Di ritorno dalla Palestina
Incontri con i sindacati palestinesi
Dal 29 ottobre al 1° novembre
mi sono recata in Palestina, con una delegazione di varie associazioni tra
quelle che hanno promosso l'appello e la Manifestazione nazionale "Sia pace
a Gerusalemme" dell'11 novembre a Roma. Della delegazione facevano parte
anche Roberto Giudici della Fiom di Milano e dell'Arci nazionale, Tiziana
Salmistraro della Associazione Orlando di Bologna e del Coordinamento nazionale
delle Ong per la Palestina, Farshid Nourai della Associazione per la pace e
Flavio Lotti, del Coordinamento nazionale Enti locali per la pace. Dopo diversi
incontri con dirigenti palestinesi ed esponenti del movimento per la pace
israeliani, a Gerusalemme, sono andata a Nablus e a Gaza, dove ho incontrato,
rispettivamente, il segretario generale del Pgftu (Confederazione generale dei
sindacati palestinesi) Shaher Sa'ed e Abla, responsabile del dipartimento donne,
e, a Gaza, Rasem Al Bayari, vice segretario del Pgftu e presidente del sindacato
metalmeccanici, con il responsabile dell'Ufficio internazionale. Questi ultimi
ci hanno confermato la loro volontà di mantenere il progetto "Lavoriamo
Insieme", con la Fiom, anche se il momento presente è difficilissimo e
pieno di incognite.
In occasione di questo incontro ci è stato consegnato un documento di cui riportiamo le parti essenziali, relative alla analisi, anche quantitativa, delle conseguenze sociali ed economiche di un mese di assedio israeliano a Gaza e ai Territori occupati. Ci hanno ringraziato per la solidarietà , le varie iniziative e la manifestazione nazionale, insistendo sulla necessità di un ruolo politico, e non solo di sostegno economico, dell'Italia e dell'Europa, per l'affermazione dei loro diritti nazionali, a uno Stato indipendente di Palestina, e per una pace giusta. Si augurano perciò che il processo di pace possa riprendere, mettendo fine all'uccisione quotidiana di palestinesi da parte dell'esercito israeliano e sulla base delle Risoluzioni delle Nazioni unite e del ritiro dell'occupazione militare israeliana.
Una
delegazione Fiom si è recata in Palestina dal 30 agosto
al 10 settembre
nel quadro della iniziativa "L'Italia per la Palestina - Betlemme
2000" promossa dalla tavola
della pace
e dal Coordinamento nazionale
enti
locali
per la pace,
a cui hanno partecipato circa 900 persone.
La
delegazione era composta da: Alessandra Mecozzi, Neva Bernardi, Angela Onori e
Alida Di Marzo (Fiom nazionale), Giorgio Airaudo e Iacovella (Fiom Collegno -
Piemonte), Osvaldo Squassina e Massimo Bresciani (Fiom Brescia), Gianni Rocco
(Fiom Veneto), Sabina Petrucci (Fiom Bologna - Emilia Romagna), Francesco La
Cava (Fiom Taranto). Giannina Dal Bosco, delegata Fim del Veneto a Portavoce
Nazionale della Associazione per la Pace ha partecipato con noi a tutti gli
incontri.
Ha
contribuito molto alla riuscita dei vari incontri e alla conoscenza dei luoghi
Roberto Giudici della Fiom di Milano, che faceva parte dell'organizzazione
generale dell'iniziativa anche come rappresentante dell'Arci.
Si
sono svolte diverse visite ed incontri, solo in parte all'interno del programma
generale, in quanto esso non prevedeva incontri sindacali e pochissime occasioni
di incontri politici. A questi diversi incontri, hanno partecipato anche altre
persone interessate, sia dirigenti sindacali della Cgil, che abbiamo incontrato
sul posto, sia di associazioni e gruppi di donne, come quelle di
Bologna e Torino, che fin dal 1988 hanno sviluppato un lavoro in comune
con palestinesi e israeliane, a cui hanno partecipato anche donne della Fiom lì
presenti. Essendo i tempi di permanenza oltre che gli interessi, a volte
diversi, per alcuni incontri ci siamo divisi in gruppi.
