G8 - manifestazioni per democrazia e libertà


Genova. Cinquemila metalmeccanici e delegati di diverse strutture della Cgil hanno raggiunto Genova il 21 luglio per prendere parte alla manifestazione internazionale indetta dal Genoa social forum, a cui hanno aderito ottocento associazioni per protestare contro una globalizzazione che ha ormai mostrato con evidenza le magagne di un club di decisori, il G8, che sembra essere giunto al capolinea proprio per l’arroganza con cui ha cercato di appropriarsi della governance  del pianeta, senza peraltro sanare piaghe laceranti come l’indigenza di tre miliardi di persone, le malattie di un altro miliardo e mezzo, la mancanza di un lavoro decente, istruzione, farmaci, servizi, acqua potabile e telecomunicazioni per altre centinaia di milioni d’individui. Senza parlare dello stato ambientale del nostro pianeta dove l’aria è sempre più irrespirabile. L’effetto serra arroventa il clima aggravando la desertificazione di aree dove non crescerà mai più nemmeno un filo d’erba a meno di programmare ingenti investimenti per recuperarle.

Claudio Sabattini, segretario generale della Fiom, molti segretari e dirigenti regionali e provinciali di Fiom e Cgil di tante regioni, dal Nord al Sud sono arrivati a Genova insieme alle rispettive delegazioni con pullman e treni speciali.

Carlo Giuliani, 23 anni, freddato in piazza. Un idealista troppo fragile che sognava un mondo diverso.

Un sole rovente ha irradiato tutto il giorno una città angosciata dal lutto per l’assassinio di Carlo Giuliani,  il ventitreenne a cui ha sparato, verso le diciassette del 20 luglio, un carabiniere ancora più piccolo di lui. Carlo era figlio di Giuliano, ex segretario generale della Funzione Pubblica della Cgil ligure e poi di Genova, attuale presidente di alcune cooperative che si occupano del reinserimento di giovani che hanno avuto un impatto con la vita un pò più difficile di quello della maggior parte dei loro coetanei. Un compagno di scuola di Carlo lo ricorda come un ragazzo troppo fragile e sognatore.

Nel corteo vengono distribuite fascette nere da mettere al braccio in segno di lutto.

La notizia dell’uccisione di Carlo ha fatto il giro del mondo gettando per sempre una maledizione su questo G8 firmato sotto la regia improvvida del nostro nuovo governo. Sotto la caserma di polizia di San Giuliano un enorme striscione nero con la scritta “assassini” addobba il muro di cinta. Loro stanno lì, sopra il muro, in assetto antisommossa e ci guardano sfilare. Di fronte c’è il lungomare della zona bene di Genova, ville, parchi, stabilimenti balneari e piscine. L’atmosfera è surreale. Siamo in Italia o a Beirut, in Irlanda del Nord o in America Latina? Non c’è voglia di scherzare o di fare battute, ma nella Fiom non c’è nemmeno la paura. Qualcuno ricorda lo scontro di Reggio Calabria, nel 1971, quando Fim, Fiom, Uilm lottavano insieme contro i fascisti (capeggiati da Ciccio Franco) che volevano prendersi il capoluogo calabro. Certo, allora c’era una compattezza diversa, ma anche oggi, a Genova, sebbene non “ufficialmente”, spiccano alcune bandiere della Fim. E’ un segnale positivo.

Ma quando i cinquemila si radunano, all’interno di un corteo che arriverà a ingrossarsi fino a trecentomila persone, ancora non sanno che anche il sabato finirà di nuovo tragicamente.

Autonomi, anarchici, tute nere, mercenari, gruppi guerrieri di sbandati. I pezzi di follia di questa globalizzazione.

