Forum sociale mondiale

Nairobi, Kenya, 20/25 gennaio 2007

 

Nuove domande  per nuove strategie  dal Forum sociale mondiale di Nairobi, Kenya

di Alessandra Mecozzi, ufficio internazionale Fiom

 

Con una grande Assemblea dei movimenti sociali di oltre 2000 persone sedute sotto uno dei tendoni bianchi intorno allo stadio Moi di Nairobi si è, nei fatti, concluso il 1° Forum Sociale Mondiale a Nairobi, in Kenia. Anche se formalmente il Forum si era concluso con 21 sessioni tematiche corrispondenti ai 21 temi sui cui tutte le attività si erano organizzate nei 4 giorni. L’Assemblea infatti è organizzata dalle reti dei movimenti sociali, di cui anche la Fiom fa parte, mentre lo spazio Forum è sotto l’egida del Consiglio internazionale. Una differenza non piccola e non neutra: infatti del Consiglio internazionale fanno parte anche Ong, talvolta poco rappresentative, che non amano definirsi parte di movimenti sociali. Un analogo ragionamento (in questo caso non relativo alla rappresentatività) vale per la Confederazione sindacale internazionale, anch’essa parte del Consiglio internazionale, ma molto gelosa della propria iniziativa e riluttante alle iniziative decise con altri movimenti. E infine, resiste ancora, sebbene in evoluzione, la concezione originaria del Forum sociale mondiale come spazio aperto di incontri e scambi di esperienze, piuttosto che luogo per l’azione. La discussione sul rapporto tra dinamica del Forum e dinamica dei movimenti sociali, aperta fin dall’inizio, continuerà, tanto più che molte delle sessioni tematiche, tra cui quella sul lavoro, che dovevano essere i luoghi per il lancio di iniziative, sono risultati davvero deludenti, disorganizzati, con scarsa partecipazione. Ma, con tutte le sue difficoltà, il Forum è  stata un’esperienza appassionante, di conoscenza, colori, culture diverse, di protagonismo africano, un’esperienza che interroga le responsabilità italiane ed europee, dei movimenti e delle istituzioni, su molti terreni: ne indico alcuni qui sotto.

Nella riunione della delegazione italiana (oltre 350 persone) dell’ultimo giorno si è convenuto di proporre il prossimo Forum mondiale, che si terrà nel 2009, di nuovo in Africa. Nel 2008 ci sarà invece una giornata di azione mondiale di tutti i movimenti, reti, associazioni, organizzazioni sul tema “Un altro mondo è possibile; un altro mondo è in costruzione”.

 

I dati

66.000 partecipanti registrati

Più di 1,400 organizzazioni registrate da oltre 110 paesi
750 giornalisti accreditati
1.200 attività registrate

1.130 volontari/e, inclusi/e interpreti

 

Le contestazioni

Bello e animato, sotto un sole rovente, di cui hanno fatto le spese i “visi pallidi” di molte e molti partecipanti, è stato tutto lo svolgimento del Forum, a cui hanno partecipato circa 70.000 persone.  Altre migliaia di africani/e, sono entrati/e senza dover pagare a partire dal secondo giorno, dopo energiche proteste contro i costi elevati ai cancelli chiusi, guardati da un buon numero di poliziotti. Così dal secondo giorno il Forum si è popolato di un maggior numero di partecipanti keniani, ed anche di centinaia di venditori e venditrici di oggetti locali, bracciali, collane, magliette, stoffe, frutta, bibite: il tutto a prezzi decisamente superiori a quelli ordinari! Ma tant’è: la vendita di strada, il lavoro informale ha realizzato qualche guadagno. Un’altra contestazione si è rivolta contro gli sponsor ufficiali aziendali e la tendenza alla commercializzazione del Forum: particolarmente vivace la voce del People’s parliament, un movimento africano che abbiamo ascoltato nell’assemblea dei movimenti sociali e poi anche all’interno della riunione del Consiglio internazionale del 26 e 27, purtroppo contestato dal sindacato sudafricano, Cosatu, da sempre in un difficile rapporto con i movimenti sociali. E infine, è stato rilevato che è inaccettabile che all’interno del Forum, come è successo,  possano esserci gruppi, religiosi e non, che fanno propaganda contro l’aborto e il diritto alla libera scelta delle donne sul proprio corpo e la maternità.

 

Gli slums , Korogocho e Kibera

Si sono sentite voci energiche, soprattutto di donne, alcune provenienti dagli slums intorno a Nairobi, dove vivono oltre due milioni di persone, ammassate in baracche di lamiera a perdita d’occhio, con fogne a cielo aperto, discariche che arrivano dentro lo stesso spazio abitato. Niente acqua pulita, niente luce. Tante e diverse le Chiese presenti, estremamente attiva e impegnata la presenza di molti missionari italiani. La marcia lungo 14 chilometri del 25 mattina ha attraversato la grande bidonville di Korogocho, dove abbiamo trovato, e non era scontato, un’accoglienza amichevole, forse anche perché tutti, africani e non, indossavamo le magliette intitolate a Korogocho e preparate dal comitato locale: “Un altro mondo è possibile, persino per gli abitanti degli slums!”.