Una
valutazione comune
Questa
esperienza, che molto ci ha emozionato, insegnato e fatto riflettere, ci ha
messo di fronte ad una realtà molto complessa e difficile, anche con situazioni
di grande tensione e rabbia, in particolare nei campi profughi, la realtà
sociale ed economica più disastrosa; ha contribuito a farci capire meglio la
drammaticità della situazione e le diverse valutazioni politiche,
attraverso l'ascolto di esponenti del movimento per la pace israeliano,
estremamente lucidi e impietosi sulla politica dei diversi governi
di destra e di sinistra, associazioni e personalità palestinesi impegnate in un
durissimo sforzo di conquistare una pace giusta e valorizzare i piccoli
risultati. Abbiamo potuto constatare direttamente la quantità di piccole e
grandi ingiustizie e soprusi che ancora tutto il popolo palestinese è costretto
a subire da parte del governo
e dell'esercito
di Israele. Si è rafforzata una comune valutazione sulla necessità di un
significativo impegno di solidarietà, politica e materiale di tutto il
sindacato e delle forze della società civile, così come di un ruolo politico
attivo della Unione europea.
E' necessario un grande e continuo impegno per sostenere donne e uomini
palestinesi nella difficile fase di costruzione dello stato
indipendente e democratico e della lotta per ottenere dai negoziati una pace
giusta e onnicomprensiva, quel compromesso compatibile che si basa su alcuni
punti fondamentali:
Gerusalemme est capitale di uno stato
palestinese
indipendente, diritto al ritorno per i profughi, controllo delle risorse idriche
e del territorio dello stato,
ritiro degli insediamenti e definizione dei confini (anche con controllo
internazionale) a prima del 1967.
1
settembre
- Gerusalemme ovest
- Paris Square - Donne in nero
Come
ogni settimana dal 1988 si è svolta, dalle 13.00 alle 14.00, la manifestazione
delle Donne in nero israeliane, movimento nato per protestare contro
l'occupazione dei territori palestinesi. Ho partecipato insieme ad altre
italiane presenti (la nostra delegazione non era ancora arrivata). E' stata una
occasione molto commovente perché si ricordava Hagar
Roublev, leader fondatrice del movimento, morta a 46 anni il 21 agosto
nell'isola di Paros dove si trovava in vacanza per qualche giorno. E' stata
ricordata da Luisa
Morgantini, Rana Nashashibi, palestinese, e altre amiche israeliane del
Centro Bat Shalom.
2
settembre
-
Hotel National Palace - Gerusalemme Est - Incontro con Zahira Kamal
Zahira
Kamal, personalità di spicco dell'Intifada, del movimento delle donne
palestinesi e del movimento per la pace, attualmente nel ministero della
Pianificazione e Cooperazione internazionale dell'autorità nazionale
palestinese come direttore generale della sezione "Gender Planning &
Development", ha parlato soprattutto di due punti: la
difficile battaglia per ottenere una presenza e il segno delle donne all'interno
della autorità
nazionale
palestinese
e dei governi locali, con leggi
che sanciscano sul piano giuridico, familiare e del lavoro la parità tra
donne e uomini; in secondo luogo ha esposto il suo punto di vista riguardo allo
stato e alle prospettive dei negoziati di pace, sottolineando i punti
irrinunciabili.
Sul
primo punto, i risultati ottenuti sono stati: la presenza di 60 donne (contro le
6 inizialmente previste) sui 300 componenti il Comitato tecnico per la
preparazione delle trattative; due ministri donne su 24, attualmente 1 (affari
sociali), dopo le dimissioni di Hanan Ashrawi; sono state elette 5 donne
Deputate su un totale di 88; ci sono 30 donne su 320 direttori generali. Ci ha
inoltre informato che questa esiguità di risultati, del tutto sproporzionata
rispetto al ruolo centrale svolto dalle donne nell'Intifada e nella pressione
per arrivare ad una pace giusta, ha consolidato l'iniziativa autonoma del "Women's
Affairs Technical Committee", che è una organizzazione non governativa a
cui sono affiliate diverse organizzazioni anche con differenti opinioni
politiche. Questo comitato si occupa in modo particolare della condizione
sociale, giuridica e in generale dei diritti delle donne (vedi più avanti per
l'incontro del 6 Settembre).
Circa
il secondo punto, Zahira ha sottolineato il fatto che Camp David ha
rappresentato il fallimento dell'ideologia dell'"accordo finale" tutto
a vantaggio degli israeliani. Il dato positivo è che si è aperta da quel
momento una fase in cui anche i
temi più spinosi e considerati tabù, sono materia di discussione: in
particolare il diritto al ritorno per i profughi all'interno e all'esterno dei
territori occupati; Gerusalemme capitale dello stato palestinese; la questione
dei confini e quella degli insediamenti dei coloni.
