Appunti per un contributo della Fiom al controvertice sull’energiaRoma, 8-15 novembre 2007
Mercoledì 14 novembre 2007 Workshop: La transizione dal fossile:conoscenze e tecnologie Comunicazione: “Modello produttivo e modello sociale” (a cura di Vittorio Bardi)
Premessa Abbiamo aderito come Fiom-Cgil a questo controvertice sull’energia, condividendo i contenuti dell’appello “per un altro modello energetico per un’altra economia”. Siamo tuttavia consapevoli che viviamo, come grande sindacato industriale, diverse contraddizioni: 1) anche il nostro miglior operato, per la maggior tutela delle condizioni di vita e di lavoro degli uomini e delle donne che vogliamo rappresentare, spesso non riesce a misurarsi con le grandi tematiche ambientali, con la necessità non solo di contestare questo modello di sviluppo, ma di prefigurarne un altro; 2) non abbiamo, neppure come ipotesi teorica, delle risposte compiute a cui adeguare le nostre politiche rivendicative, ma dobbiamo procedere per tentativi. Partiamo comunque dalla acquisizione che per quanto riguarda l’uso delle risorse, il modello energetico, i cambiamenti climatici e le prospettive ambientali del pianeta, non è necessario far ricorso alle previsioni più catastrofiche per arrivare alla consapevolezza che, già oggi, una crescita economica fondata semplicemente sui modelli di sviluppo tradizionali che conosciamo, non può continuare: ha necessariamente dei limiti fisici. La limitatezza delle risorse naturali non è solo un concetto ambientale (non ancora pienamente acquisito nella cultura corrente), assieme alle politiche di gestione prevalente a livello mondiale, è la ragione principale che spinge ai conflitti e alle guerre; è direttamente collegata alle diseguaglianze sociali, a livello globale tra i paesi industrializzati e quelli cosiddetti in via di sviluppo, ma anche dentro i paesi ricchi del nord del mondo. Tutto questo ci riporta al concetto di “beni comuni”: a proposito di questioni ambientali, energetiche, climatiche, siamo proprio nel campo “di beni da cui nessuno può essere escluso”. Questo implica una concezione ben più ampia di beni comuni, che rende necessario altri vincoli da parte della politica e dei governi, anche oltre i tradizionali contenuti delle forme di proprietà e di gestione pubblica e/o privata che conosciamo, mettendo l’accento sul “diritto collettivo d’uso” di determinati beni. Qui infatti non parliamo solo dell’acqua, dell’energia, del territorio, ecc. qui è in questione la qualità della vita o addirittura la vita stessa sul pianeta. Come procedere? Come movimento sindacale, ammettiamo i nostri ritardi che ci provengono anche dalla cultura sviluppata nel movimento operaio: i concetti di “crescita”, di “industrialismo”, una fiducia incondizionata nella scienza e nella tecnica, la sottovalutazione del concetto di limite delle risorse….ma riteniamo che anche altri approcci, soprattutto sul versante ambientalista, pur avendo il grande merito di aver posto problemi nuovi, non abbiano ancora individuato risposte compiute, non solo come modello teorico, ma come piattaforma concreta che possa marciare con un sostegno ampio nella società. Pensiamo che quando si affrontano questi grandi scenari, ognuno di noi, comunque collocato, deve per forza misurarsi con la catastrofica prospettiva ambientale che è aperta, ma anche con le difficoltà a cambiare i modelli di sviluppo, di produzione, di consumi, collettivi e individuali, che le determinano. Qui sta la vera difficoltà, che in qualche modo deve portarci a ripensare gli schemi consolidati, ed in gran parte inefficaci, che l’elaborazione delle sinistre (nelle sue diverse articolazioni) e dello stesso ambientalismo, hanno finora prodotto. Non intendiamo volutamente entrare su schematizzazioni e parole d’ordine di cui si dibatte in questi giorni, ovviamente anche con opinioni diverse. Non useremo il concetto di “sviluppo sostenibile”, né parleremo di “decrescita”, ecc.. E’ ovvia la necessità di cimentarsi su ipotesi e modelli compiuti sull’argomento, ma questo non può essere risolto qui, adesso, una volta per tutte, semmai può essere un impegno di lavoro comune per un confronto che deve continuare, (e per il quale diamo la nostra disponibilità) con tutti i contributi utili da parte di tutti i soggetti, i movimenti, il mondo scientifico, ecc. Ci limitiamo a richiamare principalmente due questioni da cui intendiamo partire, per quanto possibile integrandole anche nella nostra normale attività sindacale. 