Una delegazione internazionale della Fism composta da compagni italiani, francesi e spagnoli, si recherà in Palestina e in Israele dal 27 giugno al 4 luglio.

 

Campagne europee 2003: Non c’è pace senza giustizia  -  I muri uccidono la libertà

 

Note di viaggio in Palestina – Israele 16-22 maggio

 Alessandra Mecozzi – Resp. Ufficio Internazionale FIOM NAZIONALE

 

Dal 16 al 22 maggio mi sono recata in Palestina per:

- verificare se e come continuare le missioni civili nella fase attuale

- discutere e definire quale tipo di iniziative sviluppare in Italia e Europa

- raccogliere elementi di giudizio da parte di israeliani e palestinesi sulla “road map” la cui discussione caratterizza questo momento.

 

Insieme a Roberto Giudici, della Fiom di Milano, che partecipava ad un seminario della Cgil con rappresentanti di associazioni palestinesi, sull’esclusione sociale, negli stessi giorni, abbiamo incontrato israeliani/e e palestinesi, in particolare delle associazioni e gruppi della società civile con cui manteniamo contatti permanenti.

Di seguito trovate alcune note sui colloqui avuti.

Al ritorno abbiamo, insieme ai vari gruppi e reti di Action for Peace, avviato le campagne decise (anche a livello europeo), a Roma (5 giugno), Firenze (6 giugno, con il direttivo della Fiom), Milano (12 giugno). Le campagne sono: contro “Il muro di separazione” che Israele sta costruendo e  per la sospensione dell’accordo di associazione commerciale Unione Europea-Israele.

E’ importante infatti portare l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che, nonostante la “road map” sia generalmente pubblicizzata come strada per la pace, il sistema di oppressione e umiliazioni quotidiane nei confronti dei palestinesi continua, cosa che rende difficile alla grande maggioranza della popolazione dare credibilità a una qualsiasi strada verso la pace. Inoltre, la condizione economica disastrosa per la maggior parte della popolazione palestinese rappresenta una vera e propria emergenza, come tutti ci hanno detto: il 65-70% vive al di sotto della soglia di povertà. Stiamo quindi pensando di realizzare progetti che vadano in questa direzione di solidarietà, anche materiale.

Per chi intende realizzare iniziative di discussione e di solidarietà sono a disposizione i materiali informativi (che trovate sul sito) e diversi video.

 

INCONTRI

Zvi Schuldiner (professore Universitario israeliano): “Israele vive una gravissima crisi economica e sociale, ma c’è una forte separazione tra il “ popolo delle lotte sociali” (in questi giorni sono in corso scioperi contro la finanziaria di Netanyau) e quello della pace; la divisione è di classe e politica. Il Governo sta mettendo in opera un forte autoritarismo antisindacale. Ma la domanda se lo sciopero generale sia legittimo è molto diffusa, anche tra i miei studenti. Questo vuol dire che questa società si sta progressivamente rinchiudendo e arretrando sul piano della democrazia. E’ evidente che questo è strettamente legato alla occupazione militare, ma ancora non si è arrivati a questa consapevolezza in modo diffuso. Tuttavia, i contatti con movimenti e società civile di altri paesi sta producendo effetti positivi: adesso qui sta nascendo il Forum sociale israeliano.”

 

Zahira Kamal (Ministero della Cooperazione internazionale, ANP): La incontriamo a casa sua, perché il check point di Khalandia è chiuso e non può recarsi a lavorare a Ramallah. “Il muro che stanno costruendo va denunciato: rende la vita impossibile a migliaia di persone. La Road map è uno strumento per tornare al tavolo. Molti problemi fondamentali (Gerusalemme, diritto al ritorno dei profughi, confini) non vengono affrontati. Valuto positivo l’incontro con Powell: per parte nostra abbiamo denunciata la non continuità territoriale dello stato, l’illegalità delle colonie e bypass roads. Molte colonie sono “politiche” (14.000 persone in 100 colonie). La road map contiene grandi rischi: ad esempio abbiamo paura che la fase di transizione verrà usata come conclusione. Per questo pensiamo che si debba passare direttamente dalla prima fase alla terza, con Conferenza internazionale. Tutti sono d’accordo, solo hamas si è espressa contro la road map.

Ai movimenti internazionali chiediamo forti campagne contro questo sistema di apartheid. Chiediamo di invitarci in Italia e Europa per darci la possibilità di informare e spiegare. Eventi culturali e mostre. Boicottaggio dei prodotti delle colonie.

La cosa fondamentale è l’insopportabilità della vita quotidiana; i check points rendono la vita impossibile: ogni giorno non sappiamo se possiamo andare a lavorare, a scuola, o no….”