E'
importante - dice Zahira - che sia stata rifiutata la proposta di stabilire un
diverso regime di controllo: verticale - cioè sullo spazio, sull'aria e sul
sottosuolo (acqua) - agli israeliani
e quello orizzontale - sulle persone - ai palestinesi. Sui confini i
palestinesi accetterebbero un sistema di sicurezza internazionale, senza gli
israeliani.
Zahira
è una delle dirigenti che ha mostrato più "ottimismo" e ci ha fatto
un esempio di come il processo di "riconciliazione e verità" sia nei
fatti possibile: un incontro in un Kibbutz con 400 israeliani che hanno portato
testimonianze della loro volontà di pace, denunciando le ingiustizie e i
soprusi, da loro stessi commessi. "Questo tipo di testimonianze rafforza
noi palestinesi - ha detto Zahira - e colpisce la società israeliana. Dobbiamo
ricordare che è proprio grazie alla battaglia, iniziata 10 anni fa, da 4 madri
di soldati israeliani in Libano, che oggi gli israeliani si sono ritirati."
3
settembre
- Campo profughi di Dheisheh (Betlemme) - apertura
ufficiale
manifestazione
Siamo
la prima delegazione
che si reca in questo campo profughi in cui, pochi giorni prima, un
incendio doloso,
ha distrutto un recentissimo centro computer e, fortunatamente, appena
sfiorata la biblioteca. Ce ne parla, dopo averci fatto visitare il disastro, il
responsabile nel campo del centro Ibna (creatività), Zead , che ritiene che
l'incendio sia stato provocato da "chi non vuole lo sviluppo sociale nel
campo, che siano fondamentalisti o altri gruppi", ci da un quadro
dettagliato e drammatico della situazione dei profughi
palestinesi: una popolazione di oltre 5
milioni di persone, dentro e fuori i territori occupati, che, dal 1948,
aspettano di rientrare nei propri villaggi. Ci mostra la chiave della casa dei
suoi genitori che sua madre mise in tasca nel 1948 ; hanno vissuto prima in
tende, poi in "scatole" di cemento costruite dalle Nazioni unite
(1950), adesso in situazioni carenti pesantemente dal punto di vista dei servizi
e delle infrastrutture; in questo campo vivono 11.000 persone di cui oltre il
50% con meno di 18 anni; non ci sono ospedali, ma solo un ambulatorio con un
dottore; tra il 1979 e il 1985, in media, ci sono stati 3 mesi e mezzo l'anno di
coprifuoco; le possibilità di lavoro sono estremamente limitate e la possibilità
di lavorare in Israele è legata all'ottenimento di un permesso (per decisione
israeliana solo 130.000 in tutto) o ad un'uscita/entrata clandestina. "Io
posso andare in tutto il mondo" - ci dice Zead - "e sono stato molte
volte in Italia, ma non a Gerusalemme!" Il Centro Ibna si autofinanzia
attraverso lo spettacolo di danze palestinesi che un gruppo di ballo porta in
molte parti del mondo.
In
questo campo, come poi in altri, il senso di dignità e determinazione, di
volontà di ottenere il riconoscimento dei propri diritti e miglioramento della
propria condizione materiale, è fortissimo, come forte l'insofferenza per gli
obiettivi considerati eccessivamente simbolici: "Gerusalemme per me è
sacra come Haifa" e il timore di essere "dimenticati".
Nella
visita al campo, in cui dal 1987 erano state chiuse le 14 entrate e lasciata
aperta solo una con due cancelli girevoli attraverso cui solo una persona poteva
entrare od uscire, una scritta sul muro (fatta in occasione della visita del
Papa) colpisce particolarmente: "Scusa
Papa, se non diamo il tuo nome ad una di queste strade: ma i campi non possono
durare per sempre!".
Dopo
aver assistito all'apertura ufficiale della manifestazione all'Università
di Betlemme, rientriamo
a Gerusalemme dove al National Palace incontriamo un israeliano ed un
palestinese, il primo direttore del Centro documentazione di Gerusalemme,e il
secondo giornalista free-lance. Entrambe hanno una visione estremamente critica
del processo iniziato con gli accordi di Oslo e le loro motivazioni possono
essere riassunte nella frase: "I palestinesi ancora sentono che
l'occupazione israeliana è una parte della loro vita". Infatti solo nel 5%
dei territori non c'è esercito israeliano e il controllo dello spazio aereo e
dei passaggi tra una zona e l'altra è israeliano; a Gaza stessa, sotto autorità
Palestinese, il 3% della popolazione (israeliani) controlla il 40% del
territorio. Piccoli insediamenti già esistenti non vengono tolti, per
giustificare la presenza dell'esercito (sicurezza!)
