10 dicembre 1948: 
dichiarazione Universale dei  Diritti umani delle Onu

10-11 dicembre 2004:
giornate di azione per i diritti umani dei palestinesi e il rispetto del diritto internazionale da parte del Governo di Israele

“…l’opinione pubblica internazionale non può rimanere imparziale tra due cause così ineguali, ma è necessario che, nel momento in cui farà sentire alta e forte la sua voce perché il mondo intervenga in aiuto della Palestina oppressa, dia alla causa palestinese una valenza universale. E’ troppo tardi per riuscire a farlo? Sì, è tardi, ma non c’è alternativa” (Etienne Balibar, filosofo francese, Università di Parigi)

 

Palestina/Israele: i diritti per vivere, il Diritto per convivere

 

Dal Forum sociale europeo 2004, a Londra  è uscita la decisione di una mobilitazione europea a sostegno dei diritti dei palestinesi i giorni 10 e 11 dicembre, nell’anniversario della Dichiarazione Universale  dei diritti umani fatta dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. Il senso di questa decisione è mettere al centro di una ricorrenza di valore internazionale la “questione palestinese”, come questione di carattere universale. I diritti umani sono interdipendenti, il mondo è interdipendente: ciò che accade in quella zona del mondo riguarda tutte le regioni del mondo.

L’interdipendenza dei diritti umani indica che è necessario considerare la dignità e la libertà di ciascun essere umano (art.1) fondati sui diritti civili, politici e culturali, insieme a quelli economici e sociali. Concentriamo la nostra attenzione sui diritti perché partiamo dalla condizione umana; guardiamo alle violazioni del diritto internazionale perché oggi più che mai pensiamo che rappresenti la base della convivenza tra i popoli.

I diritti umani di donne e uomini palestinesi, società civile che è riuscita anche sotto l’occupazione a resistere esprimendo capacità di lavoro della propria terra, di produzione culturale, di solidarietà, di protagonismo femminile, sono brutalmente attaccati. A partire dal 2000 la politica del governo e dell’esercito israeliano ha sistematicamente distrutto agricoltura, mezzi di sussistenza,  infrastrutture, sistema sanitario ed educativo, appropriandosi di terra e acqua, paralizzando le amministrazioni locali.

I diritti civili e politici, i diritti nazionali, il diritto ad esistere come popolo e ad avere uno Stato indipendente, vengono violati dall’occupazione militare, dal moltiplicarsi degli insediamenti coloniali, dalla frammentazione dei territori, dalla costruzione di strade riservate agli israeliani, dalla costruzione del muro che va in profondità dentro i territori palestinesi e ne annette ulteriori porzioni, prefigurando non uno Stato, ma cantoni, in cui permane la spesso misera condizione di circa 1 milione di rifugiati (oltre 3 milioni con quelli della diaspora) verso i quali Israele rifiuta di assumere qualsiasi responsabilità. La detenzione amministrativa, fino a 6 mesi, rinnovabili, anche di giovanissimi, senza alcuna motivazione (1120 prigionieri), le condizioni insostenibili dei prigionieri politici ( 7400 in totale), completano questo impressionante quadro.

La violazione dei diritti umani va di pari passo con la violazione del diritto internazionale, espressa già nel 1967 con l’occupazione e la colonizzazione illegale del 22% restante della Palestina storica, è proceduta con quella delle risoluzioni internazionali delle Nazioni Unite, nonché con la violazione delle Convenzioni di Ginevra. Questa politica di permanente illegalità, rilevata dal parere della Corte Internazionale dell’Aja il 9 luglio 2004 e successivamente confermata, con voto unanime anche dei paesi europei, dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si basa sulla forza di un arsenale militare tra i più potenti del mondo e su una politica di terrore di Stato che si serve anche delle esecuzioni extragiudiziali di leaders politici, provocando nello stesso tempo la morte di migliaia di civili (oltre 3000 in 4 anni). Questa politica, ben lungi dal garantire  la sicurezza di Israele, ne mina alla radice il fondamento democratico. Il mancato riconoscimento del diritto civile all’obiezione di coscienza, che fa sì che i giovani “refusniks” facciano anche parecchi mesi di prigione, ne è una manifestazione.