 

Izzat  Abdul Hadi (Bisan Center – Ramalllah), tra i promotori del Forum Sociale Mondiale in Palestina, tenutosi lo scorso anno a Ramallah

Sulla road map: diciamo di sostenerla, ma con la riserva delle risoluzioni internazionali, che non sono nominate. Come associazione della società civile non siamo per prendere una posizione politica, da noi c’è chi è a favore e chi contro. Abbiamo fatto una scelta comune, verificare continuamente quale coerenza c’è con il diritto internazionale. Siamo particolarmente interessati e attenti a trovare il modo per rafforzare la partecipazione politica, non deve succedere come con gli accordi di Oslo. Inoltre tentiamo di operare per ridurre le tensioni tra le diverse fazioni palestinesi. Adesso vogliamo monitorare criticamente gli impegni che, secondo la road map, deve realizzare Israele (sono 14 punti), per i palestinesi sono 16. Vogliamo superare gli errori fatti ad Oslo: non informazione, non partecipazione democratica alle scelte. Fare campagna sugli obblighi di Israele fino al 2005.

Il Forum sociale deve andare avanti: cerchiamo di fare un comitato più ampio e non solo di ong, ma di movimenti sociali. Vogliamo anche stabilire un rapporto con israeliani, non solo con quelli “anticoloniali”, cioè con una forte caratterizzazione politica, ma vogliamo tentare di lanciare campagne comuni per temi specifici: scuola, diritto internazionale ecc., dove insegnanti, avvocati israeliani si possono trovare insieme a quelli palestinesi.

 

GIPP (Coordinamento per la protezione internazionale dei palestinesi) Sulla road map, c’è molta discussione tra palestinesi. Noi scegliamo un approccio pragmatico, analizzare le conseguenze sui palestinesi e la coerenza con il diritto internazionale. Evitare una replica di Oslo, con la fase transitoria che diventa la strategia e, in questo caso, lo Stato Palestinese avrebbe solo il 42% dei territori. Adesso, da una parte e dall’altra, c’è chi cerca di dimostrare che la road map non è fattibile: quindi ci sono attacchi e ritorsioni. Ci sono differenze anche nell’ANP, i “duri” e i “morbidi”. Dentro Pngo (Coordinamento delle Ong palestinesi) cerchiamo di organizzare la più ampia discussione unitaria, ma è difficile, perché se gruppi violenti decidono di distruggere tutto, lo possono fare. E d’altra parte il governo israeliano non consentirà nessuna soluzione accettabile.

Il nuovo governo palestinese cerca di seguire la regola “order and law”, ma c’è sovrapposizione di poteri: noi da tempo puntiamo alle riforme e alla separazione dei poteri. Sono necessari piani sociali e contro la corruzione, per la trasparenza dei processi decisionali.

 

La nostra strategia riguardo ai gruppi di solidarietà: sono venute circa 3000 persone, il concetto della protezione internazionale della popolazione palestinese è passato. Il successo è stato anche sulla introduzione delle forme non violente, si è riattivato un movimento. Per questo Israele cerca di colpire questo successo e di dividere: uccisioni e ferimenti di cittadine e cittadini di altri paesi che dimostravano pacificamente; poi sono arrivate accuse di terrorismo o contiguità ad esso. Adesso ci sono misure restrittive molto forti per gli internazionali. E’ perfino uscita una dichiarazione del ministero degli interni contro la presenza ai check points, con la minaccia di arresti, interrogatori, espulsioni: in alcuni casi già avvenute.

Riteniamo cruciale la presenza internazionale, che va rivitalizzata. E’ anche necessario fare campagna in Europa di denuncia di queste restrizioni, e anche in Israele. La resistenza pacifica non violenta deve tornare ad essere visibile: adesso alla televisione fanno vedere solo attacchi terroristici.

Il social forum può essere uno strumento: dobbiamo arrivare ad un evento pubblico, lavorando anche con israeliani. Poi sarebbe importante che dai paesi europei portaste qui personalità. Guardare sul lungo periodo: importante è dare al mondo la speranza. Chiediamo anche di lavorare molto in Europa sulla questione prigionieri politici (detenzione amministrativa – ci sono anche 200 bambini). E’ essenziale che ci sia una stretta connessione con il vasto movimento antiguerra.

Infine: il collegamento con gli israeliani è importante. Stiamo pensando di realizzare un evento significativo in preparazione del Forum Sociale Europeo in Francia, a novembre.

Vi chiediamo di inviarci una vostra proposta sulle missioni, sia in Palestina che Israele, perché, anche se in modi diversi, siamo convinti che debbano assolutamente continuare.

