Note sul Forum Sociale Mondiale

Porto Alegre, Stato del Rio Grande do Sul, Brasile -  25-30 gennaio 2001

 

Al Forum hanno partecipato circa 15.000 persone da tutti i continenti, rappresentanti di moltissime associazioni, sindacati e gruppi. All’interno del programma generale si sono anche svolti il Forum interparlamentare e quello dei rappresentanti degli enti locali. Nel Forum è stato deciso di non produrre un unico documento finale, ma, oltre ad  eventuali risoluzioni di specifici seminari, tre appelli: dai movimenti associativi, dal forum interparlamentare, dal forum degli enti locali.

La partecipazione prevalente in termini numerici è stata quella dell’America Latina. Dai paesi europei le delegazioni più numerose erano di Francia (che tramite l’associazione Attac, presente in diversi paesi, è stata anche protagonista dell’organizzazione e svolgimento del Forum, insieme alle Associazioni non Governative Brasiliane e alla Cut, Confederazione sindacale Brasiliana) e Italia (oltre 100 persone, da diverse associazioni. Erano anche presenti compagni e compagne della Cgil nazionale, Piemonte, Lombardia, Emilia, oltre alla sottoscritta per la Fiom e al responsabile internazionale della Fim).

La proposta della creazione di questo Forum è nata dalle mobilitazioni che si sono sviluppate in Europa, contro l’Accordo Multilaterale sugli investimenti (AMI) nel 1998; delle grandi manifestazioni di Seattle, durante l’incontro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel novembre 1999; da quelle realizzate in Washington, contro le politiche del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e della Banca Mondiale. Tra queste anche quella della Marcia Mondiale delle Donne nell’ottobre 2000. Queste mobilitazioni, come sottolinea la presentazione del Programma del Forum, hanno messo in evidenza l’emergere di un movimento mondiale di società civile, al di là delle frontiere nazionali, di resistenza al neoliberalismo.

Il Forum si è sviluppato contemporaneamente all’incontro che a Davos, Svizzera, ha riunito (come ogni anno, dal 1971) numerosi esponenti del pensiero e potere neoliberale. Un confronto tra i due luoghi si è svolto per teleconferenza, durante lo svolgimento del Forum all’interno del Centro Eventi dell’Università Cattolica di Porto Alegre (PUC).

I 4 temi centrali del Forum, Produzione di ricchezza e riproduzione sociale; accesso alle ricchezze e alla sostenibilità; affermazione della società civile e degli spazi pubblici; potere politico e etica nella nuova società,  sono stati sviluppati durante ogni mattino in 4 grandi Conferenze per ciascun tema - aperte solo a delegati/e accreditati/e dalle rispettive associazioni o organizzazioni , ma seguite sia su un canale tv, sia sul sito internet dello Stato Rio Grande do Sul, sia su un grande schermo in un Parco cittadino appositamente attrezzato per 4000 persone-  e al pomeriggio in circa 400 seminari, - aperti a tutti/e - tra le 14 e le 20. Nelle conferenze era possibile presentare ai relatori domande scritte; nei seminari era possibile intervenire brevemente (massimo 10 minuti). L’occasione di dibattito generale tra sindacalisti e partecipanti è stata fornita dal Seminario della CUT, che si è svolto il 27, sul tema Occupazione e politiche del Lavoro, dove erano relatori, con la presidenza della CUT, uno spagnolo (delle CC.OO) per l’Europa, un canadese del Canadian Labour Congress, un rappresentante dell’Afl-Cio, Stati uniti ed una rappresentante del Cosatu, Sud Africa. Contemporaneamente si è anche svolto un seminario promosso dalle donne della CUT.

Ho personalmente partecipato, oltre che alle iniziative generali di apertura, con manifestazione per le strade della città,  e chiusura del Forum, al Seminario della CUT, alla Conferenza del 26 “Come costruire un sistema di produzione di beni e servizi per tutti?”, alla Conferenza del 27 “Quale commercio internazionale vogliamo?”; del 28 “Quali sono i limiti e le possibilità di una cittadinanza planetaria?”; del 29 “Come mediare i conflitti e costruire la pace?”. Ho inoltre partecipato, nel pomeriggio del 26 al Seminario promosso dal Coordinamento della Marcia Mondiale delle donne, (purtroppo contemporaneo a quello dell’Osservatorio sociale e della Cut, sulla globalizzazione dei diritti del Lavoro), più tardi ad un affollatissimo ed entusiasta incontro promosso da Le Monde Diplomatique, Attac e Adufrgs,  sulle esperienze di governo locale basate sulla democrazia partecipativa, di cui sono stati protagonisti il Sindaco di Porto Alegre  (da 12 anni realizza nel proprio comune una esperienza di bilancio partecipativo), il Governatore dello Stato del Rio Grande do Sul e la recentemente eletta Sindaca di San Paolo Marta Sulpicy (tutti e tre acclamati lungamente dalle oltre 2000 persone presenti). Hanno anche partecipato la ministra francese per gli affari sociali e un professore brasiliano, residente a Parigi, (Loewy).

