Di ritorno dalla Palestina

Incontri con i sindacati palestinesi

 

Dal 29 ottobre al 1° novembre mi sono recata in Palestina, con una delegazione di varie associazioni tra quelle che hanno promosso l'appello e la Manifestazione nazionale "Sia pace a Gerusalemme" dell'11 novembre a Roma. Della delegazione facevano parte anche Roberto Giudici della Fiom di Milano e dell'Arci nazionale, Tiziana Salmistraro della Associazione Orlando di Bologna e del Coordinamento nazionale delle Ong per la Palestina, Farshid Nourai della Associazione per la pace e Flavio Lotti, del Coordinamento nazionale Enti locali per la pace. Dopo diversi incontri con dirigenti palestinesi ed esponenti del movimento per la pace israeliani, a Gerusalemme, sono andata a Nablus e a Gaza, dove ho incontrato, rispettivamente, il segretario generale del Pgftu (Confederazione generale dei sindacati palestinesi) Shaher Sa'ed e Abla, responsabile del dipartimento donne, e, a Gaza, Rasem Al Bayari, vice segretario del Pgftu e presidente del sindacato metalmeccanici, con il responsabile dell'Ufficio internazionale. Questi ultimi ci hanno confermato la loro volontà di mantenere il progetto "Lavoriamo Insieme", con la Fiom, anche se il momento presente è difficilissimo e pieno di incognite.

In occasione di questo incontro ci è stato consegnato un documento di cui riportiamo le parti essenziali, relative alla analisi, anche quantitativa, delle conseguenze sociali ed economiche di un mese di assedio israeliano a Gaza e ai Territori occupati. Ci hanno ringraziato per la solidarietà , le varie iniziative e la manifestazione nazionale, insistendo sulla necessità di un ruolo politico, e non solo di sostegno economico, dell'Italia e dell'Europa, per l'affermazione dei loro diritti nazionali, a uno Stato indipendente di Palestina, e per una  pace giusta. Si augurano perciò che il processo di pace possa riprendere,  mettendo fine all'uccisione quotidiana di palestinesi da parte dell'esercito israeliano e sulla base delle Risoluzioni delle Nazioni unite e del ritiro dell'occupazione militare israeliana.

 

Una delegazione Fiom si è recata in Palestina dal 30 agosto al 10 settembre nel quadro della iniziativa "L'Italia per la Palestina - Betlemme 2000" promossa dalla tavola della pace e dal Coordinamento nazionale enti locali per la pace, a cui hanno partecipato circa 900 persone.

La delegazione era composta da: Alessandra Mecozzi, Neva Bernardi, Angela Onori e Alida Di Marzo (Fiom nazionale), Giorgio Airaudo e Iacovella (Fiom Collegno - Piemonte), Osvaldo Squassina e Massimo Bresciani (Fiom Brescia), Gianni Rocco (Fiom Veneto), Sabina Petrucci (Fiom Bologna - Emilia Romagna), Francesco La Cava (Fiom Taranto). Giannina Dal Bosco, delegata Fim del Veneto a Portavoce Nazionale della Associazione per la Pace ha partecipato con noi a tutti gli incontri.

Ha contribuito molto alla riuscita dei vari incontri e alla conoscenza dei luoghi Roberto Giudici della Fiom di Milano, che faceva parte dell'organizzazione generale dell'iniziativa anche come rappresentante dell'Arci.

Si sono svolte diverse visite ed incontri, solo in parte all'interno del programma generale, in quanto esso non prevedeva incontri sindacali e pochissime occasioni di incontri politici. A questi diversi incontri, hanno partecipato anche altre persone interessate, sia dirigenti sindacali della Cgil, che abbiamo incontrato sul posto, sia di associazioni e gruppi di donne, come quelle di  Bologna e Torino, che fin dal 1988 hanno sviluppato un lavoro in comune con palestinesi e israeliane, a cui hanno partecipato anche donne della Fiom lì presenti. Essendo i tempi di permanenza oltre che gli interessi, a volte diversi, per alcuni incontri ci siamo divisi in gruppi.

