni essenziali e comuni, come l’acqua e l’elettricità, o la sanità e l’istruzione, per farli acquistare sul libero mercato per corrispondere alle proprie attese di profitti. È grave che i sindacati internazionali non abbiano fatto sentire con nettezza la propria voce a Cancun, che non abbiano denunciato la posta in gioco, che non abbiano preso posizioni nette contro Stati Uniti ed Europa, sostenendo quei paesi che hanno invece trovato la forza per ribellarsi: è uno dei terreni su cui anche la convergenza con i movimenti è possibile.

In quarto luogo pongo la questione del giudizio e della iniziativa contro la guerra, già ieri ricordati dal presidente e dal segretario generale: non si tratta solo di un principio morale irrinunciabile per il sindacato, che rappresenta coloro che inevitabilmente sono le vittime (guardiamo ai lavoratori iracheni in un paese distrutto e occupato anche dalle multinazionali, guardiamo ai lavoratori palestinesi sotto occupazione da decenni, ma anche a quelli israeliani che pagano i costi di questa occupazione), ma di una scelta politica e strategica. Di questa globalizzazione che critichiamo duramente fa parte anche la guerra preventiva e la strategia di dominio di cui essa è espressione e se riconosciamo che la guerra è stata un errore, che in nessun modo ha combattuto il terrorismo, anzi lo ha aumentato, dobbiamo anche dire che è indispensabile che l’occupazione dell’Iraq, militare ed economica, finisca immediatamente, che le Nazioni unite garantiscano il processo di transizione e che gli iracheni possano decidere l’assetto di un proprio Stato democratico. La nostra iniziativa contro il terrorismo, che condanniamo con forza, deve svolgersi sul terreno che ci è come sindacato proprio: quello della lotta per la giustizia sociale, per la democrazia e la pace, opponendoci a qualsiasi strumentale proclamazione del terrorismo in nome di popoli oppressi. Anche su questo terreno c’è una convergenza con i movimenti sociali e pacifisti a livello globale.

Per concludere quindi dobbiamo pensare, come sindacato internazionale, anche ad azioni internazionali: le parole non bastano e neanche le iniziative a livello nazionale, comunque indispensabili. Da Porto Alegre partì la grande mobilitazione contro la guerra che fece scendere per le strade di tutto il mondo milioni di persone il 15 febbraio dello scorso anno. Finora solo i movimenti sono stati promotori e protagonisti di iniziative globali: perché non possiamo pensare come sindacati internazionali a una nostra iniziativa contro questa globalizzazione e per la giustizia sociale in cui coinvolgere anche i movimenti sociali di tutto il mondo?