Impressioni dal Forum di Londradi Sergio Bellavita, Fiom Emilia-Romagna Il terzo appuntamento del Forum sociale europeo tenutosi a Londra ha confermato il dato di un’elevata partecipazione ai tanti dibattiti, seminari, laboratori e incontri nella formula che ha caratterizzato i precedenti Forum sociali di Firenze e Parigi. Oltre ventimila delegati/e rappresentano evidentemente una domanda e un bisogno politico e sociale innegabile, tuttavia una domanda ed un bisogno che restano largamente senza risposta. Per tentare di dare una valutazione in poche righe, sarebbe necessario comprendere a fondo i limiti e le potenzialità di quello che viene definito il movimento, evitando approcci analitici strumentali. Mi riferisco alla tendenza, purtroppo mai venuta meno, di subordinare l’analisi sulle dinamiche sociali a un progetto politico o più semplicemente a una scelta tattica. Per queste ragioni non condivido molte delle rappresentazioni fatte sulla tre giorni londinese: da una parte chi, dovendo sostenere con forza la tesi di una fase segnata da un forte protagonismo sociale, rimuove i limiti organizzativi e politici emersi, e dall’altra chi decreta tout court la definitiva istituzionalizzazione del movimento, o peggio, la sua morte, banalizzando il dato sulla partecipazione e una domanda sociale ancora straordinariamente presente. Due errori di valutazione segnatamente presenti negli interventi di esponenti di movimento e nei resoconti giornalistici, due errori che rischiano di impedire una valutazione rigorosa sullo stato del movimento. Il limite maggiore che, a mio giudizio, emerge confermato da questo Forum sociale europeo è indubbiamente la contraddizione sempre più palese tra le grandi opzioni politiche, come il rifiuto della guerra e del neoliberismo, e le pratiche che, soprattutto le più grandi organizzazioni presenti, perseguono nei loro rispettivi ambiti di intervento. Una contraddizione che consente, ad esempio, alle Trade unions di sostenere il guerrafondaio Blair al congresso dei laburisti inglesi e di presentarsi al Forum sociale come organizzazione sindacale impegnata sul terreno della salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Una contraddizione che impedisce la costruzione di mobilitazioni territoriali contro le politiche neoliberiste nei loro molteplici aspetti, dalla difesa dello Stato sociale alla lotta per il salario e per un’occupazione stabile, sino alla lotta per la libertà dei migranti, e nei confronti della quale è necessario intervenire con urgenza, per evitare che la conseguenza diretta del mantenimento di questa ambiguità di fondo del Forum sociale disperda un patrimonio prezioso costituito dai tanti uomini e dalle tante donne che in questa istanza hanno identificato il luogo e il soggetto capace di dare una risposta efficace dopo anni di arretramento e di sconfitte sul piano politico e sociale. La stessa manifestazione contro la guerra che ha attraversato le vie di Londra , sebbene nessuno si aspettasse una riedizione della oceanica manifestazione del 15 febbraio 2003, ha evidenziato le difficoltà che attraversano il movimento in questa fase. Per queste ragioni credo che occorra rivedere sul piano politico e organizzativo gli appuntamenti dei Forum sociale, perché non immaginare di ridurre sensibilmente la miriade di iniziative che si svolgono in contemporanea e che impediscono di seguire adeguatamente il filo di una discussione che vogliamo collettiva e concreta? Da militante riconosco il legame stretto che esiste tra la condizione dei migranti, delle donne, le questioni relative alla precarietà e all’esclusione sociale e da queste alla centralità della questione lavoro, sempre affrontata poco e in maniera fumosa nei documenti conclusivi, sino alle politiche neoliberiste e alla guerra, come massima espressione delle stesse. Questioni che non possono essere affrontate per compartimenti stagni, ma che necessitano di una discussione la più ampia possibile. Sul piano politico occorre rivedere gli strumenti di cui sinora si è dotato il Forum sociale: non è più sufficiente l’organizzazione delle grandi scadenze di mobilitazione generale, che in una prima fase sono state sicuramente un formidabile volano di partecipazione, è necessario oggi fare quel salto che consenta di elaborare una piattaforma rivendicativa che costruisca riferimenti, strategie e mobilitazioni comuni. Un passaggio credo ineludibile se vogliamo dare gambe allo slogan “radicalità e unità”, che altrimenti rischia, appunto, di rimanere uno slogan. |