Una valutazione comune

Questa esperienza, che molto ci ha emozionato, insegnato e fatto riflettere, ci ha messo di fronte ad una realtà molto complessa e difficile, anche con situazioni di grande tensione e rabbia, in particolare nei campi profughi, la realtà sociale ed economica più disastrosa; ha contribuito a farci capire meglio la drammaticità della situazione e le diverse valutazioni politiche,  attraverso l'ascolto di esponenti del movimento per la pace israeliano,  estremamente lucidi e impietosi sulla politica dei diversi governi di destra e di sinistra, associazioni e personalità palestinesi impegnate in un durissimo sforzo di conquistare una pace giusta e valorizzare i piccoli risultati. Abbiamo potuto constatare direttamente la quantità di piccole e grandi ingiustizie e soprusi che ancora tutto il popolo palestinese è costretto a subire da parte del governo e dell'esercito di Israele. Si è rafforzata una comune valutazione sulla necessità di un significativo impegno di solidarietà, politica e materiale di tutto il sindacato e delle forze della società civile, così come di un ruolo politico attivo della Unione europea.  E' necessario un grande e continuo impegno per sostenere donne e uomini palestinesi nella difficile fase di costruzione dello stato indipendente e democratico e della lotta per ottenere dai negoziati una pace giusta e onnicomprensiva, quel compromesso compatibile che si basa su alcuni punti fondamentali:  Gerusalemme est capitale di uno stato palestinese indipendente, diritto al ritorno per i profughi, controllo delle risorse idriche e del territorio dello stato, ritiro degli insediamenti e definizione dei confini (anche con controllo internazionale) a prima del 1967.

1 settembre - Gerusalemme ovest - Paris Square - Donne in nero

Come ogni settimana dal 1988 si è svolta, dalle 13.00 alle 14.00, la manifestazione delle Donne in nero israeliane, movimento nato per protestare contro l'occupazione dei territori palestinesi. Ho partecipato insieme ad altre italiane presenti (la nostra delegazione non era ancora arrivata). E' stata una occasione molto commovente perché si ricordava Hagar Roublev, leader fondatrice del movimento, morta a 46 anni il 21 agosto nell'isola di Paros dove si trovava in vacanza per qualche giorno. E' stata ricordata da Luisa  Morgantini, Rana Nashashibi, palestinese, e altre amiche israeliane del Centro Bat Shalom.

2 settembre - Hotel National Palace - Gerusalemme Est - Incontro con Zahira Kamal

Zahira Kamal, personalità di spicco dell'Intifada, del movimento delle donne palestinesi e del movimento per la pace, attualmente nel ministero della Pianificazione e Cooperazione internazionale dell'autorità nazionale palestinese come direttore generale della sezione "Gender Planning & Development", ha parlato soprattutto di due punti: la difficile battaglia per ottenere una presenza e il segno delle donne all'interno della autorità nazionale palestinese e dei governi locali, con leggi  che sanciscano sul piano giuridico, familiare e del lavoro la parità tra donne e uomini; in secondo luogo ha esposto il suo punto di vista riguardo allo stato e alle prospettive dei negoziati di pace, sottolineando i punti irrinunciabili.

Sul primo punto, i risultati ottenuti sono stati: la presenza di 60 donne (contro le 6 inizialmente previste) sui 300 componenti il Comitato tecnico per la preparazione delle trattative; due ministri donne su 24, attualmente 1 (affari sociali), dopo le dimissioni di Hanan Ashrawi; sono state elette 5 donne Deputate su un totale di 88; ci sono 30 donne su 320 direttori generali. Ci ha inoltre informato che questa esiguità di risultati, del tutto sproporzionata rispetto al ruolo centrale svolto dalle donne nell'Intifada e nella pressione per arrivare ad una pace giusta, ha consolidato l'iniziativa autonoma del "Women's Affairs Technical Committee", che è una organizzazione non governativa a cui sono affiliate diverse organizzazioni anche con differenti opinioni politiche. Questo comitato si occupa in modo particolare della condizione sociale, giuridica e in generale dei diritti delle donne (vedi più avanti per l'incontro del 6 Settembre).

Circa il secondo punto, Zahira ha sottolineato il fatto che Camp David ha rappresentato il fallimento dell'ideologia dell'"accordo finale" tutto a vantaggio degli israeliani. Il dato positivo è che si è aperta da quel momento una fase in cui anche i  temi più spinosi e considerati tabù, sono materia di discussione: in particolare il diritto al ritorno per i profughi all'interno e all'esterno dei territori occupati; Gerusalemme capitale dello stato palestinese; la questione dei confini e quella degli insediamenti dei coloni.

