Fiom-Cgil

FABBRICHE NEL MONDO, IL MONDO IN FABBRICA

Seminario sulla politica della Fiom europea e internazionale

Appia Park Hotel, via Appia Nuova, 934 Roma - tel. (+39) 06 716741 fax (+39) 06 7182457

23-24 marzo 2005


Presentazione

Alessandra Mecozzi, responsabile Ufficio Internazionale Fiom

 

Questo Seminario, pensato all’interno di un gruppo di lavoro sulle politiche internazionali di recente costituito nella Fiom, nasce dall’esigenza di discutere ed approfondire insieme alcuni temi che sono parte essenziale delle nostre scelte strategiche, sancite anche dall’ultimo congresso, sulle politiche europea e internazionale, alla luce dei cambiamenti avvenuti e in corso nel quadro nazionale e internazionale. Questi cambiamenti ci richiedono un di più di analisi e di conoscenza per rafforzare la nostra iniziativa che storicamente, direi per costituzione, ha sempre rifiutato di rinchiudersi nella sola difesa degli interessi che noi rappresentiamo pur essendo, ovviamente, base essenziale della sua stessa esistenza.

Il profilo della Fiom, in particolare negli ultimi anni, è stato quello di un sindacato fortemente ancorato alla contrattazione, alla sua autonomia e qualità – cosa sempre più difficile nella globalizzazione liberista le cui politiche tendono a spazzare via diritti del lavoro e contrattazione collettiva, - e nello stesso tempo partecipe di un più vasto movimento che ha fatto irruzione sulla scena mondiale fin dal 1999 con i movimenti di Seattle contro l’OMC, in Italia in particolare a Genova contro il G8, nel 2001. Altro aspetto del suo profilo è quello pacifista, con le sue espressioni ed iniziative contro ogni guerra, la prima guerra del Golfo, nel 1991, poi i bombardamenti NATO in Serbia e Kossovo, mettendo in evidenza l’assurdità della definizione “umanitaria” per una guerra che sempre fa strage di civili; la guerra contro l’Afganistan, scatenata in “risposta” ai terribili attacchi terroristi contro le Torri Gemelle dell’11 settembre 2002, anche dalla Fiom duramente condannati; dal 2003 contro la “guerra preventiva” scatenata dalla Amministrazione Bush contro l’Iraq, che prosegue con l’occupazione di questo paese, piombato in una spirale di violenza e terrore alimentati anche dalla perdurante occupazione. Agli enormi problemi sociali, di disuguaglianza tra nord e sud, come alla assenza di democrazia in grande parte dei paesi nel mondo, pensiamo che si possa rispondere solo con gli strumenti della politica, della redistribuzione delle ricchezze a livello globale, con il cambiamento delle politiche liberiste che oggi dominano la globalizzazione.

 

E’ in atto una grandiosa ridefinizione della divisione del lavoro a livello globale, in cui anche il nostro paese rischia di essere schiacciato, in un quadro europeo in cui avanza l’indebolimento di tutto il sistema produttivo, con l’affermarsi delle potere di poche imprese multinazionali e del capitale finanziario a scapito di quello industriale.

Questa debolezza si esprime in delocalizzazioni industriali all’inseguimento di costi del lavoro sempre più bassi a scapito dei diritti del lavoro verso l’europa orientale e verso enormi mercati emergenti come l’India e la Cina ; concentrazioni e acquisizioni fanno sparire parti qualificate della nostra industria (i più recenti sono i casi delle Acciaierie di Terni, e quello dell’Electrolux). Quale  iniziativa sindacale, nazionale e sopranazionale, può rispondere a questi processi? Questo è il  punto che vogliamo affrontare con l’introduzione di Francesco Garibaldo.

 

L’organizzazione mondiale del commercio, con il suo principio di totale e rapidissima liberalizzazione di tutti i settori, già sconfitta a Seattle e a Cancun, anche grazie al ruolo giocato da alcuni paesi del sud, i G20, come Brasile e India, si appresta ad aprire una nuova serie di negoziati di cui uno poco conosciuto, ma particolarmente importante per il nord e il sud, quello che riguarda le tariffe sui prodotti non agricoli, NAMA (non agricultural market access). La corsa alla totale liberalizzazione anche dei servizi (il progetto di Direttiva europea chiamata Bolkestein è in questa logica) e di beni comuni come l’acqua crea sempre maggior povertà nei paesi del sud, ma produce anche aumento di disuguaglianza sociale in quelli del nord: Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale hanno causato disastri sociali ed economici con l’imposizione generalizzata e uguale in paesi anche molto diversi dei cosiddetti aggiustamenti strutturali.

Servono ancora l’OMC e le Istituzioni di Bretton Woods? Se sì, come dovrebbero essere riformati? Di questo vorremmo parlare con Antonio Tricarico, della Campagna per la riforma della banca mondiale e con il segretario Generale della Fism, Marcello Malentacchi.

 

E infine: pochi giorni fa a Bruxelles una grandissima manifestazione di circa 100.000 lavoratori e lavoratrici, giovani, movimenti sociali, promossa dalla CES, dalle organizzazioni giovanili e dal Forum Sociale Europeo, si è espressa contro le politiche liberiste delle istituzioni Europee (Direttiva Bolkestein e Direttiva sull’orario di lavoro), l’attacco ai diritti al lavoro e del lavoro. I movimenti vi hanno portato anche il loro no alla guerra, dopo due anni di distruzione e occupazione dell’Iraq, mentre nuovi paesi come Siria e Iran vengono minacciati dagli stati Uniti, in questa folle corsa a ridisegnare il mondo secondo i propri interessi e quelli di potenti multinazionali e dell’industria armiera. E’ sempre più urgente la necessità di costruire una politica contro la guerra, anche per questo suo carattere permanente, che non sia fatta solo di grandi manifestazioni, sempre indispensabili.

Si sta organizzando un vero e proprio sistema di guerra: ne parlano l’aumento delle spese militari, la militarizzazione della politica estera con i tanti trattati di cooperazione militare per migliaia di miliardi che il Governo Italiano ha firmato con diversi paesi (Kuwait, Algeria, Israele, Serbia, Indonesia….), si vogliono modificare i codici militari per portare l’informazione dai paesi di guerra sotto il comando militare, lo stesso Trattato costituzionale europeo porta il segno del riarmo con l’indicazione dell’aumento delle capacità militari dei Paesi i cui governi lo hanno sottoscritto. In questo quadro costruire politiche di pace vuol dire dunque non solo le azioni di solidarietà con i popoli vittime, ma anche concretamente opporsi a tutti gli aspetti delle politiche di guerra e militariste.

Di queste questioni discuteremo con Gabriele Polo, Nicoletta Dentico, Fabio Alberti.