Le “Tute nere” (le cui divise sembrano quelle dei guerrieri Ninja) o Black block, termine con cui si identificano, generalizzando, un insieme di persone non catalogabili e che forse, in parte, appartengono a gruppi marginali, tasselli di un mosaico di follia prodotti da questa globalizzazione senza pietà per chi “non ce la fa”, e in parte, più scontatamente, professionisti della provocazione, riescono a spaccare in due il corteo dei pacifisti ingaggiando una finta guerriglia con le forze dell’ordine che reagiscono caricando chiunque capiti sotto tiro. Sono capaci di arrivare all’improvviso, provocare, devastare e sparire indisturbati. Ostentano atteggiamenti di sfida davanti alle telecamere, forse vogliono attrarre altri proseliti con la fascinazione del loro look.  Molti documenti filmati da media indipendenti e dai registi del gruppo romano coordinato da Citto Maselli mostrano, però, anche scene in cui si vedono alcune “staffette” di “neri”, col viso coperto da foulard e passamontagna, scambiare contatti verbali con gli agenti. Informatori? Agenti dei servizi deviati? Gruppi “civetta”? Si possono solo fare delle ipotesi, ma questa volta i supporti di “girato” non mancano (in digitale, pellicola, dvd e quant’altro) e dovrebbero permettere di raccogliere le idee appena il materiale potrà essere analizzato.   

Il corteo della Fiom

Un camper targato Venezia apre il corteo della Fiom. Contiene anche generi di conforto, in città non si trova facilmente nemmeno una bottiglia d’acqua. Lo guida Giuseppe Turudda che, dopo un attimo d’incertezza, appena arriva la notizia che stiamo per infognarci in uno scontro con la polizia, cambia corsia e scortato da Sabattini, Mecozzi, Cremaschi, Boyer, Gallo (Padova), Gallo (Venezia), Cecconi, Raffo, Rinaldini, Zipponi, Castellucci, Magni, Squassina, Marucca, Molin, Airaudo, Carletti, Passarino e altri, devia in un viale, facendo da apripista al resto dei metalmeccanici, appena in tempo per scampare a lacrimogeni, spranghe e manganelli di cui sono forniti sia gli agenti sia i provocatori. L’aria è irrespirabile, sono stati usati anche nuovi gas accecanti “al peperoncino”.

Un gruppo di lombardi, di cui fa parte anche Agostinelli, si stacca e decide di tornare sui suoi passi, per scoprire poco dopo che anche in fondo al corteo altri scontri stanno impedendo alla manifestazione di giungere a Marassi (zona stadio) dove sono state svuotate le carceri per alloggiare corpi speciali di agenti e cani addestrati a difesa dei “grandi”. Il corteo dimezzato riuscirà a raggiungere piazza Galileo Ferraris, mentre altre cariche si susseguono nelle traverse laterali di corso Sardegna. Tutto intorno la devastazione. I predatori, i provocatori, hanno realizzato a Genova il loro piano eversivo in tutta tranquillità. Forse, si suppone, sono qui da mesi.

La polizia ha attaccato i cittadini pacifici e ha difeso unicamente la città proibita dove i cronisti nella “red zone” non hanno potuto che descrivere le ricche mense imbandite per gli ospiti (12 quintali di pasta servita in tre giorni, ettolitri di grignolino e chianti doc tracannati dai “grandi” e i loro famelici apparati) insieme all’aneddotica delle battute di Silvio Berlusconi, per la mancanza di reali contenuti significativi circa i provvedimenti decisi dagli otto. Tre paginette sui conflitti in Medioriente, Africa e Balcani, tanto per fare un esempio.

Dopo le otto di sera la situazione torna praticabile. I manifestanti rientrano, ma la tregua dura poco.