E' importante - dice Zahira - che sia stata rifiutata la proposta di stabilire un diverso regime di controllo: verticale - cioè sullo spazio, sull'aria e sul sottosuolo (acqua) - agli israeliani  e quello orizzontale - sulle persone - ai palestinesi. Sui confini i palestinesi accetterebbero un sistema di sicurezza internazionale, senza gli israeliani.

Zahira è una delle dirigenti che ha mostrato più "ottimismo" e ci ha fatto un esempio di come il processo di "riconciliazione e verità" sia nei fatti possibile: un incontro in un Kibbutz con 400 israeliani che hanno portato testimonianze della loro volontà di pace, denunciando le ingiustizie e i soprusi, da loro stessi commessi. "Questo tipo di testimonianze rafforza noi palestinesi - ha detto Zahira - e colpisce la società israeliana. Dobbiamo ricordare che è proprio grazie alla battaglia, iniziata 10 anni fa, da 4 madri di soldati israeliani in Libano, che oggi gli israeliani si sono ritirati."

3 settembre - Campo profughi di Dheisheh (Betlemme) - apertura ufficiale manifestazione

Siamo la prima delegazione  che si reca in questo campo profughi in cui, pochi giorni prima, un incendio doloso,  ha distrutto un recentissimo centro computer e, fortunatamente, appena sfiorata la biblioteca. Ce ne parla, dopo averci fatto visitare il disastro, il responsabile nel campo del centro Ibna (creatività), Zead , che ritiene che l'incendio sia stato provocato da "chi non vuole lo sviluppo sociale nel campo, che siano fondamentalisti o altri gruppi", ci da un quadro dettagliato e drammatico della situazione dei profughi palestinesi: una popolazione di oltre 5 milioni di persone, dentro e fuori i territori occupati, che, dal 1948, aspettano di rientrare nei propri villaggi. Ci mostra la chiave della casa dei suoi genitori che sua madre mise in tasca nel 1948 ; hanno vissuto prima in tende, poi in "scatole" di cemento costruite dalle Nazioni unite (1950), adesso in situazioni carenti pesantemente dal punto di vista dei servizi e delle infrastrutture; in questo campo vivono 11.000 persone di cui oltre il 50% con meno di 18 anni; non ci sono ospedali, ma solo un ambulatorio con un dottore; tra il 1979 e il 1985, in media, ci sono stati 3 mesi e mezzo l'anno di coprifuoco; le possibilità di lavoro sono estremamente limitate e la possibilità di lavorare in Israele è legata all'ottenimento di un permesso (per decisione israeliana solo 130.000 in tutto) o ad un'uscita/entrata clandestina. "Io posso andare in tutto il mondo" - ci dice Zead - "e sono stato molte volte in Italia, ma non a Gerusalemme!" Il Centro Ibna si autofinanzia attraverso lo spettacolo di danze palestinesi che un gruppo di ballo porta in molte parti del mondo.

In questo campo, come poi in altri, il senso di dignità e determinazione, di volontà di ottenere il riconoscimento dei propri diritti e miglioramento della propria condizione materiale, è fortissimo, come forte l'insofferenza per gli obiettivi considerati eccessivamente simbolici: "Gerusalemme per me è sacra come Haifa" e il timore di essere "dimenticati".

Nella visita al campo, in cui dal 1987 erano state chiuse le 14 entrate e lasciata aperta solo una con due cancelli girevoli attraverso cui solo una persona poteva entrare od uscire, una scritta sul muro (fatta in occasione della visita del Papa) colpisce particolarmente: "Scusa Papa, se non diamo il tuo nome ad una di queste strade: ma i campi non possono durare per sempre!".

Dopo aver assistito all'apertura ufficiale della manifestazione all'Università di Betlemme, rientriamo  a Gerusalemme dove al National Palace incontriamo un israeliano ed un palestinese, il primo direttore del Centro documentazione di Gerusalemme,e il secondo giornalista free-lance. Entrambe hanno una visione estremamente critica del processo iniziato con gli accordi di Oslo e le loro motivazioni possono essere riassunte nella frase: "I palestinesi ancora sentono che l'occupazione israeliana è una parte della loro vita". Infatti solo nel 5% dei territori non c'è esercito israeliano e il controllo dello spazio aereo e dei passaggi tra una zona e l'altra è israeliano; a Gaza stessa, sotto autorità Palestinese, il 3% della popolazione (israeliani) controlla il 40% del territorio. Piccoli insediamenti già esistenti non vengono tolti, per giustificare la presenza dell'esercito (sicurezza!) .