Nell’ovvia impossibilità di dare conto dell’insieme del Forum, e anche solo degli incontri a cui ho potuto partecipare, mi limito ad alcune note, certamente molto soggettive e parziali, su contenuti e interrogativi.

Alcuni temi

Il Forum è stato davvero un evento straordinario, non solo e non tanto per la quantità di partecipanti (altri Forum mondiali, da quello delle 30.000 donne a Pechino nel 95, una delle prime e più significative esperienze di denuncia degli effetti negativi della globalizzazione, hanno visto una analoga o anche maggiore partecipazione), quanto per la intenzione di mettere in comunicazione le più diverse esperienze critiche della globalizzazione liberista, soprattutto sul terreno sociale,  con lo scopo di costruire proposte alternative, ponendo come base un processo di democratizzazione delle società, attraverso la partecipazione diretta, che rilegittimi i diversi movimenti sociali (anche a livello nazionale), contro l’esaltazione dell’individualismo, uno degli effetti deleteri del processo di globalizzazione liberista. Un appello in questo senso in apertura è proprio venuto dai Governanti locali brasiliani, protagonisti di esperienze di governo molto avanzate in termini di partecipazione democratica. Si tratta di una sfida molto ambiziosa i cui esiti sono ovviamente legati al ruolo dei soggetti che intenderanno raccoglierla. Unanime la valutazione che questo Forum ha rappresentato solo un primo passo.

Tra i temi discussi: la crescente finanziarizzazione dell’economia e corrispondente crescita della sue  fragilità (dal 3% che giocava in borsa nel 1927 al 50% attuale) ed effetti disastrosi delle crisi (Asia 1997); quello degli effetti socialmente drammatici delle privatizzazioni di beni e servizi essenziali (quali acqua, elettricità ecc); gli interrogativi sulle possibilità, qualcuno parlava di certezza, di una recessione della economia americana  e la possibile (da alcuni auspicata) rottura del processo di globalizzazione, da sostituirsi con processi di organizzazione economica su base regionale; la denuncia del carattere distruttivo della finanziarizzazione  rispetto alla produzione: per esempio quando le banche straniere, come in Argentina, rappresentano il 56% dei capitali,  pretendono la competitività e nello stesso tempo pongono altissimi interessi per dare crediti. Quanto alle possibili alternative, non si tratta, come ha detto l’economista Samir Amin, di scrivere utopie a tavolino, ma sviluppare una pratica e progetti che si basino su un ruolo attivo di coloro che ne sono coinvolti, cercando di far convergere le diverse aspirazioni ad una giustizia sociale - dalla difesa dei diritti acquisiti al rispetto di collettività o minoranze quali ad esempio quella degli indios.

A proposito di Stato nell’economia, ne è stato sostenuto il ruolo, ma condizionato dalla partecipazione popolare, come scuola politica e di cittadinanza, in cui il valore centrale sia quello della solidarietà: uno “Stato austero, agile, efficiente” (Governatore dello Stato di Rio Grande) che eserciti un controllo sui poteri della economia e della informazione e  ponga vincoli sul capitale speculativo (Tobin Tax). I pesantissimi condizionamenti del FMI, insieme alla morsa del debito, sono stati  portati come obiettivi principali di una lotta antiliberista del Sud, e su cui è chiesta la partecipazione attiva e solidale del Nord.