Per
quanto riguarda l'economia, un dato significativo è che, mentre il budget dello
stato di Israele è costituito per il 30% dalle tasse pagate
dai palestinesi, solo il 5% viene investito a loro favore.
L'israeliano
fa un'analisi critica del testo degli accordi e rileva che per ben 126 volte è
usata la parola "separazione" e che non compare la parola
"diritti": tutto è adesso diventato materia di contrattazione,
commenta, mentre continua a non esserci il rispetto delle convenzioni
internazionali.
Critica
anche la posizione nei confronti dell'Europa che si limita a pagare, ma non ha
un ruolo politico attivo nel processo per una pace giusta. Commento amaro del
palestinese: "Gli israeliani hanno vinto la guerra, adesso vogliono vincere
la pace".
4
settembre
- Gerusalemme
ovest:
visita al museo
dell'olocausto,
incontro con Lea Rabin e omaggio alle tombe di Deir Yassin
- incontro della delegazione italiana con palestinesi e israeliani a
Notre Dame (grande edificio con albergo di proprietà del Vaticano) -
Manifestazione israeliana promossa da Gush Shalom (insieme
per la pace
)
per
Gerusalemme capitale di due Stati
Dopo
la visita
e la cerimonia con le autorità italiane e israeliane al museo dell'olocausto -
Yad Vashem - con
deposizione di una corona di fiori (mentre un altro gruppo si è recato da Lea
Rabin), un centinaio di persone, tra cui la nostra delegazione, si reca alle
tombe di Deir Yassin, villaggio in cui nel 1948, dopo la proclamazione dello
stato di Israele, vennero massacrati circa 200 abitanti palestinesi da gruppi
paramilitari israeliani. Oggi
non rimane più nulla, tranne alcune povere lapidi, coperte da sterpi e
vetri rotti. Un palestinese, che ci accompagna, e che fa parte del comitato per
Deir Yassin composto da palestinesi, israeliani e americani, ci dice che ogni
tentativo di sistemare e curare questo luogo viene immediatamente distrutto da
israeliani (oggi questo luogo si trova nella zona ovest). Anche qui deponiamo
una corona di fiori, ma il contrasto con la precedente cerimonia, nonché con la
bellezza e cura che giustamente gli israeliani hanno voluto attribuire al luogo
della memoria dell'olocausto, ma che negano ai palestinesi, è sconvolgente.
Incontro
degli italiani con personalità Palestinesi e Israeliane - Gerusalemme - Notre
Dame
Presentano
le posizioni rispettive sui negoziati e su Gerusalemme capitale di due stati Feisal
Husseini, una delle più notevoli personalità dell'Intifada e dei negoziati per
la pace, Yael Dayan, deputata della Knesset, Ghassan Katib,
direttore del Centro
informazione e Comunicazione di
Gerusalemme, Naomi Kazan, deputata della Knesset, Salwa Hdeibi, responsabile del
Centro delle donne
di Gerusalemme, partner palestinese del Jerusalem Link, Galia Golan, del
movimento Peace now
e Lea Tzemel, che ricorda con grande efficacia la figura di Hagar Roublev
"vera Internazionalista e costruttrice di pace". Viene mostrato come
introduzione un breve video sull'evento Time for Peace di 10 anni fa ed anche
diversi interventi si riferiscono all'importanza di quell'evento in cui migliaia
di italiani, palestinesi e di altri paesi circondarono Gerusalemme con una
catena umana. Viene ricordato anche il doloroso episodio in cui Marisa Manno,
una compagna della Cgil, perse un occhio durante le cariche con idranti della
polizia israeliana. E' bello sentire il riconoscimento alle donne italiane
espresso dalle israeliane e palestinesi, per il lavoro fatto insieme dal 1988.
E' un po’ irritante che l'organizzazione non abbia previsto l'intervento di
una di quelle donne italiane!
La
giornata si conclude con un ricevimento offerto dai palestinesi agli italiani
alla Orient House, Sede del la rappresentanza Olp a Gerusalemme.
5
settembre
-
Gaza - incontro con il segretario
generale
dei metalmeccanici
e vice
segretario
generale
della Confederazione (Pgftu)
Rassem Al Bayari
- visita a Gaza e al campo profughi di Rafah
L'accoglienza
alla delegazione (che in questa giornata comprende anche un rappresentante della
Cgil nazionale e dirigenti Cgil del Veneto e dell'Umbria), è molto calorosa e
viene anche interrotto… in nostro onore un corso di formazione di
sindacaliste per passare pochi minuti insieme
e scambiarci
parole di benvenuto, saluto e amicizia. Passiamo poi all'incontro
sindacale.