Per quanto riguarda l'economia, un dato significativo è che, mentre il budget dello stato di Israele è costituito per il 30% dalle tasse pagate  dai palestinesi, solo il 5% viene investito a loro favore.

L'israeliano fa un'analisi critica del testo degli accordi e rileva che per ben 126 volte è usata la parola "separazione" e che non compare la parola "diritti": tutto è adesso diventato materia di contrattazione, commenta, mentre continua a non esserci il rispetto delle convenzioni internazionali.

Critica anche la posizione nei confronti dell'Europa che si limita a pagare, ma non ha un ruolo politico attivo nel processo per una pace giusta. Commento amaro del palestinese: "Gli israeliani hanno vinto la guerra, adesso vogliono vincere la pace".

4 settembre - Gerusalemme ovest: visita al museo dell'olocausto, incontro con Lea Rabin e omaggio alle tombe di Deir Yassin  - incontro della delegazione italiana con palestinesi e israeliani a Notre Dame (grande edificio con albergo di proprietà del Vaticano) - Manifestazione israeliana promossa da Gush Shalom (insieme per la pace ) per Gerusalemme capitale di due Stati .

Dopo la  visita e la cerimonia con le autorità italiane e israeliane al museo dell'olocausto - Yad Vashem -  con deposizione di una corona di fiori (mentre un altro gruppo si è recato da Lea Rabin), un centinaio di persone, tra cui la nostra delegazione, si reca alle tombe di Deir Yassin, villaggio in cui nel 1948, dopo la proclamazione dello stato di Israele, vennero massacrati circa 200 abitanti palestinesi da gruppi paramilitari israeliani. Oggi  non rimane più nulla, tranne alcune povere lapidi, coperte da sterpi e vetri rotti. Un palestinese, che ci accompagna, e che fa parte del comitato per Deir Yassin composto da palestinesi, israeliani e americani, ci dice che ogni tentativo di sistemare e curare questo luogo viene immediatamente distrutto da israeliani (oggi questo luogo si trova nella zona ovest). Anche qui deponiamo una corona di fiori, ma il contrasto con la precedente cerimonia, nonché con la bellezza e cura che giustamente gli israeliani hanno voluto attribuire al luogo della memoria dell'olocausto, ma che negano ai palestinesi, è sconvolgente.

Incontro degli italiani con personalità Palestinesi e Israeliane - Gerusalemme - Notre Dame

Presentano le posizioni rispettive sui negoziati e su Gerusalemme capitale di due stati Feisal Husseini, una delle più notevoli personalità dell'Intifada e dei negoziati per la pace, Yael Dayan, deputata della Knesset, Ghassan Katib, direttore del Centro informazione e Comunicazione di Gerusalemme, Naomi Kazan, deputata della Knesset, Salwa Hdeibi, responsabile del Centro delle donne di Gerusalemme, partner palestinese del Jerusalem Link, Galia Golan, del movimento Peace now e Lea Tzemel, che ricorda con grande efficacia la figura di Hagar Roublev "vera Internazionalista e costruttrice di pace". Viene mostrato come introduzione un breve video sull'evento Time for Peace di 10 anni fa ed anche diversi interventi si riferiscono all'importanza di quell'evento in cui migliaia di italiani, palestinesi e di altri paesi circondarono Gerusalemme con una catena umana. Viene ricordato anche il doloroso episodio in cui Marisa Manno, una compagna della Cgil, perse un occhio durante le cariche con idranti della polizia israeliana. E' bello sentire il riconoscimento alle donne italiane espresso dalle israeliane e palestinesi, per il lavoro fatto insieme dal 1988. E' un po’ irritante che l'organizzazione non abbia previsto l'intervento di una di quelle donne italiane!

La giornata si conclude con un ricevimento offerto dai palestinesi agli italiani alla Orient House, Sede del la rappresentanza Olp a Gerusalemme.

5 settembre - Gaza - incontro con il segretario generale dei metalmeccanici e vice segretario generale della Confederazione (Pgftu) Rassem Al Bayari  - visita a Gaza e al campo profughi di Rafah .