Altro argomento molto discusso è stato quello relativo alla Organizzazione Mondiale del Commercio: particolarmente interessante la relazione svolta dal rappresentante della CUT, che ha sottolineato in primo luogo la differenza radicale tra libero commercio (che nei fatti non è libero, ma in buona parte dominato dagli interessi delle multinazionali, senza alcun controllo o atteggiamento critico da parte dei governi dei paesi che ne sono sede ): ha fatto l’esempio della differenza tra prospettiva Mercosur e ALCA (a cui c’è una forte opposizione, anche da parte dei sindacati, data la evidente disparità tra le economie dei paesi interessati: gli USA da soli coprono il 75% dell’economia di tutta l'area coperta dal trattato di libero commercio).

Ha quindi espresso la necessità che si costruisca un nuovo terreno di accordo tra  i movimenti sociali del Nord e del Sud, ponendo come questione di fondo il fatto che i Paesi in cui le multinazionali fanno politiche discriminatorie nei confronti dei diritti umani, del lavoro e dell’ambiente non devono accettare di stare nella OMC. Vanno applicate le clausole sociali, per tutti i paesi, sviluppati e non,  (è naturale che i lavoratori del nord si sentano minacciati dall’abbassamento dei diritti al Sud,  e non si tratta di protezionismo) ma anche una dimensione diversa del commercio internazionale, dato che il problema clausole sociali non tocca comunque la gran massa dei disoccupati. Quindi una combinazione della lotta per i diritti con quella per il diritto allo sviluppo.

L’intervento del Ministro Francese per il Commercio Estero, che ha insistito sulla protezione della specificità culturale dal dominio globale USA, è stato contestato dal pubblico, per il protezionismo agricolo dell’Europa, che danneggia gravemente l’agricoltura dell’America latina.

Sul tema della cittadinanza globale, con le sue potenzialità e limiti,  (discusso nell'unica conferenza con una prevalenza di relatrici) si  è analizzato come fondamentale il passaggio della società civile da una condizione  di sfruttamento e oppressione a quella di soggetto e la necessità di costruire un nuovo contratto sociale, che passi attraverso il riconoscimento dei termini di uguaglianza e differenza . Il professore portoghese (unico uomo del la tavola rotonda)  che ha svolto una relazione su questo tema, ha  chiarito che sulla questione  multiculturalismo (all’ordine del giorno in Europa) è necessario che si affermi un orientamento “progressista”, secondo il quale le differenze culturali non rimangono immobili , ma si contaminano e trasformano reciprocamente. Questo consente anche che si realizzino forme di  organizzazione della società civile plurali,  e che pongano il problema della partecipazione alle decisioni , in società come le nostre, in cui si pratica una “democrazia a bassa intensità”.

L’interrogativo su come la società civile si organizza nella globalizzazione, che tende a distruggere vecchi luoghi di socialità e di organizzazione (come ad esempio la fabbrica tradizionale) è stato centrale nell’intervento della Direttrice della rivista Chiapas, che ha portato ad esempio l’esperienza di costruzione di comunità degli zapatisti  “che lottano per il recupero della dignità della comunità, non per programmi sociali “ e per una forma nuova di relazioni politiche intersoggettive, unica base possbile per il processo di costruzione della pace.

Il tema della guerra e della costruzione della pace è stato presentato in una conferenza a cui hanno partecipato relatori dalla Colombia, dal Brasile, dall’Ecuador e, in un intervento molto appassionato e applauditissimo, il rappresentante del Centro informazione Alternativa di Israele. Paradossalmente, ma forse non troppo, non c'erano relazioni svolte da donne. La presidenza era tenuta da una delle Madri della Plaza de mayo argentina.

 Il rappresentante israeliano ha, tra l’altro, evidenziato la necessità di scavare sotto la parola pace ("in Israele tutti parlano di pace, anche l’estrema destra") analizzando la realtà sociale e politica di Israele e Palestina, soprattutto, mettendo al centro le parole dei diritti, diritto e democrazia e considerando la enorme disparità economica sociale e politica delle due parti.  Ha fatto l'esempio, nella situazione attuale, della importazione di manodopera straniera per sostituire quella palestinese e della disuguaglianza per quest'ultima anche quando è al lavoro. In Israele, ha detto, è necessario passare dalla etnocrazia alla democrazia.  Ed ha chiesto un appoggio esplicito della comunità internazionale “civile” alla lotta palestinese.

E’ stato denunciato il Plan Colombia come pesante ingerenza economica e militare USA nella situazione della Colombia, insieme alla valutazione iniziale che la costruzione di alternative non può essere fondata sulla violenza, ma su processi negoziali di soluzione dei conflitti armati.