L'attività
di questo sindacato è cominciata dopo il 1993.
I
metalmeccanici rappresentano circa il 17% della forza lavoro.
I
problemi più significativi che il sindacato deve affrontare sono le violazioni
dei diritti dei lavoratori da parte delle imprese israeliane, ma anche
palestinesi: nessuno dei padroni - ci dicono - vuole avere leggi o contratti e
la legge sul lavoro varata
a maggio rappresenta una garanzia minima; la contrattazione è cominciata
a livello aziendale, ma ci sono grandi necessità di formazione, soprattutto per
quanto riguarda la sicurezza, l'ambiente di lavoro e le nuove tecnologie.
Con
i sindacati israeliani c'è un accordo stipulato recentemente per la difesa dei
lavoratori palestinesi in Israele (il sindacato palestinese non può
interloquire né con i padroni né con i tribunali israeliani), ma questo
accordo non viene applicato, "come gli accordi di pace!" commenta
Rassem.
Un
grosso ostacolo, in via di superamento, è la separazione tra il sindacato dei
territori occupati (West Bank), con sede a Nablus e quello di Gaza. E' stato
infatti fatto un primo accordo per la costituzione
di un unico sindacato, che dovrà essere approvato al prossimo congresso.
Nei prossimi giorni ci sarà un incontro tra le due parti al Cairo,
"perché" - ci dice Rassem - "non ho un permesso per andare nella
West Bank!". Al check point di Gaza, vedremo infatti una lunga fila di
lavoratori palestinesi (quelli che hanno il permesso di lavoro in Israele) che
deve attraversare a piedi circa un chilometro sia per entrare che per uscire da
Gaza.
Ci
siamo impegnati a corrispondere alle loro richieste di sostegno a corsi
di formazione (professionale e sindacale) e alla istituzione di un centro di formazione
e cultura
per i metalmeccanici. Un loro progetto più preciso dovrebbe pervenirci entro la
fine di settembre.
Visitiamo
il campo profughi di Rafah, al
confine con l'Egitto, quello probabilmente con le condizioni peggiori di tutti :
non ci sono infrastrutture né servizi, ma solo un dottore 5 giorni alla
settimana per circa 30.000 persone.
Il
nuovissimo aeroporto, molto bello
nella sua architettura araba moderna, invece, è motivo di grande orgoglio per i
nostri accompagnatori,
anche se ancora i voli sono molto limitati (Egitto, Emirati Arabi) e
soprattutto sia in partenza che in arrivo c'è un controllo israeliano a 2 Km da
quello palestinese interno all'aeroporto.
A
fine giornata, prima di rientrare a Gerusalemme, nel parco di Gaza, ascoltiamo
un concerto di un complesso composto da musicisti di diversi paesi del
Mediterraneo e un intervento, per la prima volta in italiano, di Suha
Arafat che insiste in modo particolare sui bambini non come vittime, ma come
risorsa per il futuro.
6
settembre
- Hebron e campo
profughi di Al-Fawwar - incontro con le donne del Jerusalem Link - visita al
Women'S Affairs Technical Committee a Ramallah - incontro con movimenti per la
pace israeliani
La
maggior parte della delegazione Fiom, insieme ad altre delegazioni, si è recata
a Hebron, dove è stata ricevuta dal
sindaco e successivamente al campo profughi di Al-Fawwar,
dove si sono svolti incontri con i responsabili del campo, il centro donne e le
associazioni che stanno realizzando progetti di solidarietà nel campo.
Nel
campo vivono oggi 6.500 persone provenienti da 22 villaggi (dal 1948), di cui
circa 4.000 sotto i 18 anni. E' uno tra i campi con miglior organizzazione e
maggiori servizi, anche grazie all'impegno dell'Arcs (ArciI). L'Unrwa gestisce 3
scuole, 5 asili nido, 4 asili, 1 centro donne, che svolge attività di
formazione ed ha 3 computer, 1 ambulatorio con un dottore.
AL-Fawwar
è considerato dagli stessi responsabili una sorta di punto di riferimento anche
per altri campi e c'è un coordinamento delle donne di 15 campi.
Nonostante
questa situazione relativamente migliore di altri campi, anche qui vengono
espresse molte critiche sia perché i campi sono marginali rispetto ai programmi
dell'autorità palestinese, sia perché la stessa Unrwa (agenzia delle Nazioni
unite per i rifugiati) sta riducendo investimenti e servizi e scaricando le
proprie responsabilità.