L'accoglienza alla delegazione (che in questa giornata comprende anche un rappresentante della Cgil nazionale e dirigenti Cgil del Veneto e dell'Umbria), è molto calorosa e viene anche interrotto… in nostro onore un corso di formazione di  sindacaliste per passare pochi minuti insieme  e scambiarci  parole di benvenuto, saluto e amicizia. Passiamo poi all'incontro sindacale.

L'attività di questo sindacato è cominciata dopo il 1993.

I metalmeccanici rappresentano circa il 17% della forza lavoro.

I problemi più significativi che il sindacato deve affrontare sono le violazioni dei diritti dei lavoratori da parte delle imprese israeliane, ma anche palestinesi: nessuno dei padroni - ci dicono - vuole avere leggi o contratti e la legge sul lavoro varata  a maggio rappresenta una garanzia minima; la contrattazione è cominciata a livello aziendale, ma ci sono grandi necessità di formazione, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza, l'ambiente di lavoro e le nuove tecnologie.

Con i sindacati israeliani c'è un accordo stipulato recentemente per la difesa dei lavoratori palestinesi in Israele (il sindacato palestinese non può interloquire né con i padroni né con i tribunali israeliani), ma questo accordo non viene applicato, "come gli accordi di pace!" commenta Rassem.

Un grosso ostacolo, in via di superamento, è la separazione tra il sindacato dei territori occupati (West Bank), con sede a Nablus e quello di Gaza. E' stato infatti fatto un primo accordo per la costituzione di un unico sindacato, che dovrà essere approvato al prossimo congresso. Nei prossimi giorni ci sarà un incontro tra le due parti al Cairo, "perché" - ci dice Rassem - "non ho un permesso per andare nella West Bank!". Al check point di Gaza, vedremo infatti una lunga fila di lavoratori palestinesi (quelli che hanno il permesso di lavoro in Israele) che deve attraversare a piedi circa un chilometro sia per entrare che per uscire da Gaza.

Ci siamo impegnati a corrispondere alle loro richieste di sostegno a corsi di formazione (professionale e sindacale) e alla istituzione di un centro di formazione e cultura per i metalmeccanici. Un loro progetto più preciso dovrebbe pervenirci entro la fine di settembre.

Visitiamo il campo profughi di Rafah, al confine con l'Egitto, quello probabilmente con le condizioni peggiori di tutti : non ci sono infrastrutture né servizi, ma solo un dottore 5 giorni alla settimana per circa 30.000 persone.

Il nuovissimo aeroporto, molto bello nella sua architettura araba moderna, invece, è motivo di grande orgoglio per i nostri accompagnatori,  anche se ancora i voli sono molto limitati (Egitto, Emirati Arabi) e soprattutto sia in partenza che in arrivo c'è un controllo israeliano a 2 Km da quello palestinese interno all'aeroporto.

A fine giornata, prima di rientrare a Gerusalemme, nel parco di Gaza, ascoltiamo un concerto di un complesso composto da musicisti di diversi paesi del Mediterraneo e un intervento, per la prima volta in italiano, di Suha Arafat che insiste in modo particolare sui bambini non come vittime, ma come  risorsa per il futuro.

6 settembre - Hebron e campo profughi di Al-Fawwar - incontro con le donne del Jerusalem Link - visita al Women'S Affairs Technical Committee a Ramallah - incontro con movimenti per la pace israeliani . 

La maggior parte della delegazione Fiom, insieme ad altre delegazioni, si è recata a Hebron, dove è stata ricevuta dal sindaco e successivamente al campo profughi di Al-Fawwar, dove si sono svolti incontri con i responsabili del campo, il centro donne e le associazioni che stanno realizzando progetti di solidarietà nel campo.

Nel campo vivono oggi 6.500 persone provenienti da 22 villaggi (dal 1948), di cui circa 4.000 sotto i 18 anni. E' uno tra i campi con miglior organizzazione e maggiori servizi, anche grazie all'impegno dell'Arcs (ArciI). L'Unrwa gestisce 3 scuole, 5 asili nido, 4 asili, 1 centro donne, che svolge attività di formazione ed ha 3 computer, 1 ambulatorio con un dottore.

AL-Fawwar è considerato dagli stessi responsabili una sorta di punto di riferimento anche per altri campi e c'è un coordinamento delle donne di 15 campi.