 

Incontro con gruppi che stanno creando il Forum Sociale Israeliano – Tel Aviv: Il lavoro è cominciato due mesi fa. Ci sono gruppi di donne, ambientalisti, per la pace. Vogliamo lavorare sul  nesso neoliberismo e guerra, perché sentiamo che tra le persone questo non è chiaro. Ma data la situazione economica di crisi, che viviamo, che c’è anche in Europa, pensiamo che sia necessario  lavorare su alternative economiche. Non separare il sociale dal politico: sembra che in Israele ci sia una sola dimensione - guerra e pace -, ma noi vogliamo un approccio multidimensionale e in questo la dimensione internazionale ci aiuta. Vogliamo esserci nel Forum mediterraneo e affrontare molte altre questioni oltre alla guerra. Contiamo molto sul sostegno e la collaborazione di voi italiani, per le caratteristiche forti e l’esperienza unitaria del vostro movimento.

 

Istituto Emile Touma, Haifa: intitolato a un grande leader comunista. Si propone di continuare il suo lavoro storico e culturale, oltre che politico, sulla cooperazione ebrei-arabi. Qui vengono gli uni e gli altri (la vedova israeliana di Emile Touma, ceramista, è una animatrice del Centro). Pubblicano una Rivista sulla società palestinese in ebraico e viceversa. Stanno preparando una Conferenza internazionale sul conflitto.Dice il Direttore“Gli israeliani sono venuti per dominare, non per abitare (ideologia sionista).Considerano tutti quelli che sono intorno come nemici. Sharon è considerato il profeta, ma con lui non si arriverà a nulla, perché non vuole una soluzione giusta per palestinesi. Il problema è che il labour in Israele non è una alternativa al Likud e l’Europa non è un’alternativa agli Stati Uniti. Anche la società israeliana è impaurita e non vede speranze, il nostro è un lavoro di lunga lena”.

 

Yudith Harel (Gush Shalom), Tel Aviv: Sharon non porta da nessuna parte, vuol far fuori i palestinesi, fin dall’84 è stata la sua politica. Fa solo operazioni cosmetiche, dopo aver distrutto tutte le infrastrutture civili dei palestinesi. La road map non passa. Io ho perso speranze: vedo avanzare un processo antidemocratico e di fascistizzazione del nostro stato e società. Nella prima intifada, in Israele si faceva caso alle violazioni dei diritti umani, adesso assolutamente no, tanto da non aver reazioni neanche quando due sorveglianti israeliani dell’azienda elettrica sono stati uccisi da un elicottero perché scambiati per terroristi.

Penso che oggi la cosa più utile sia sostenere, politicamente, moralmente, materialmente, i palestinesi perché non cedano. Lottare contro il “muro”, delegittimarlo, perché si basa su espropri e espulsioni. Invece cercano di far passare l’opinione che serve alla sicurezza di Israele. Sono molto importanti le missioni civili internazionali: ad esempio per stare con le famiglie che si trovano vicino al muro, ma le persone devono essere molto selezionate e non giovanissime. Sarebbe utile anche personale sanitario, ma devono fermarsi almeno due settimane. Adesso anche Gush Shalom si è convinta ai convogli umanitari, perché ci sono bisogni urgenti. (Sul personale sanitario anche la presidente dell’Associazione Medici per i diritti umani, che ogni sabato si reca in un villaggio palestinese, ci conferma la richiesta)

 

Yael Stein  - B’tselem (Centro israeliano di informazione per i diritti umani nei territori occupati) – Gerusalemme: Cominciamo adesso a raccogliere dati sulle espulsioni degli internazionali, che si stanno moltiplicando.

Il muro è stato costruito su terra palestinese, separando le persone dalla propria terra. Sono interessate 200.000 persone. Israele vuole annettere il maggior numero di insediamenti possibile. Kalkilia è completamente isolata: ma non ci sono ragioni di sicurezza. Vogliono gli insediamenti dentro Israele e cambiare la carta geografica. Il nostro lavoro consiste nel concentrarsi sulla denuncia delle conseguenze del muro sulle persone con dati e casi. La peggior cosa che esiste per la vita palestinese sono i check points: per questo un nostro nuovo progetto sarà andare ai check points, stazionare con una grande jeep ed essere molto visibili. Questo può consentire, da prime esperienze già fatte, di impedire gli abusi. Pensiamo che sia meglio che non ci siano internazionali, poiché vengono immediatamente identificati dai soldati come pro-palestinesi. Agli internazionali chiediamo soprattutto di attivarsi, dopo essere stati qui testimoni delle violazioni dei diritti umani continue, nei propri paesi, con denunce pubbliche.”