Nella
mattina, insieme a donne di altre associazioni (Torino, Bologna) incontriamo a
Gerusalemme Salwa Hdeibi, responsabile del Centro
donne
di Gerusalemme, partner palestinese del Jerusalem Link.
Salwa
ci espone tre questioni centrali: in primo luogo la difficoltà di accesso a
Gerusalemme (aumentata dopo gli accordi di Oslo) e quindi di un lavoro
collettivo nella città, che è invece possibile solo a Ramallah, in quanto
sotto l'autorità palestinese; un grave problema economico, che mette in
discussione la sopravvivenza del centro, dal momento che la maggior parte degli
investimenti, anche internazionali, vengono fatti nelle zone sotto autorità
palestinese; le difficoltà ad ottenere dall'autorità palestinese leggi
riguardanti i diritti delle donne (fine dei matrimoni precoci, della poligamia,
diritto di famiglia).
Pur
tra tante difficoltà, tuttavia, continua il lavoro insieme alle donne di Bat
Shalom, partner israeliana del Jerusalem Link.
A
Gerusalemme ovest incontriamo alcune donne di Bat
Shalom: la direttrice Terry, che ci parla soprattutto delle difficoltà e
dell'incertezza di prospettive dopo la perdita di Hagar, che era da alcuni anni,
nonostante la sua avversione per qualsiasi organizzazione, la direttrice
politica di Bat Shalom.
Due
giovani donne del centro ci illustrano l'attività del centro, svolta sia
separatamente, sia insieme alle donne palestinesi e il programma sui diritti
umani che si svolge per 7 mesi separatamente e per 3 mesi con una campagna
congiunta.
Ci
dicono che cresce la polarizzazione all'interno della società israeliana, con
un peso crescente dei fondamentalisti, che non ritengono sia una minoranza.
Nello stesso tempo stanno nascendo, cosa impensabile fino a pochi anni fa,
gruppi antimilitaristi e per l'obiezione di coscienza, tra i giovani.
A
Ramallah nel pomeriggio incontriamo
la direttrice del Centro Watc (Women's affairs
technical
committee),
Souheir, una donna giovane e molto energica che ci parla con grande
soddisfazione dei risultati raggiunti e del lavoro che svolgono in questo bel
centro a Ramallah, a cui aderiscono oltre 10 Associazioni, sia legate alle
diverse parti politiche, sia indipendenti. Svolgono attività politica e sociale
e, tra le prime iniziative di successo, ricorda quella di aver ottenuto la
modifica della legge giordana vigente nei territori occupati, eliminando
l'obbligo per le donne di un tutore per ottenere il passaporto. "Per
ottenere questo successo abbiamo dovuto fare 4 manifestazioni e una grande
pubblicità attraverso giornali e radio. Questa è stata anche l'occasione in
cui abbiamo deciso definitivamente di essere una associazione indipendente e di
non entrare nel governo dell'autorità palestinese".
Altri
risultati positivi: ricavati 22.000 dollari con la vendita dei nostri prodotti
(magliette, borse, asciugamani) con i quali siamo riuscite a mandare a scuola 80
ragazze; pubblicazione quindicinale di un giornale su donne e politica, lavori
delle donne, ecc.; sito web; corsi di formazione per dirigenti dei vari
ministeri dell'autorità palestinese, dove si discute molto anche con i
fondamentalisti sulle diverse interpretazioni del Corano riguardo al lavoro
delle donne. "All'inizio c'è stata una grande opposizione alla nostra
attività politica da parte dei fondamentalisti, e ogni venerdì, in tutte le
moschee, eravamo denunciate con nomi e cognomi" Dopo 6 anni di vita del
centro, sono funzionanti diverse sedi, con 69 donne che ci lavorano a tempo
pieno (anche se con salari molto bassi). "Adesso per noi la sfida più
grande è continuare a lavorare tutte insieme".
Incontro
con pacifisti israeliani - Hotel National Palace
Partecipano
all'incontro Uri Avneri, deputato della Knesset e dirigente di Gush
Shalom, Jeff, fondatore del Comitato
contro la demolizione delle case, Eitan Felner presidente di B'Tselem,
Associazione per i diritti umani e Arik Ascherman direttore dell'Associazione
dei Rabbini per i diritti umani.
Ognuno
dei quattro svolge una relazione molto interessante sui diversi tipi di attività
ed analisi relative alla situazione dopo gli accordi di Oslo.
