FORUM SOCIALE EUROPEO

Atene, 4/7 maggio 2006

   

Il futuro dei movimenti globali – ruolo dei Forum sociali europei

Seminario

Alessandra Mecozzi, Ufficio internazionale Fiom

       

Leon Aguirre (Francia), Bernard Cassen (Attac Francia), Pierre Khalfa (Francia), Sophie Zafari (FSU, Francia), Paul Nicholson (Via campesina, Paesi Baschi), Josu Egireun (coordinatore, Paesi Baschi), Alessandra Mecozzi (Fiom, Italia)

 

C’è un primo risultato dello sviluppo dei Forum sociali europei di questi anni: aver creato una identità e una soggettività collettiva europea dei movimenti. Un’identità aperta, ma condizione essenziale per la formazione di strategie, di politiche, di lotte comuni. Un elemento di forza.

Negli ultimi tempi si sono sviluppati movimenti a livello locale e nazionale, meno a livello europeo e globale, se si eccettua la mobilitazione contro la Direttiva Bolkestein, in cui la presenza della CES è stata molto significativa, ma sui cui risultati ci sono valutazioni diverse tra sindacato europeo e movimenti. Porto due esempi di lotte che hanno avuto risultati: una è quella straordinaria che si è svolta in Francia di recente contro il CPE: un vero grande movimento di giovani, studenti, anche dalle banlieus è stato capace di spingere sindacati tradizionalmente divisi e abbastanza deboli a lottare insieme. Ed hanno ottenuto un primo risultato, con il ritiro della legge. Un altro caso, in Italia, è stato quello del movimento No Tav (contro la costruzione di una ferrovia per l’alta velocità) che ha coinvolto una intera comunità, inclusi i sindaci, in cui anche i lavoratori hanno fatto uno sciopero generale, pur senza il sostegno delle organizzazioni sindacali (tranne la Fiom) e finora hanno ottenuto che questa costruzione non cominciasse, mostrando anche alternative possibili, che salvaguardino la salute, l’ambiente, la comunità nel suo insieme, ponendo il problema della partecipazione democratica alle decisioni di grandi opere e quella di un “altro sviluppo”. Sono due esempi diversi che mostrano come i movimenti globali iniziati a Seattle hanno trasmesso il messaggio che “un altro mondo è possibile”, che si possono cambiare le decisioni dei poteri, hanno messo radici. Ma dobbiamo oggi anche considerare che il movimento antiliberista, sopranazionale, è relativamente debole a livello globale. Qui ad Atene verificheremo lo stato del movimento europeo.

Ma già si può dire che ci sono reti europee che si sono consolidate (sulla salute, l’istruzione, i migranti…), che è nata la rete per “la Carta dei principi comuni per un’altra Europa”; che continua a lavorare, in una situazione difficilissima, il Coordinamento europeo per la Palestina

Ci sono problemi e difficoltà, certo: se guardo dal versante sindacale c’è il problema di coinvolgere attivamente lavoratori e lavoratrici e cambiare profondamente la cultura, aprendo le identità, ma nello stesso tempo mantenendo quegli elementi di identità necessari per le lotte e la contrattazione con le controparti, per ottenere risultati. C’è la necessità di coinvolgere più ampiamente i sindacati in strategie antiliberiste. Vedo il problema della necessaria indipendenza dei movimenti sociali da partiti e Governi che si presenta in Europa e in altri paesi, pensiamo all’America Latina o al Sud Africa. E infine c’è il grande problema della comunicazione culturale e linguistica: qui voglio ricordare come straordinario risultato del processo dei Forum sociali la creazione della rete degli interpreti volontari di Babel.

Le sfide per il futuro? La prima è mantenere ai Forum il carattere di spazi pubblici aperti dove si incontrano e si conoscono soggetti sociali diversi, individuali o collettivi, per imparare, crescere, conoscere, e nello stesso tempo di luoghi dove costruire nuove strategie antiliberiste e contro la guerra con azioni e proposte. Questo doppio carattere dei Forum richiede più partecipazione, più cultura, più sforzi creativi da parte di ognuno, organizzazioni vecchie e nuove, piccole e grandi. Richiede un processo più significativo di scambi tra Europa dell’est e dell’ovest, dal punto di vista sociale, culturale, politico: ed è un peccato che a questo tavolo non ci sia nessuno dall’est. Ne sappiamo troppo poco, nei movimenti come nelle organizzazioni più tradizionali. Abbiamo bisogno di sviluppare in modi diversi un processo mediterraneo tra nord e sud, avviato con il Fsmed di Barcellona, che ne ha messo in luce le grandi difficoltà, ma anche le potenzialità. Ma senza una dimensione mediterranea l’Europa è monca.

Dobbiamo evitare il rischio che il Forum diventi uno spazio di organizzazione, chiuso, di piccoli gruppi politici ideologici che non hanno interesse alle convergenze con i movimenti sociali reali e che rischiano di rendere poco attraente il Forum stesso per un più ampio pubblico, soprattutto di giovani.

Abbiamo individuato un nuovo percorso comune, anche se non tutti sono ancora coinvolti, che è quello della Carta dei principi per un’altra Europa, è un nuovo strumento per la costruzione di alternative, il compito che i movimenti hanno cominciato a darsi a Porto Alegre nel 2001.

In breve, credo che il Forum sociale europeo, per svilupparsi e crescere, chiavi della sua sopravvivenza, ha bisogno di più cultura e più politica, di alcune poche azioni e campagne comuni durante l’anno, di più riflessione e pensieri; di relazione con i movimenti globali – e ricordo a questo proposito la proposta lanciata a Nairobi, nel Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale per una giornata mondiale di mobilitazione per la dignità di donne e uomini nel 2008. Abbiamo anche bisogno urgente di costruire una analisi comune della realtà, che cambia molto più rapidamente di noi stessi.