Nonostante questa situazione relativamente migliore di altri campi, anche qui vengono espresse molte critiche sia perché i campi sono marginali rispetto ai programmi dell'autorità palestinese, sia perché la stessa Unrwa (agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati) sta riducendo investimenti e servizi e scaricando le proprie responsabilità.

Nella mattina, insieme a donne di altre associazioni (Torino, Bologna) incontriamo a Gerusalemme Salwa Hdeibi, responsabile del Centro donne di Gerusalemme, partner palestinese del Jerusalem Link.

Salwa ci espone tre questioni centrali: in primo luogo la difficoltà di accesso a Gerusalemme (aumentata dopo gli accordi di Oslo) e quindi di un lavoro collettivo nella città, che è invece possibile solo a Ramallah, in quanto sotto l'autorità palestinese; un grave problema economico, che mette in discussione la sopravvivenza del centro, dal momento che la maggior parte degli investimenti, anche internazionali, vengono fatti nelle zone sotto autorità palestinese; le difficoltà ad ottenere dall'autorità palestinese leggi riguardanti i diritti delle donne (fine dei matrimoni precoci, della poligamia, diritto di famiglia).

Pur tra tante difficoltà, tuttavia, continua il lavoro insieme alle donne di Bat Shalom, partner israeliana del Jerusalem Link.

A Gerusalemme ovest incontriamo alcune donne di Bat Shalom: la direttrice Terry, che ci parla soprattutto delle difficoltà e dell'incertezza di prospettive dopo la perdita di Hagar, che era da alcuni anni, nonostante la sua avversione per qualsiasi organizzazione, la direttrice politica di Bat Shalom.

Due giovani donne del centro ci illustrano l'attività del centro, svolta sia separatamente, sia insieme alle donne palestinesi e il programma sui diritti umani che si svolge per 7 mesi separatamente e per 3 mesi con una campagna congiunta.

Ci dicono che cresce la polarizzazione all'interno della società israeliana, con un peso crescente dei fondamentalisti, che non ritengono sia una minoranza. Nello stesso tempo stanno nascendo, cosa impensabile fino a pochi anni fa, gruppi antimilitaristi e per l'obiezione di coscienza, tra i giovani.

A Ramallah nel pomeriggio incontriamo la direttrice del Centro Watc (Women's affairs technical committee), Souheir, una donna giovane e molto energica che ci parla con grande soddisfazione dei risultati raggiunti e del lavoro che svolgono in questo bel centro a Ramallah, a cui aderiscono oltre 10 Associazioni, sia legate alle diverse parti politiche, sia indipendenti. Svolgono attività politica e sociale e, tra le prime iniziative di successo, ricorda quella di aver ottenuto la modifica della legge giordana vigente nei territori occupati, eliminando l'obbligo per le donne di un tutore per ottenere il passaporto. "Per ottenere questo successo abbiamo dovuto fare 4 manifestazioni e una grande pubblicità attraverso giornali e radio. Questa è stata anche l'occasione in cui abbiamo deciso definitivamente di essere una associazione indipendente e di non entrare nel governo dell'autorità palestinese".

Altri risultati positivi: ricavati 22.000 dollari con la vendita dei nostri prodotti (magliette, borse, asciugamani) con i quali siamo riuscite a mandare a scuola 80 ragazze; pubblicazione quindicinale di un giornale su donne e politica, lavori delle donne, ecc.; sito web; corsi di formazione per dirigenti dei vari ministeri dell'autorità palestinese, dove si discute molto anche con i fondamentalisti sulle diverse interpretazioni del Corano riguardo al lavoro delle donne. "All'inizio c'è stata una grande opposizione alla nostra attività politica da parte dei fondamentalisti, e ogni venerdì, in tutte le moschee, eravamo denunciate con nomi e cognomi" Dopo 6 anni di vita del centro, sono funzionanti diverse sedi, con 69 donne che ci lavorano a tempo pieno (anche se con salari molto bassi). "Adesso per noi la sfida più grande è continuare a lavorare tutte insieme".

Incontro con pacifisti israeliani - Hotel National Palace

Partecipano all'incontro Uri Avneri, deputato della Knesset e dirigente di Gush Shalom, Jeff, fondatore del Comitato contro la demolizione delle case, Eitan Felner presidente di B'Tselem, Associazione per i diritti umani e Arik Ascherman direttore dell'Associazione dei Rabbini per i diritti umani.

Ognuno dei quattro svolge una relazione molto interessante sui diversi tipi di attività ed analisi relative alla situazione dopo gli accordi di Oslo.