Uri
Avneri si concentra su questa analisi e sulle posizioni di Gush Shalom, definito
un movimento per la pace a sinistra di Peace Now, il cui atteggiamento attuale
è considerato troppo subordinato alla politica del Governo Barak. Gli accordi
di Oslo vengono valutati criticamente, in quanto nei sette anni trascorsi sono
aumentati gli insediamenti, e il controllo israeliano del territorio; Uri Avneri
ritiene che
gli insediamenti debbano essere rimossi. Tuttavia la forte pressione per la pace
ha, a suo avviso, reso i palestinesi più forti.
Per
quanto riguarda Gerusalemme capitale di due stati Gush Shalom ha raccolto 750
firme di intellettuali, docenti universitari, artisti e personalità israeliane.
Forte critica viene espressa anche nei confronti dell'unione europea, che ogni
anno compra produzioni degli insediamenti per 200 milioni di dollari, anche se
è noto che questo è illegale
in base agli accordi, che in tal modo vengono applicati solo al
territorio israeliano, ma non agli insediamenti. Per questo Gush Shalom ha
lanciato una campagna di boicottaggio di queste produzioni a cui ci viene
richiesto di associarci. Uno degli ostacoli più grossi alla pace - che secondo
Avneri potrebbe essere fatta anche domani - è la gestione dell'area dei templi,
su cui dovrebbe essere stabilita una sovranità israeliana per quanto riguarda
il muro del pianto e quella palestinese sulla moschea. Si dichiara in completo
disaccordo sulla caratteristica religiosa che il conflitto, prima conflitto
nazionale, ha assunto. Dice che la dichiarazione unilaterale dello stato
palestinese porterebbe probabilmente ad una nuova guerra ed a un bagno di
sangue. Si dichiara d'accordo con il comportamento di Arafat soprattutto su un
punto: la priorità della lotta per la libertà e l'indipendenza rispetto a
quella per la democrazia (argomento che ci lascia interdetti o in totale
disaccordo).
Il
rappresentante del Comitato contro le
demolizioni denuncia la demolizione di 7000 case dal 1967
e considera parte di una politica di pulizia etnica, quella israeliana,
di costringere sempre più i palestinesi in piccole isole: Israele ha bisogno
che ci sia uno stato palestinese, ma la sua strategia è che sia uno stato
"bantustan", non accessibile: solo a Gerusalemme est si sono insediati
200.000 israeliani, 400.000 sono oltre i confini del 1967, 200.000 coloni in
Israele e Gaza
Altro esempio di questa strategia è la costruzione di 29 grandi
autostrade (By-pass roads) che collegano gli insediamenti, tagliando fuori i
villaggi palestinesi; anche lui come gli altri dice che il problema fondamentale
non è la quantità del territorio, ma il controllo sul territorio stesso.
L'attività
del comitato contro le demolizioni delle case è passata da una fase di semplice
protesta, senza alcun rapporto con le famiglie palestinesi colpite dalle
demolizioni, ad una fase di lotta politica insieme, anche per prevenire le
demolizioni stesse.
Anche
il rabbino che rappresenta un Comitato per i diritti umani, partecipa alla
attività contro le demolizioni, dal 1995, e ci invita per il giorno successivo
ad una iniziativa di solidarietà con gli abitanti di un villaggio vicino
Betlemme, in cui sono state già individuate alcune case da demolire.
Obiettivo:cacciare progressivamente tutti i palestinesi e includere l'area nella
zona di Gerusalemme.
Il
rappresentante di Bet Selem ci parla
dell'attività del Comitato contro la
violazioni dei diritti umani, inclusi
quelli civili, politici, economici e sociali. Sottolinea che anche nelle aree in
cui la violenza e le vittime sono diminuite (rispetto al periodo dell'Intifada),
le politiche non sono cambiate: rimane la possibilità per i militari israeliani
di sparare contro i Palestinesi per qualsiasi motivo, rimane l'arresto e la
detenzione senza processo. "Noi
Israeliani, dobbiamo riconoscere che abbiamo commesso ingiustizie, altrimenti la
pace verrà sempre fatta nel nostro interesse".
Il
rappresentante di Bet Selem è il primo che sentiamo denunciare le violazioni
dei diritti umani commesse dall'autorità palestinese, contro le quali si
battono con coraggio anche attivisti palestinesi. Per queste violazioni viene
denunciata la responsabilità indiretta di Israele, che esercita fortissime
pressioni su Arafat perché faccia svolgere alla polizia palestinese "il
lavoro sporco", per distruggere Hamas.