Complessivamente è stata evidente la mancanza di un discorso critico europeo sul senso oggi della guerra, dopo la drammatica esperienza della Guerra Nato in Kosovo/Serbia e il progressivo mutamento di questa alleanza militare in alleanza offensiva che pone a maggior ragione  serie questioni sul ruolo e l’indipendenza dell’Europa.

Qualche appunto critico

La mancanza rilevata nella Conferenza sulla guerra è in realtà una più generale assenza di partecipazione e di punto di vista critico europeo: come già detto i gruppi europei presenti erano in maggior parte di francesi e italiani. In realtà il Forum è stato promosso e gestito da una intelligente partnership franco-brasiliana che, se sul versante del partner brasiliano (organizzazioni non governative e CUT) ha significato una numerosissima ed eloquente partecipazione (giusta e inevitabile, anche perché il Forum si svolgeva nel loro paese), sul versante europeo ha marcato una assenza evidente, politica più che numerica. Infatti, per un verso, l’associazione francese Attac, (co-promotrice)  ha privilegiato i rapporti bilaterali,  - Francia-Brasile, - esaltandolo come asse caratterizzato da esperienze di governo democratico. In questo quadro ha anche sponsorizzato la presenza di alcuni ministri francesi (una mossa oltre le righe, e come tale un po’ contestata), ed ha molto limitato il pensiero critico sulla Europa;  per l’altro, la costruzione di una società civile europea organizzata, con proprie analisi e prospettive , non è ancora effettivamente all’opera. Il “grande gruppo” italiano stesso, estremamente composito, non era preparato a questo, ma ha fatto del suo meglio lì per svolgere un ruolo attivo e visibile, in particolare in rapporto alla preparazione delle iniziative a Genova in occasione del G8.

L’esperienza, maggioritaria in Europa, dei governi di centro sinistra, non solo non ha fatto molti passi in avanti nella costruzione di un’Europa politica, ma sembra quasi aver  bloccato anche quella di una Europa sociale e civile con un pensiero critico e una pratica politica conseguente. Qui ci sono anche responsabilità soggettive delle varie associazioni e movimenti.

In questo quadro mi sembra che si collochi anche la scarsa voce avuta dai Sindacati,  benché dispongano di strutture sia europee che internazionali, (come esempio di contraddizioni , ricordo che c’è stato un appello alla partecipazione a Porto Alegre del Segretario Generale della Fism, Marcello Malentacchi, e che il Segretario Generale della AFL-CIO si trovava a Davos, pur avendo avuto il Sindacato Americano un ruolo di primo piano nelle grandi manifestazioni a Seattle in occasione della riunione dell'OMC!) che avrebbero potuto avere in un contesto di quel tipo un ruolo importante, nel dare un proprio contributo (per quanto riguarda il “modello sociale europeo”, che la globalizzazione liberista tende a distruggere, per quanto riguarda una strategia internazionale in rapporto con i sindacati indipendenti del Sud del mondo, che all’Europa guardano con molte aspettative, come contrappeso al dominio del modello economico e sociale USA e al potere senza vincoli delle multinazionali, che hanno sede in molti dei nostri paesi) e nell'apprendere da altre esperienze con le quali costruire legami. Tutte queste “mancanze” caratterizzano anche l’appello dei “movimenti associativi” uscito dal Forum. Penso infine che, il  moltiplicarsi degli incontri internazionali, comunemente detti “antiglobalizzazione”, (di cui il prossimo, in Europa, sarà quello a Genova in occasione del G8) dovrebbe sollecitare i sindacati a porsi il problema di come rapportarsi (contenuti e forme) ai movimenti, che di questi incontri sono promotori, e/o come farsi essi stessi promotori di iniziative, di discussione e di movimento.

In una rapida riunione di valutazione conclusiva insieme alla CUT, a cui va buona parte del merito dell'iniziativa e della presenza sindacale, e agli altri sindacati presenti, abbiamo portato le nostre osservazioni e abbiamo convenuto di lavorare in questa direzione in occasione del prossimo Forum Sociale Mondiale che si terrà il prossimo anno di nuovo  a Porto Alegre più o meno alla stessa epoca, assumendosi ognuno le proprie responsabilità. Nel frattempo, ci si è impegnati a far conoscere e discutere all'interno delle rispettive realtà sindacali, quanto visto, ascoltato, discusso.

 

Alessandra Mecozzi