Lettera
aperta a Guglielmo Epifani
di Alessandra Mecozzi pubblicato su "Carta" del 27 marzo
2006 - www.carta.org
Caro
Segretario generale, contenta che il congresso della Cgil avesse
votato per «l’immediato ritiro delle truppe dall’Iraq», mi
sono ritrovata, il 16 marzo, proprio mentre la brutalità della
guerra e dell’occupazione impazzava contro Gerico e Samarra, con
il ritiro della Cgil dalla manifestazione che aveva quell’obiettivo.
Voglio perciò esprimerti la mia amarezza e il mio sconcerto,
anche per non aver letto argomenti e ragioni politiche del ritiro,
ma una burocratica letterina organizzativa che si conclude
dicendo: per informazioni telefonate a…Con 6 milioni di
iscritti, una struttura radicata nella società e nei posti di
lavoro, la qualità e quantità della responsabilità della Cgil
sono evidenti. Ancor più, perché essa dichiara che la sua
politica estera è vincolata alla pace. Perciò mi aspetto sempre
scelte che ne siano all’altezza. Penso all’esercizio di
responsabilità come un lavoro per coinvolgere quanto più
possibile iscritte e iscritti, prima di tutto nella consapevolezza
del mondo in cui viviamo e nel rigore della pratica del rifiuto
della guerra, nell’impegno per la sua prevenzione attraverso
l’informazione, la discussione, le iniziative di solidarietà
con chi ne è vittima. Per il suo peso sociale e politico
la Cgil
, mi sembra, ha una responsabilità anche nel formare una opinione
pubblica al rifiuto dello scontro di civiltà, del razzismo, di ciò
che la «guerra permanente» inaugurata dalla teoria della guerra
preventiva dell’amministrazione degli Stati uniti ha portato nei
nostri paesi, nei luoghi di lavoro, nella nostra vita di ogni
giorno. Tanto più in una fase di dibattito politico povero, di
scarso spessore culturale, provinciale, a volte addirittura
volgare.
E
allora, come fa un’organizzazione così a balbettare e
vacillare, a impartire direttive burocratiche e senza alcun senso
politico, perché venga smontata la partecipazione alla
manifestazione del 18 marzo? Non ho la risposta, ma solo altre
domande, a cui mi vengono risposte che vanno nella direzione
opposta alla scelta che è stata fatta dalla segreteria della
Cgil. C’era paura di scontri? Proprio quella responsabilità
avrebbe dovuto portare ad una massiccia partecipazione. Paura di
provocazioni?
La Cgil
è sempre stata capace di isolarle. Paura che il «no al
terrorismo» fosse poco sentito? Lo si poteva manifestare
efficacemente anche nel corteo. Paura di strumentalizzazioni
politiche? Allora bisognava dire chiara e forte la propria
posizione sulla pace e chiederne con nettezza la centralità in
una campagna elettorale che la elude. Paura di dispiacere
all’eventuale futuro governo? Ma
la Cgil
ha più volte ribadito quella indispensabile autonomia, che i
movimenti hanno voluto esercitare! Paura che la pace non sia
sufficientemente nella testa e nel cuore dei propri iscritti? Ma
allora bisognava promuovere incontri e assemblee sul tema, farne
un cardine del congresso [dove tra gli interventi più applauditi
sono stati i pochissimi che hanno chiesto l’immediato ritiro
delle truppe dall’Iraq].
Penso
che se la partecipazione è elemento dirimente della democrazia,
essa va sollecitata e organizzata, esercitando la autorevolezza di
chi è protagonista della lotta per la pace, non ascoltando le
paure. L’adesione ad una giornata internazionale contro la
guerra e le occupazioni mal si coniuga con gli inviti, con
burocratici comunicati stampa e missive, ad annullare i pullman
prenotati.
Adesso
sono contenta che la manifestazione, come le altre iniziative, sia
stata un successo: ma mi sarebbe piaciuto poter dire «anche
grazie alla Cgil» e non «nonostante
la Cgil
»!
Alessandra
Mecozzi,
responsabile
dell’Ufficio internazionale della Fiom
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