ACCORDO MULTILATERALE SUGLI INVESTIMENTI (AMI)

Una ipotesi da respingere

L’11 marzo il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione in cui invita parlamenti e governi degli Stati dell’Unione Europea a non sottoscrivere l’accordo multilaterale sugli investimenti nella sua formulazione attuale, oggetto fino a questo momento di trattative pressoché segrete in sede OCSE.

Questo Accordo, o meglio, trattato che consta di circa 400 pagine contiene infatti una serie di clausole che consentirebbero di impugnare le legislazioni vigenti nei singoli paesi dove le multinazionali intendono effettuare gli investimenti, in quanto discriminatorie, perché non consentirebbero la realizzazione dei profitti attesi; e ciò sia per norme riguardanti le condizioni di lavoro, che di protezione dell’ambiente, che di tutela della salute.

Mentre i sindacati a livello internazionale sono impegnati a far sì che vengano definiti codici di comportamento per le imprese multinazionali o a far inserire clausole sociali negli accordi commerciali internazionali, un accordo di questo tipo vanificherebbe ogni sforzo in questa direzione.

Inoltre questo testo, non a caso elaborato nella sede dei 29 paesi più ricchi del mondo, comporterebbe prezzi altissimi per i Paesi in via di Sviluppo che sarebbero costretti, pur di avere investimenti ad abbassare o a non applicare standard sociali ed ambientali indispensabili.

Possiamo così sintetizzare i punti che fanno di questo progetto un vero  “colpo di stati”, come è stato definito su Le Monde:

  1.                  Dal momento che gli Stati devono garantire uguali esenzioni e incentivi ad imprese nazionali ed estere e non è possibile richiedere alle imprese estere particolari standard di “performance” (ad esempio l’impiego di manodopera locale o l’uso di materie prime del paese dove investono), gli Stati Nazionali non sono in grado di condizionare le attività commerciali ed economiche rispetto alle proprie priorità di sviluppo.

2.                  Gli incentivi ad imprese locali vengono considerati non possibili, in quanto discriminatori nei confronti di imprese estere: ciò vuol dire che anche gli incentivi dell’UE per le regioni più arretrate non potrebbero essere effettuati.

3.                  Non potrebbero più esercitarsi, ad esempio da parte del sindacato, pressioni per quanto riguarda la salvaguardia dei diritti dei lavoratori o per la tutela dell’ambiente: si accelererebbe in tal modo una corsa verso il basso degli standards sociali economici e non avrebbe alcun  senso la stessa azione sindacale.

Gli stessi diritti umani non rappresenterebbero un criterio di valutazione per la possibilità o meno di effettuare investimenti.

4.                  Attraverso il meccanismo di risoluzione delle controversie tra multinazionali e paesi contraenti, in caso di inadempienza, la multinazionale può citare in giudizio e ottenere sanzioni contro il Governo del paese in cui vuole investire, ma non sarebbe possibile il contrario, né da parte dei governi né da parte di organismi di rappresentanza della società civile.

5.                  Le clausole cosiddette di stand still (o statu quo) e di roll back (smantellamento) dicono che è proibita ogni nuova norma legislativa che prefiguri una lesione dei “diritti” della multinazionale (ad esempio un miglioramento nelle condizioni di lavoro) e sono da ritirare norme esistenti.

E’ evidente, da questo sia pur sintetico elenco, che L’A.M.I.  metterebbe drasticamente in discussione la facoltà degli Stati e governi nazionali di esercitare un ruolo di governo e di indirizzo delle politiche industriali, economiche e sociali e, nello stesso tempo, toglierebbe al sindacato la possibilità di esercitare un ruolo generale nella difesa e miglioramento della condizione lavorativa e nelle politiche occupazionali.

Per questi motivi riteniamo positiva la decisione del Parlamento Europeo e indispensabile lo sviluppo di un dibattito democratico anche a livello nazionale.

In alcuni paesi europei si è già sviluppata una mobilitazione, in particolare in Francia, in Belgio e Austria, dove i rispettivi governi hanno già dichiarato che non sottoscriveranno l’accordo. Anche in Italia è necessaria una pressione nei confronti del Governo perché rifiuti di sottoscrivere questa ipotesi di accordo, che rappresenta comunque un ulteriore pesante passo verso il dominio dell’economia sui diritti della società e della politica, con la negazione dell’autonomia di soggetti sociali e politici e conseguenze drammatiche per la vita di milioni di persone.

GLI UFFICI INTERNAZIONALI FIM FIOM UILM

Roma,  14 aprile 1998

30 marzo 1998