Uri Avneri si concentra su questa analisi e sulle posizioni di Gush Shalom, definito un movimento per la pace a sinistra di Peace Now, il cui atteggiamento attuale è considerato troppo subordinato alla politica del Governo Barak. Gli accordi di Oslo vengono valutati criticamente, in quanto nei sette anni trascorsi sono aumentati gli insediamenti, e il controllo israeliano del territorio; Uri Avneri ritiene  che gli insediamenti debbano essere rimossi. Tuttavia la forte pressione per la pace ha, a suo avviso, reso i palestinesi più forti.

Per quanto riguarda Gerusalemme capitale di due stati Gush Shalom ha raccolto 750 firme di intellettuali, docenti universitari, artisti e personalità israeliane. Forte critica viene espressa anche nei confronti dell'unione europea, che ogni anno compra produzioni degli insediamenti per 200 milioni di dollari, anche se è noto che questo è illegale  in base agli accordi, che in tal modo vengono applicati solo al territorio israeliano, ma non agli insediamenti. Per questo Gush Shalom ha lanciato una campagna di boicottaggio di queste produzioni a cui ci viene richiesto di associarci. Uno degli ostacoli più grossi alla pace - che secondo Avneri potrebbe essere fatta anche domani - è la gestione dell'area dei templi, su cui dovrebbe essere stabilita una sovranità israeliana per quanto riguarda il muro del pianto e quella palestinese sulla moschea. Si dichiara in completo disaccordo sulla caratteristica religiosa che il conflitto, prima conflitto nazionale, ha assunto. Dice che la dichiarazione unilaterale dello stato palestinese porterebbe probabilmente ad una nuova guerra ed a un bagno di sangue. Si dichiara d'accordo con il comportamento di Arafat soprattutto su un punto: la priorità della lotta per la libertà e l'indipendenza rispetto a quella per la democrazia (argomento che ci lascia interdetti o in totale disaccordo).

Il rappresentante del Comitato contro le demolizioni denuncia la demolizione di 7000 case dal 1967  e considera parte di una politica di pulizia etnica, quella israeliana, di costringere sempre più i palestinesi in piccole isole: Israele ha bisogno che ci sia uno stato palestinese, ma la sua strategia è che sia uno stato "bantustan", non accessibile: solo a Gerusalemme est si sono insediati 200.000 israeliani, 400.000 sono oltre i confini del 1967, 200.000 coloni in Israele e Gaza  Altro esempio di questa strategia è la costruzione di 29 grandi autostrade (By-pass roads) che collegano gli insediamenti, tagliando fuori i villaggi palestinesi; anche lui come gli altri dice che il problema fondamentale non è la quantità del territorio, ma il controllo sul territorio stesso.

L'attività del comitato contro le demolizioni delle case è passata da una fase di semplice protesta, senza alcun rapporto con le famiglie palestinesi colpite dalle demolizioni, ad una fase di lotta politica insieme, anche per prevenire le demolizioni stesse.

Anche il rabbino che rappresenta un Comitato per i diritti umani, partecipa alla attività contro le demolizioni, dal 1995, e ci invita per il giorno successivo ad una iniziativa di solidarietà con gli abitanti di un villaggio vicino Betlemme, in cui sono state già individuate alcune case da demolire. Obiettivo:cacciare progressivamente tutti i palestinesi e includere l'area nella zona di Gerusalemme.

Il rappresentante di Bet Selem ci parla dell'attività del Comitato contro la violazioni dei diritti umani, inclusi quelli civili, politici, economici e sociali. Sottolinea che anche nelle aree in cui la violenza e le vittime sono diminuite (rispetto al periodo dell'Intifada), le politiche non sono cambiate: rimane la possibilità per i militari israeliani di sparare contro i Palestinesi per qualsiasi motivo, rimane l'arresto e la detenzione senza processo. "Noi Israeliani, dobbiamo riconoscere che abbiamo commesso ingiustizie, altrimenti la pace verrà sempre fatta nel nostro interesse".

Il rappresentante di Bet Selem è il primo che sentiamo denunciare le violazioni dei diritti umani commesse dall'autorità palestinese, contro le quali si battono con coraggio anche attivisti palestinesi. Per queste violazioni viene denunciata la responsabilità indiretta di Israele, che esercita fortissime pressioni su Arafat perché faccia svolgere alla polizia palestinese "il lavoro sporco", per distruggere Hamas.