Gli attacchi terroristici di gruppi palestinesi vanno esecrati perché mietono vittime civili innocenti nella popolazione israeliana. Vanno ripudiati, perché danneggiano la stessa causa palestinese, favorendo un aumento illimitato di violenza sulla sua società, paralizzando quella parte di società israeliana che potrebbe sostenerla, e allontanando attenzione e solidarietà dell’opinione pubblica mondiale.

Le “armi” del rispetto dei diritti e del diritto internazionale vanno opposte con determinazione dalla comunità internazionale, civile e istituzionale, alla violenza distruttiva e autodistruttiva del terrore di Stato della politica israeliana e degli attacchi terroristici di gruppi palestinesi, che spesso si alimentano a vicenda. Diritto e diritti sono gli unici strumenti per arrivare ad una pace giusta, alla convivenza di due popoli con due Stati, sola prospettiva oggi realistica di una politica di pace. Il  rispetto e la difesa del diritto internazionale e dei diritti come unica alternativa alla sopraffazione e alla guerra, base della convivenza civile tra le persone e i popoli, non è solo un atto dovuto ai palestinesi, ma anche l’unica vera garanzia di sicurezza e di pace per Israele e il Medio oriente. 

Perché questo rispetto si realizzi non bastano le parole, oggi servono anche iniziative politiche nei confronti della politica del Governo Israeliano. Il Forum Sociale europeo ha indicato per questo una politica di sanzioni economiche e politiche, che non colpiscano le persone, ma la politica del Governo: sospensione dell’accordo di associazione UE/Israele, vincolato al rispetto dei diritti umani, già votato dal Parlamento europeo; embargo sulle armi e sulle tecnologie a scopo militare. E’ vergognoso che il Governo italiano abbia recentemente firmato un accordo di cooperazione militare con Israele. Chiediamo che questo accordo venga congelato finché la politica israeliana non percorrerà una strada diversa.

Oggi, dopo la morte del presidente Arafat e il sentimento di ulteriore solitudine dei palestinesi, è più che mai necessario che società civile, istituzioni nazionali ed europee, istituzioni internazionali assumano con energia e determinazione le proprie responsabilità per far valere la giustizia e la pace in Medio oriente, perché si riapra un vero processo di pace.

Per questo chiediamo ai parlamentari italiani ed europei, ai giuristi di attivarsi con apposite iniziative, facendo valere ruoli e competenze.

Per questo ci impegnamo come associazioni, gruppi, sindacati, che fanno parte del movimento contro la guerra e per la pace, a lanciare, a partire dal 10 dicembre 2004, una campagna per il rispetto dei diritti umani di donne e uomini palestinesi e il rispetto del diritto internazionale da parte del governo israeliano. Questa campagna intende rafforzare le iniziative nel nostro paese, in Palestina/Israele, nel movimento globale contro la guerra, sostenere il diritto a libere elezioni in Palestina, a cominciare da quelle presidenziali che si svolgeranno a gennaio 2005; continuare e ampliare la costruzione di legami con i gruppi israeliani contro l’occupazione e con i movimenti palestinesi di resistenza popolare e non violenta.

ACTION FOR PEACE;  ARCI, Associazione per la pace, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Argon-Bloggersperlapace, Associazione Italia-Palestina,  Attac Italia, Bastaguerra, Beati i costruttori di pace, Campagna “La convivenza è possibile”, CGIL, Donne in nero Roma,  Forum sociale ponente genovese, FIOM, Giovani Comunisti,  ICS, Libera e Gruppo Abele,  Marcia Mondiale delle donne,  Peace Games(UISP), Pax Christi,  Piattaforma delle ONG italiane per la Palestina , Riviste “Erre”, Guerre e Pace,  Puntocritico, Rete artisti contro le guerre, Servizio civile internazionale/talia, Sin.Cobas,   Un ponte per…, WILPF Italia

Ebrei contro l'occupazione, Movimento palestinese per la cultura e la democrazia

PRC, PdCI, Verdi,