1) La partecipazione democratica non solo contro i guasti di questo modello energetico, ma anche per costruire un altro paradigma. Anche rispetto alle questioni ambientali ed energetiche vi è una questione sociale direttamente collegata: le stesse condizioni di accesso alle risorse, ambientali e climatiche non incidono allo stesso modo su chi ha collocazioni sociali e redditi diversi. Per questo, la indispensabile insistenza sulla necessità dei cambiamenti nei modelli di vita e di consumi, anche individuali, non può avere un approccio idealista, né per altri versi, si può immaginare una imposizione autoritaria. Solo attraverso processi democratici e partecipativi è possibile giungere a comportamenti coerenti, sostenibili e condivisi. 2) Il ruolo attivo del mondo del lavoro. La questione dirimente del cambio di modello di sviluppo non può essere certo lasciata alle convenienze del mercato liberalizzato, servono politiche pubbliche integrate che prefigurino altre strategie e dettino vincoli precisi per tutti i soggetti in campo. Ma per modificare sul serio i cicli produttivi in senso ambientalmente sostenibile, non bastano gli interventi esterni, solo con la partecipazione attiva e consapevole di chi opera dentro i cicli produttivi, quindi dei lavoratori e delle loro rappresentanze, noi riteniamo si possa raggiungere l’obiettivo. Un obiettivo ambizioso, che non solo deve superare quella che spesso è stata (o è ancora) la contraddizione tra ambiente e lavoro, ma deve arrivare alla progettazione comune, dentro e fuori i cicli produttivi, da parte di chi ha a cuore un “modello sostenibile”, “del cosa, come, per chi produrre”. Su questioni di questo tipo, più in specifico per affrontare la “transizione dal fossile verso un modello rinnovabile”, l’approccio globale è assolutamente necessario, servono strategie compiute di lungo periodo, ma per realizzarle, occorre contemporaneamente delineare terreni di iniziativa settoriale, decentrata, locale ed immediata. Anche i più radicali tra noi, crediamo possano convenire che, su queste materie, il problema non è il gradualismo (per certi versi necessario) il problema è la direzione di marcia e, visto che siamo in notevole ritardo sulle necessità, i tempi, la rapidità con cui si realizzano determinate scelte. Qualche considerazione più specifica sui due punti · La partecipazione democratica…. La questione è costruire un altro modello energetico, e questo passa necessariamente non solo per un cambio nella produzione di energia, ma anche nei sui usi, un cambio nei fabbisogni, nei modi di consumare, collettivi fino a quelli individuali – tant’è che parliamo anche “della riduzione dei consumi nel nord del mondo” [Oggi il consumo procapite annuo in Tonnellate Equivalenti di Petrolio è circa di 8 per gli USA, di 3 per l’Italia, di 0,5 per l’Africa sub sahariana; il Contratto mondiale dell’energia ipotizza 1 TEP/anno per individuo nel 2050 su tutta la terra]. Il problema che abbiamo di fronte è quindi immenso, va affrontato quindi su diversi versanti, è evidente che non è sufficiente la somma delle battaglie dei no ai nuovi insediamenti energetici – battaglie per altro legittime e necessarie – né è sufficiente partire esclusivamente dai diversi punti di vista dei vari soggetti in campo (cittadini, consumatori, lavoratori…), da essi non si può prescindere…ma un modello alternativo non nasce spontaneamente… Occorre anche lavorare per promuovere una nuova consapevolezza e responsabilità sociale, da costruire con il coinvolgimento e la partecipazione attiva della popolazione a partire dalla conoscenza dei dati effettivi della produzione, dei consumi, dei fabbisogni energetici; dei loro effetti e implicazioni, sui modelli di vita e di consumo, oltre che sulle ricadute ambientali. Esempi di buone pratiche in questo senso, esistono: sono utili strumenti di partecipazione come le "Agende 21/territoriali", l’adozione di strumenti e metodi di nuova generazione come il progetto Life CLEAR - City and Local Envinronemtal Accountability and Reporting project - (alla cui sperimentazione stanno partecipato diversi Enti Locali di varie regioni) da cui è nata la campagna “Facciamo i conti con l’ambiente”, un esempio di come si possono mettere sotto governo “i costi occulti” dell’utilizzo improprio dell’ambiente e dell’energia.
