Dire la verità, costruire la pace giusta

 

Questo appello è proposto da donne, con opinioni diverse, ma unite dal comune desiderio di agire in solidarietà con la resistenza popolare palestinese e con le forze di pace israeliane, per far conoscere la verità e arrivare ad una pace giusta. Si rivolge a donne e uomini, sostiene le iniziative dirette in Palestina e Israele, come "Io donna vado in Palestina" e le varie delegazioni pacifiste, ritiene nello stesso tempo essenziale il lavoro di incontri, scambi e relazioni tra persone con opinioni anche molto distanti tra loro, nel nostro paese, allo scopo di rendere più veritiera e attiva l'opinione pubblica e politica.

In questi giorni voci israeliane e palestinesi fanno appello alla comunità internazionale e alle donne e uomini di buona volontà per interventi internazionali di pace, che pongano fine alla violenza nei territori palestinesi, in primo luogo all'occupazione militare israeliana. Rispondiamo a questi appelli. E vogliamo anche parlare alle donne e uomini del nostro paese, in preda a una regressione grave della politica: le parole verità e giustizia sembrano essere dimenticate e la parola pace non avere più senso.

Ci sentiamo parte della comunità internazionale a cui voci israeliane e palestinesi fanno appello: rifiutiamo di chiamare comunità internazionale quella che si manifesta sotto la specie di alleanza militare (come tragicamente è avvenuto nella guerra del Kosovo).

Come parte di una comunità internazionale civile, abbiamo visitato luoghi difficili come i Balcani o l'Algeria, attraversato confini, provando a costruire e ricostruire relazioni umane e politiche che servissero da ponte tra donne di paesi in conflitto. Affermare il rispetto e il riconoscimento reciproco è punto fondamentale nella costruzione di relazioni di pace. Per questo siamo andate e andremo ancora oggi, a maggior ragione, in Palestina.

Vogliamo che ci sia pace in Palestina e Israele: perché c'è una parte di storia e di cultura intrecciata a quella del nostro paese, perché la giustizia abbia un'esistenza concreta e non prevalga il diritto e il pensiero del più forte, perché siamo molto vicine a quelle popolazioni. Per dare di nuovo un senso alla parola pace, va riconosciuta la disparità enorme che esiste in questo conflitto, va assunta da Israele la responsabilità della sofferenza inflitta da anni a donne e uomini palestinesi, con l'occupazione militare e l'espansione delle colonie, negli ultimi due mesi con una violentissima repressione armata, ricordando che lo Stato stesso di Israele è anche frutto di una assunzione di responsabilità dell'Europa; va presa anche dal nostro paese e dall'Europa la responsabilità della convivenza di due popoli e due Stati in quella regione .

Sette anni di negoziati e di accordi non rispettati contenevano la fragilità del "processo di pace", sia rispetto alle perduranti condizioni materiali di vita dei palestinesi - difficile e spesso umiliante mobilità da una città all'altra, non accesso all'acqua, impossibilità di costruire strutture produttive, mentre sempre nuove strade di collegamento tra gli insediamenti dei coloni tagliavano fuori i villaggi palestinesi - sia rispetto a una reciproca fiducia logorata dal continuo rinvio della applicazione degli accordi.

Pace non è una parola né neutra né salvifica: in questo caso si è mostrata ingannevole. Perché il cammino riprenda vanno considerate fondamentali le condizioni di effettiva possibilità di esistenza dello Stato palestinese, che non esiste, accanto a quello israeliano che esiste, e non è messo in discussione. Vanno considerate condizioni di vita sostenibili per le persone, e per i palestinesi questo vuol dire accesso ai mezzi di sussistenza e al diritto di lavorare liberamente e con pari diritti.

Se viene usata una strategia di dominio, non si può che fallire e ricorrere alla violenza: questo è il doloroso insegnamento del dramma che viene vissuto oggi nei territori dalla popolazione palestinese, sottoposta a incursioni armate e quotidiane uccisioni e dalla popolazione israeliana, resa debole nel suo desiderio di pace dall’illusione di questi sette anni e dalla difficoltà di riconoscere l'insostenibile violenza scatenata dal suo governo contro la popolazione palestinese nei territori e in Israele.

Nel nostro paese viviamo una deformazione dell'opinione politica e pubblica: i fatti della condizione di vita palestinese vengono raccontati poco e male, si cerca di costruire un immaginario di violenze contrapposte, non si dà voce a coloro che con coraggio tentano di percorrere la strada del dialogo, in modo particolare si coprono le voci di pacifisti e pacifiste israeliane. Per questo è indispensabile nel nostro paese sollecitare e fare una informazione seria, promuovere occasioni di confronto tra opinioni diverse, sollecitare la politica, a cominciare dal governo, a dire parole chiare e fare atti giusti, cosa che finora non è successa.

Per costruire la pace bisogna conoscere e dire la verità: quella più tragica delle vittime, quella quotidiana dell'assedio economico e messa alla fame della popolazione palestinese, quella delle paure israeliane, quella delle voci che praticano il dialogo: incontrare palestinesi e israeliane/i; testimoniare le condizioni di vita, parlare al mondo in cui viviamo di quello in fiamme che ci è molto vicino. Vincere la solitudine di tutte le donne e gli uomini che non hanno smesso di mostrare coraggio e di credere nella comune umanità: andare in Palestina serve anche a questo.

Alessandra Mecozzi, Elisabetta Donini, Elettra Deiana, Carla Quaglino, Imma Barbarossa, Gabriella Rossetti, Raffaella Lamberti, Tiziana Salmistraro, Sancha Gaetani, Marina Rossanda, Sveva Haertter, Antonella Picchio, Nella Ginatempo, Barbara Valmorin, Luisa Morgantini, Giuliana Sgrena. Adriana Buffardi

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