7 settembre - Nablus - incontro con il segretario generale del Pgftu (Confederazione dei sindacati palestinesi) - visita al villaggio di Wilajeh (casa da demolire)

Sh aher Saed ci riceve nella sede centrale del sindacato a Nablus e ricorda il grande sostegno dato dai Sindacati italiani ai palestinesi durante l'Intifada. Poi parla subito, con grande tensione, della posizione irrinunciabile su Gerusalemme capitale e sulle difficoltà dei negoziati di pace; ci dice anche, come esempio del nesso tra questioni politiche e sociali, che il capo di stato maggiore israeliano ha dichiarato che in caso di dichiarazione unilaterale dello stato palestinese, uno dei primi atti sarà la chiusura militare dei passaggi per i lavoratori palestinesi in Israele, cioè la riduzione alla fame di circa 130.000 famiglie. Inoltre ci dice che, nei due giorni successivi, si riunirà a Gaza il Consiglio centrale palestinese per una decisione sulla data di proclamazione dello stato.

Rispondendo alle varie domande della delegazione sui diritti dei lavoratori e il rapporto con i sindacati israeliani, sottolinea il fatto che i lavoratori palestinesi pagano tasse (21% del salario) come gli israeliani, ma che, diversamente da questi, non ricevono dallo stato alcun beneficio in termini di stato sociale e denuncia il fatto che  questo punto non faccia parte dei negoziati.

Commenta che lui chiederebbe immediatamente la restituzione di questi 7 miliardi di dollari, versati dai palestinesi dal '70 al '93.

Per quanto riguarda l'accordo con i sindacati israeliani per la difesa dei diritti dei lavoratori palestinesi in Israele, (gli avvocati palestinesi non possono agire in giudizio), è responsabilità dell' Istadrut che, però, non fa niente dicendo ogni volta che si tratta di problemi politici: ad esempio quando vengono chiusi gli accessi ad Israele per i lavoratori palestinesi, il sindacato israeliano non interviene. Ci sono pendenti 1500 vertenze di lavoratori palestinesi.

Si dice relativamente soddisfatto della legge sul lavoro approvata a maggio, in cui si stabilisce il principio (ma non la quantità) del salario minimo, ma sottolinea i gravissimi problemi economici e sociali per tutti i lavoratori (636.000 di cui il 14% donne) e sottolinea anche il fatto che, mentre c'è accordo pieno con Arafat sul piano politico, ci sono notevoli disaccordi per quanto riguarda il terreno sociale. Essendo il sindacato indipendente si è mosso per ottenere alcuni risultati anche con diverse manifestazioni "di cui certo Arafat non è stato contento".

Visita al villaggio di  Wilajeh

Nel tardo pomeriggio, accogliendo l'invito del rabbino per i diritti umani, ci rechiamo con lui ad esprimere la nostra solidarietà ed ascoltare il racconto di una famiglia la cui casa il sindaco di Gerusalemme vuole demolire, con la motivazione , generalmente usata, di costruzione abusiva.

Ci dicono che si tratta anche di un'arma usata in vista delle prossime elezioni: attraverso la demolizione di case palestinesi, il sindaco raccoglie consensi e chiede contributi economici.

8 settembre - giro Gerusalemme - Tiberiade - alture del Golan -  Acco  - Haifa -Gerusalemme

Mentre una parte della delegazione rientra in Italia, il resto, fa un lungo giro guidato dal nostro autista e guida  Mohammed che ci fa percorrere 500 chilometri in un giorno! La solo sosta lunga è nella bella città di Acco (s. Giovanni d'Acri), il cui centro storico è abitato quasi interamente da palestinesi israeliani. Alcune di noi si recano in questa occasione al vicino kibbuz di Regbe, dove abita la madre di Hagar ed è seppellita questa splendida amica e compagna.

Vediamo questa bella terra,  attraversiamo i villaggi siriani distrutti sulle alture del Golan, arriviamo ai suoi tre confini, armati: con la Giordania, il Libano (da cui l'esercito israeliano si è recentemente ritirato) e la Siria. Il tempo in cui questi confini potranno essere da tutti liberamente attraversati ci sembra lontano, ed è questa una delle chiavi della pace in Medio oriente.

Alessandra Mecozzi

Resp. Ufficio internazionale Fiom