Uscire dalla guerra

 Di Alessandra Mecozzi,  Ufficio internazionale Fiom-Cgil

pubblicato su Liberazione, 28 giugno 2006

 

“L’iniziativa e la lotta per la pace e i diritti umani, per la certezza del diritto internazionale e il rispetto delle autonome scelte di ciascun popolo, sono e saranno sempre parte fondante dell’iniziativa dei metalmeccanici”, dicevamo due anni fa al Congresso nazionale. A questi principi è legato l’impegno per i diritti fondamentali del popolo palestinese e per la nascita di un vero Stato Palestinese indipendente a fianco a quello di Israele. Per le stesse ragioni la Fiom , ha preso posizione e partecipato in questi anni al movimento contro la guerra e per la pace, senza se e senza ma. Il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq è un risultato anche di questo movimento, che si è manifestato con particolare forza in Italia dal 2001, anno dell’ attacco degli Stati Uniti all’ Afghanistan (Enduring freedom). Oggi le truppe italiane, quasi 2000 militari, sono presenti in Afganistan ed è a dir poco irrealistico definirla una missione di pace. In Afganistan c’è la guerra, che continua a mietere vittime civili e, recentemente, una vittima anche tra i militari italiani. Dal 2003 l’Isaf (international security assistance force, autorizzata per 6 mesi nel 2001 dalle Nazioni Unite per assistere il Governo ad interim e il personale delle Nazioni Unite a Kabul e dintorni) è sotto il comando NATO e la guida politica è esercitata dal North Atlantic Council in forte coordinamento con la struttura di Enduring Freedom, a comando USA. La NATO ha deciso per il 2006 di incrementare la propria presenza e di espandere l’ISAF anche al sud del paese (l’area di maggior conflitto armato), fino al 2010.

La natura bellica della missione è oggi evidente, la marginalizzazione dell’ONU, altrettanto. Si estende la guerra scatenata dagli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre 2001, contro cui si erano levate le voci e l’iniziativa del movimento per la pace. Una guerra che, come sempre, non ha portato democrazia e libertà, ma ha favorito strategie, gruppi e attacchi terroristici, mentre il Governo in Afganistan, voluto dagli Stati Uniti, cerca di puntellarsi con i “Signori della guerra” che hanno manolibera in buona parte del paese, le basi militari Usa si moltiplicano, la produzione di oppio aumenta. I problemi economici e sociali dell’Afganistan si aggravano rapidamente. La guerra mostra, ancora una volta, di essere sbagliata in sé, di essere soltanto strumento di distruzione. 

Per questo è necessario che anche le truppe italiane in Afganistan vengano ritirate e che si avvii un radicale cambiamento della politica estera, a cui il precedente Governo ha rovinosamente impresso un marchio bellicista e totalmente dipendente dalla politica della Amministrazione USA. Non ci sono due tempi: prima quello dell’”ordine” portato dalla guerra e poi la risposta agli enormi bisogni sociali di popolazioni oppresse e poverissime. Prima la guerra, poi il Diritto.

C’è un tempo solo per la sicurezza e il diritto a vivere e decidere di sé di quelle popolazioni: il tempo della pace, della giustizia, del rispetto incondizionato del diritto internazionale. Per questo, l’impegno dell’Italia per l’applicazione dell’articolo 11 della nostra costituzione, si deve tradurre ritirando le truppe anche dall’Afganistan e prevedendo invece un forte impegno in campo sociale e civile. L’Italia agisca  affinché l’Unione Europea diventi protagonista nel prevenire i conflitti, nell’intervenire per una loro pacifica risoluzione, nello sviluppare una cooperazione paritaria nord-sud, in cui la solidarietà internazionale significhi anche giustizia sociale; operi per la  riforma e democratizzazione, urgentissima, delle Nazioni Unite. Un’altra politica estera è possibile e necessaria: l’Italia esca dalla guerra e si impegni a costruire alternative di pace.