Nel pomeriggio sono andata con un ragazzo, Kennedy, incontrato al Forum e coordinatore di una associazione “Shofco” (shining hope for the community – far brillare la speranza per la comunità), nello slum di Kibera, il più esteso di tutta l’Africa, circa 2 milioni di abitanti.

E’ attraversato da un binario, incredibilmente, su cui passa un treno due volte al giorno: parte alle 6 di mattina per portare in città i lavoratori delle fabbriche della zona industriale di Nairobi (che abbiamo attraversato con la marcia) e altri che vanno in cerca di lavoro, torna il pomeriggio alle 18:  lo abbiamo visto arrivare, con la gente attaccata a grappolo alle porte! Vita povera, poverissima, dove le donne appaiono come spina dorsale della società: le abbiamo incontrate mentre arrostivano o affumicavano il pesce in quelle stradine maleodoranti, mentre facevano una povera spesa a banchetti di frutta e verdura, con bambini piccolissimi legati sulle spalle, infaticabili ed allegre! L’associazione di Kibera, ragazze e ragazzi, si occupa di coinvolgere i tanti giovani dello slum in attività diverse: la salute – impresa ben difficile -; la lettura, il teatro: mi mostrano il calendario delle iniziative scritto su un grande foglio di carta nella “sala riunioni”, metà di una delle tante baracche di lamiera, con una decina di sedie di plastica viola “regalate da un italiano, Federico”. Kennedy ha 22 anni, vive da solo e vorrebbe in futuro poter aprire una scuola di computer. E’ un ragazzo molto intelligente e vivace, quando ci salutiamo gli brillano gli occhi di contentezza per essere riuscito a mostrarci dove e come vive, soprattutto il suo lavoro volontario. Si merita davvero che sosteniamo la sua associazione!

 

Lavoro in movimento

Inaspettatamente, date le difficoltà organizzative relative agli spazi e alle traduzioni (gli impianti per la simultanea sono collassati!), ho potuto partecipare a seminari con dibattiti di notevole qualità: sul lavoro, sulla guerra, sul rapporto tra religione, cultura e politica. Le voci di donne e uomini africani si sono sempre fatte sentire, con molta voglia di comunicare e scambiare idee e esperienze, insieme a quelle asiatiche, americane, europee.

Il seminario “Lavoro in movimento”, organizzato dall’Italia, da Fiom, Transform Italia, rete delle Camere del Lavoro, Funzione pubblica, sindacato scuola Cgil, con il sostegno di altre reti nazionali e internazionali, è stato molto vivace, ha affrontato il tema del lavoro, dei sindacati e dei movimenti,  della loro presenza nei Forum sociali mondiali, con uno sguardo alla possibilità di un Forum sociale mondiale sul lavoro. Nella discussione l’obiettivo si è ridimensionato, per il momento, e si è dato vita ad una rete internazionale di sindacati e movimenti sui temi: quali diverse culture e pratiche del lavoro (centralità del lavoro informale soprattutto in Africa e Asia); dove, perché, per chi e che cosa produrre; alleanza tra sindacati e movimenti (Net street sud africa, Alianca social continental) o sindacati che includono anche forme diverse di lavoro (Cut Brasile, Cta Argentina, New trade union initiative, India); possibile conflitto tra movimenti e sindacati (marcia mondiale delle donne, associazione keniota per il lavoro informale)? La grande e intensa partecipazione, ripetutasi anche nella successiva assemblea su “lavoro e globalizzazione” ha fatto capire che sono maturi i tempi, dopo anni di esperienze locali, nazionali e regionali, forum mondiali, per progettare un rapporto permanente tra sindacati e movimenti che vogliano insieme interrogarsi sulle grandi sfide del presente e agire contro i disastri della globalizzazione. Come ha detto un rappresentante dell’americana Jobs for justice: la solidarietà o è permanente o non è. Uno studioso statunitense, Peter Waterman, ha presentato una Carta per i diritti globali del lavoro. E non è sufficiente la campagna per il “lavoro decente”, che la Confederazione internazionale dei Sindacati ha lanciato a Nirobi (riprendendo una parola d’ordine di qualche anno fa dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, organismo tripartito), se le multinazionali riescono ad affermare il loro potere (che chiamano anche “diritto”) di impiantarsi in una area, espellendone la popolazione, distruggendone le coltivazioni, massacrandone l’ambiente. Il lavoro così creato non ha niente di …decente, anche se quei lavoratori riuscissero a far valere loro diritti sul posto di lavoro. E perciò nel Forum è stata forte anche la discussione sugli EPA (Accordi di partenariato economico) tra Unione Europea e paesi dell’Africa Carabi Pacifico, e la volontà di fare anche su questi “sconosciuti” una campagna di informazione che ne sveli l’aspetto neocoloniale, chiami in causa le responsabilità dei movimenti antiliberisti europei, per la necessaria pressione nei confronti dei rispettivi Governi, perché cambi la direzione di marcia dei negoziati in corso.