La "notte cilena" di Genova

A mezzanotte, fra il 21 e il 22 luglio, carabinieri e polizia danno l’assalto ai giovani alloggiati nella scuola Pascoli. Li picchiano a sangue per un’ora e mezza sotto gli occhi dell’apparato del Gsf presente alla Diaz (scuola prestata come sede operativa e press center) a cui viene impedito d’intervenire.  Accorrono, però, sindacalisti, giornalisti, parlamentari. Ma sono costretti a rimanere in strada. Il pestaggio si è consumato in quella che è stata chiamata “la notte cilena” di Genova. Dopo la retata, la scuola viene lasciata a porte spalancate per invitare a entrare la stampa di tutto il mondo, allibita che una cosa simile succeda in Italia. Computer e vetri spaccati, banchi di scuola, sedie, armadi rovesciati.  La polizia politica per mezzo dell’articolo 41 (perquisizione consentita senza mandato per il sospetto che ci siano armi) fa quello che vuole.  Ci sono pozze e strisciate di sangue fresco sui muri lasciate dai ragazzi pestati contro i radiatori. Camminando sulle macerie di ciò che rimane nelle aule, vengono ritrovati addirittura un paio di denti umani. La retata produce sessantasei feriti (moltissimi i traumi cranici, braccia e gambe spaccate) e cinquanta arresti.

Le valutazioni di Claudio Sabattini

Abbiamo chiesto a Claudio Sabattini un commento a caldo sul G8 armato di Genova, un vertice che, come tutti sanno, ha varato provvedimenti assai modesti (il comunicato stampa conclusivo dei trentasei punti in programma consta in tutto di sette pagine e sul Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni ancora nessun accordo).

Che cosa significa tutta questa violenza? Siamo alla vigilia di un nuovo autunno caldo?

Sabattini - "L’attacco nel cuore della notte potrebbe essere considerato come un’anticipazione di quella che sarà la repressione all’americana di qualsiasi conflitto sociale, secondo le intenzioni di questo governo. Abbiamo visto come le regole siano state stabilite da una struttura politica, e non giuridica, facendo largo uso della discrezionalità. Da una parte c’era la “funzione civetta” dei Black, che hanno agito  per coinvolgere il corteo dei manifestanti, e dall’altro lato la polizia che aveva l’obiettivo di strangolare il movimento davanti agli occhi di tutto il mondo".

Pensi che anche l’uccisione di Carlo Giuliani sia stata resa possibile dalla sconsideratezza di una repressione verso “tutti”?

Sabattini - "L’uccisione di questo ragazzo è dovuta al gesto di un carabiniere senza esperienza, non in grado, cioè, di affrontare tali problemi".

Che cosa prevedi per l’autunno?

Sabattini - "L’atteggiamento intimidatorio della polizia si è spinto oltre la provocazione. Può dare il senso di ciò che potrà succedere. Vent’anni fa si diceva: conflitto uguale terrorismo. E’ una nozione infame che noi non abbiamo mai combattuto abbastanza, basti pensare al caso Fiat. Questa volta è l’arco culturale esplicitato a Genova che denuncia il modo in cui si pensa di affrontare il dissenso sociale anche nel prossimo futuro".

Intanto, alle diciotto del 22 luglio, poco dopo la conferenza stampa finale del Gsf, il sindacato autonomo di Polizia Sap diffondeva il suo comunicato, firmato dal segretario Franco Maccari: “Chiediamo alla magistratura di valutare fra tutte le responsabilità anche quelle dei portavoce del Gsf, protagonisti di una vigilia intrisa d’ambiguità e incitamenti all’odio e alla violenza, utile premessa alla devastazione a cui si è poi assistito”.

Da qui all’autunno per i lavoratori e le lavoratrici ci saranno davvero solo una manciata di settimane per fare delle vacanze riposanti e riprendere le forze per tornare in piazza molto presto, ancora più numerosi.

L’unica globalizzazione che vogliamo è quella dei diritti umani e fondamentali per tutti e per tutte. La repressione di Genova dovrebbe far riflettere anche chi, finora, si è dimostrato un po’ troppo “distaccato” verso i contenuti del dissenso democratico a questa globalizzazione.

di Daniela Binello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

le  altre foto