Su questo punto (che ci dovrebbe competere di più) noi riteniamo che un ruolo decisivo debba essere svolto dalle OO.SS. – almeno quelle che sono arrivate alla consapevolezza di questa necessità. Anche in questo caso non è solo necessario battersi contro scelte giudicate sbagliate, ma anche saper proporre soluzioni in positivo, da rivendicare alle controparti, costruendo il necessario consenso tra i lavoratori. Tralasciamo qui il settore specifico della produzione energetica, su cui c’è ovviamente molto da dire - in negativo contro le produzioni da fossili e in positivo per sviluppare sul serio fonti rinnovabili - non perché non sia importante, ma perché altri contributi più puntuali sono previsti… Affrontiamo più specificatamente il tema dell’uso, a partire dal risparmio e dall’uso razionale delle risorse (che è fondamentale non solo nella “fase di transizione”, ma anche dopo) con alcuni esempi di tipo trasversale, ossia che possono essere applicati praticamente in tutti i settori produttivi, i quali, senza considerare gli effetti indotti, consumano circa un terzo del fabbisogno totale (gli altri 2 terzi sono suddivisi tra trasporti e civile). Un’ipotesi di lavoro sindacale potrebbe essere far diventare la questione dell’efficienza energetica e dell’uso razionale delle risorse nei cicli produttivi una rivendicazione da presentare insieme a quelle più classiche sugli investimenti per la qualificazione dello sviluppo e la difesa delle condizioni di lavoro e di reddito dei lavoratori. Sarebbe una vertenzialità, per molti versi, innovativa che non rivendica miglioramenti immediati per se, ma pone il problema della qualità dello sviluppo per il futuro, sfida il sistema delle imprese, le quali (salvo qualche eccezione) pongono il problema unicamente sul versante dei costi energetici, e quindi della richiesta di sgravi e contributi pubblici. In Italia, paradossalmente, è il maggior costo dell’energia rispetto ad altri paesi, che ha messo in moto qualche intervento per l’efficienza energetica negli usi finali, per la quale siamo comunque ancora arretrati rispetto alla media europea. Per quando riguarda l’elettricità, occorre ricordare che il valore degli investimenti necessari per risparmiare energia con le tecnologie oggi disponibili, quindi il costo di questa energia risparmiata, è inferiore di circa il 20% del costo dell’elettricità di nuova produzione. (Studio Greenpeace e altri…). Lavorando su questa ipotesi si possono delineare almeno due versanti di intervento: - Una più immediata che metta al centro il risparmio e l’efficienza energetica. Con un quadro coerente di politiche e misure per la diffusione delle tecnologie più efficienti, già disponibili sul mercato: motori industriali più efficienti e a velocità variabile, sistemi di illuminazione a basso consumo, sistemi di refrigerazione ed elettrodomestici a più alta efficienza, monitor e attrezzature da ufficio a basso consumo e altre tecnologie applicate nei vari settori produttivi e dei servizi, possono ridurre notevolmente i consumi previsti di elettricità e le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale. Per altro, gli investimenti in tecnologia efficiente rappresentano un’occasione di sviluppo anche per l’occupazione, oltre che una qualificazione del lavoro e professionalità più elevate, in modo trasversale in tutti i settori . - Una seconda più sul versate di politiche industriali per la qualificazione dei prodotti. Cogliendo l’occasione per sperimentare interventi di razionalizzazione dei consumi di tutte le risorse nei cicli produttivi. A partire dai settori maggiormente “energivori”, dalla mobilità, dalla logistica ecc., ma per arrivare a tutti gli altri…. se si utilizzasse questa esperienza per consumare meno e meglio (non solo per quanto riguarda l’energia elettrica) trasferendola anche alla progettazione dei prodotti - ossia un esempio di quelle che sono le Politiche Integrate di Prodotto (IPP) – [progettazione del ciclo di vita del prodotto… ]- si indurrebbe una grande attività di innovazione verso prodotti ambientalmente e socialmente sostenibili – ne verrebbero anche grandi vantaggi competitivi, per il nostro sistema economico. Una ipotesi di lavoro di questo tipo – che va ovviamente perfezionata nel suo concreto sviluppo – ha ovviamente bisogno di conoscenze scientifiche da applicare, ma anche della concreta conoscenza di chi è inserito nei cicli produttivi, e potrebbe collegarsi direttamente anche alle questioni più strettamente di attualità sindacale, [a partire dal rinnovo dei contratti nazionali, in particolare il nostro….], ma per affrontare le questioni della qualità del lavoro, della sua professionalità e specializzazione, della sua stabilità, contro una precarietà ormai diffusa in ogni settore. Con questo non abbiamo risolto i grandi problemi della transizione dal fossile….ma forse potremmo contribuire a fare un pezzettino di strada per un altro modello produttivo e di sviluppo, con il sostegno attivo del mondo del lavoro…e questa potrebbe essere la novità che ci può permettere di realizzare qualche risultato stabile. |