 

Religione, cultura, politica nella crisi di civiltà

Inaspettatamente partecipato, con presenze dai diversi continenti, il seminario promosso in prosecuzione dell’incontro delle società civili del Mediterraneo, Medlink, tenutosi a novembre a Roma. Tema centrale è stato quello dell’”Islam politico” e della sua continua diffusione nel mondo, anche a causa delle politiche sbagliate e di guerra da parte dell’occidente, Europa e Stati Uniti. Partecipanti dell’Asia, dell’Europa, dell’America Latina hanno posto molti interrogativi, prendendo spunto da un intervento iniziale, argomentato e militante, di una giovane donna musulmana algerina di Francia, sul tema dell’Islam oggi. Le grandi questioni possono riassumersi in:

-     Perché avviene una incessante arabizzazione dell’Islam anche in paesi (vedi Asia) in cui ci sono altre tradizioni (tema proposto da una donna tailandese buddista)? Le religioni si fondano su alcuni grandi principi universali, ma c’è lo spazio per il loro “adattamento” alle culture, società, politiche dei diversi paesi?

-     In America Latina molti cristiani hanno messo in discussione e lottano contro le complicità della Chiesa cattolica nella rapina e nel dominio economico: e nei paesi a dominanza musulmana? Qual è la posizione dell’Islam nei confronti delle politiche liberiste e della devastazione della globalizzazione?

-     Quali sono le responsabilità del movimento altermondialista nei confronti dello “scontro di civiltà”, come ideologia del nuovo “nemico” costruita insieme a un mondo unilaterale e al servizio di interessi economici dell’occidente? Quali responsabilità per una politica di dialogo e di scambio, per una politica della convivenza?

-     Perché chiedere alle donne musulmane che scelgono di essere partecipanti attive della società e insieme di praticare la propria fede e di manifestare la propria identità, di uniformarsi al modello di donna emancipata occidentale.

Domande a cui sono state date risposte diverse, ma che hanno messo in luce un interesse fortissimo a questi temi su scala globale da parte dei movimenti. Qui, come nelle discussioni sul lavoro e sulla guerra, le attività del Forum hanno corrisposto, più che in anni precedenti, alla necessità di porsi nuove domande e cercare nuovi legami e reti capaci di costruire le proprie risposte.

 

La guerra globale vista dai diversi continenti

Anche in questo seminario, in cui si è molto parlato delle guerre militari ed economiche in Medio Oriente, le nuove – almeno per gli europei – domande sono state proposte dai tanti interventi africani: dalla Nigeria, dal Congo, dal Sudan…una ci riguarda direttamente: perché l’Europa, anche quella dei movimenti contro la guerra, non affronta strategicamente e con adeguate iniziative le devastanti guerre africane, risultati di secoli di colonialismo e adesso in via di saldatura con la “guerra al terrore” di marca USA, come la vicenda della Somalia dimostra? I cosiddetti conflitti etnici sono tutti finanziati dall’esterno: in Angola, in Mozambico prima; dagli anni 90 nuove guerre, come quella civile in Sierra Leone, contro i Tuareg in Niger e in Mali. Anche in Africa l’11 settembre negli Stati Uniti ha segnato una svolta nell’attenzione degli Stati Uniti, con la cosiddetta iniziativa Pan sahel, presentata come prevenzione anti-terrorismo nei confronti di Al Qaeda, ma con un occhio molto attento al petrolio, ipotizzando una riduzione della dipendenza dal Medio oriente. E l’attivismo militare Usa si spiega anche come risposta alla forte presenza cinese, che da anni investono massicciamente e puntano anch’essi al petrolio. Così nel Congo, la guerra che ha provocato ben 4 milioni e 200.000 morti è direttamente legata alla volontà del controllo sulle ricchissime miniere da parte di multinazionali e in Darfur gli USA vogliono far dichiarare il “genocidio” dalle NU per potersi presentare come i “protettori” dei diritti umani e scalzare un Governo islamico non gradito. E la colonizzazione continua, si può anzi dire che è in corso una guerra globale di ricolonizzazione, che sempre più punta a servirsi di Governi locali per la sua opera di distruzione e dominio e a fomentare guerre civili.