7
settembre
-
Nablus - incontro con il segretario
generale
del Pgftu
(Confederazione
dei sindacati
palestinesi)
- visita al villaggio di Wilajeh (casa da demolire)
Sh
aher Saed ci riceve nella sede centrale del sindacato a Nablus e ricorda il
grande sostegno dato dai Sindacati italiani ai palestinesi durante l'Intifada.
Poi parla subito, con grande tensione, della posizione irrinunciabile su
Gerusalemme capitale e sulle difficoltà dei negoziati di pace; ci dice anche,
come esempio del nesso tra questioni politiche e sociali, che il
capo
di stato
maggiore israeliano ha dichiarato che in caso di dichiarazione unilaterale dello
stato
palestinese, uno dei primi atti sarà la chiusura militare dei passaggi per i
lavoratori palestinesi in Israele, cioè
la riduzione alla fame di circa 130.000 famiglie. Inoltre ci dice che, nei
due giorni successivi, si riunirà a Gaza il Consiglio centrale palestinese per
una decisione sulla data di proclamazione dello stato.
Rispondendo
alle varie domande della delegazione sui diritti dei lavoratori e il rapporto
con i sindacati israeliani, sottolinea
il fatto che i lavoratori palestinesi pagano tasse (21% del salario) come gli
israeliani, ma che, diversamente da questi, non ricevono dallo stato alcun
beneficio in termini di stato sociale e denuncia il fatto che
questo punto non faccia parte dei negoziati.
Commenta
che lui chiederebbe immediatamente la restituzione di questi 7 miliardi di
dollari, versati dai palestinesi dal '70 al '93.
Per
quanto riguarda l'accordo con i sindacati israeliani per la difesa dei diritti
dei lavoratori palestinesi in Israele, (gli avvocati palestinesi non possono
agire in giudizio), è responsabilità dell' Istadrut che, però, non fa niente
dicendo ogni volta che si tratta di problemi politici: ad esempio quando vengono
chiusi gli accessi ad Israele per i lavoratori palestinesi, il sindacato
israeliano non interviene. Ci sono pendenti 1500 vertenze di lavoratori
palestinesi.
Si
dice relativamente soddisfatto della legge sul lavoro approvata a maggio, in cui
si stabilisce il principio (ma non la quantità) del salario minimo, ma
sottolinea i gravissimi problemi economici e sociali per tutti i lavoratori
(636.000 di cui il 14% donne) e sottolinea anche il fatto che, mentre
c'è accordo pieno con Arafat sul piano politico, ci sono notevoli disaccordi
per quanto riguarda il terreno sociale. Essendo il sindacato
indipendente si è mosso per ottenere alcuni risultati anche con diverse
manifestazioni "di cui certo Arafat non è stato contento".
Visita
al villaggio di
Wilajeh
Nel
tardo pomeriggio, accogliendo l'invito del rabbino per i diritti umani, ci
rechiamo con lui ad esprimere la nostra solidarietà ed ascoltare il racconto di
una famiglia la cui casa il sindaco di Gerusalemme vuole demolire, con la
motivazione , generalmente usata, di costruzione abusiva.
Ci
dicono che si tratta anche di un'arma usata in vista delle prossime elezioni:
attraverso la demolizione di case palestinesi, il sindaco raccoglie consensi e
chiede contributi economici.
8
settembre - giro Gerusalemme - Tiberiade - alture
del Golan - Acco
- Haifa -Gerusalemme
Mentre
una parte della delegazione rientra in Italia, il resto, fa un lungo giro
guidato dal nostro autista e guida
Mohammed che ci fa percorrere 500 chilometri in un giorno! La solo sosta
lunga è nella bella città di Acco (s. Giovanni d'Acri), il cui centro storico
è abitato quasi interamente da palestinesi israeliani. Alcune di noi si recano
in questa occasione al vicino kibbuz di Regbe, dove abita la madre di Hagar ed
è seppellita questa splendida amica e compagna.
Vediamo
questa bella terra, attraversiamo
i villaggi siriani distrutti sulle alture del Golan, arriviamo ai suoi tre
confini, armati: con la Giordania, il Libano (da cui l'esercito israeliano si è
recentemente ritirato) e la Siria. Il tempo in cui questi confini potranno
essere da tutti liberamente attraversati ci sembra lontano, ed è questa una
delle chiavi della pace in Medio oriente.
Alessandra
Mecozzi
Resp. Ufficio internazionale Fiom