Diario dei miei tre giorni al Forum sociale europeo

di Roberta Turi, Fiom Roma sud

Ho deciso che avrei partecipato al Forum sociale europeo di Londra agli inizi di settembre. A Firenze ero stata due anni prima per la manifestazione conclusiva, ma a un Forum sociale mai. Mai avuto il tempo, mai i soldi. Questa volta mi sono detta “Perché no?”. Londra ormai è diventata una città alla portata dei più, grazie alle note compagnie low cost, quindi l’idea di andarci per qualche giorno non mi è parsa così remota. Ho fatto tutto via internet: ho trovato il volo andata e ritorno a un prezzo contenuto e un alberghetto a due stelle nella zona di Paddington. Sempre via internet ho acquistato l’accredito per il forum - quello un po’ costoso, devo dire: 30 sterline, 20 per gli studenti, probabilmente una cifra che deve aver scoraggiato parecchi giovani con pochi finanziamenti da mamma e papà.

Parto il primo pomeriggio di giovedì 14 e quando atterro a Londra vedo che c’è il sole. Dopo aver lasciato il bagaglio in albergo mi dirigo a Conway Hall, un grosso edificio dove sono in distribuzione i braccialetti rossi che consentiranno, a chi ha acquistato l’accredito per il forum, di entrare all’Alexandra Palace, luogo in cui per tre giorni si susseguiranno seminari, plenarie e workshop. Oltre l’accredito ricevo con piacere un abbonamento ai mezzi pubblici londinesi, carissimi per le nostre tasche.

Il giorno dopo mi sveglio di buon’ora e noto con dispiacere che il tempo è già peggiorato. Il cielo è grigio e c’è una triste pioggerellina. Zainetto in spalla mi dirigo all’Alexandra Palace seguendo le indicazioni che mi hanno dato la sera prima a Conway Hall. Il luogo, ben lontano dal centro di Londra, è situato a Nord-Est della città, ma può essere raggiunto facilmente con metropolitana e autobus. Una volta giunta alla fermata metro Wood Green, nonostante sia presto, comincio a riconoscere intorno a me parecchie persone che sembrano dirigersi dove sono diretta anche io. Hanno al polso il braccialetto rosso, alcuni di loro lo hanno anche viola, riservato a quelli che hanno deciso di pernottare al Millennium Dome, diventato per l’occasione un enorme dormitorio. Sento parlare molte lingue: spagnolo, francese, molti sono anche italiani. L’autobus che ci porterà a destinazione parte stracarico di gente e una volta scesi siamo letteralmente assaliti da venditori ambulanti del “Socialist Worker”. Risco a sfuggire a tutti gli urlatori e una volta entrata mi ritrovo prigioniera di una fiumana di gente che mi spinge avanti. L’Alexandra Palace è un palazzo enorme pieno di sale. Tento di orientarmi ma non è facile, all’inizio. Poi, anche grazie all’aiuto di uno dei tanti volontari del Forum, riconoscibili attraverso le magliette viola che indossano, riesco a capire dov’è la sala dove si terrà la prima plenaria a cui voglio assistere. I volontari sono tanti, tutti giovani e bene educati, pare. Mi chiedo come facciano a fronteggiare pazientemente l’orda di gente che continua a fluire nel palazzo, strattonati di qui e di là da tutti e tutte. Prima dell’inizio della plenaria mi faccio un giretto per le sale mentre la gente continua a entrare: ce n’è di tutti i tipi e di tutte le età. La sala centrale, quella in cui si svolgeranno i seminari, la Great Hall, è stata trasformata in una specie di suq e dentro c’è una grande gazzarra. Oltre alle zone dove è stato ricavato lo spazio per i seminari ci sono infatti tantissimi stand occupati dalle numerosissime organizzazioni, associazioni, sindacati, reti presenti qui al Forum. Dio quanti siamo a volere un mondo migliore! Ci sono tutti, i sindacati britannici in primis: Unison, il sindacato dei servizi pubblici, T&G, ovvero i trasporti, c’è Attac, c’è l’Arci, ci sono i social forum, c’è l’equo e solidale, ci sono la associazioni dei migranti e dei rifugiati, c’è l’Ig metall, c’è la Cgil e c’è la Fiom. Ci sono i pacifisti, i marxisti, i socialisti, gli internazionalisti e gli antifascisti. Ci sono i cristiani, i musulmani, i palestinesi, i curdi, i baschi. Ci sono le femministe, gli studenti, gli anziani. Ci sono pure tanti che, secondo me, hanno sbagliato posto eppure ci stanno e fanno finta di starci bene. E a tanti avrebbe fatto bene esserci ma non ci sono, ma questo è un altro problema.

Camminando decine di persone mi mettono in mano volantini, adesivi, pubblicazioni. Si vendono magliette, spillette, videocassette, libri. Tempo dieci minuti e comincia a girarmi la testa, c’è troppo di tutto, i pavimenti sono in breve ricoperti da una grande quantità di carta. Decido di spostarmi nella sala dove si terrà la plenaria sulla globalizzazione, alla quale parteciperà anche Gianni Rinaldini. Vado quindi a prendere le cuffie che mi serviranno per la traduzione: l’inglese lo capisco, col francese me la cavo, ma con il rumeno ho ancora qualche difficoltà. A tradurre tutti gli eventi sono gli interpreti volontari di Babels, rete nata con il Firenze social forum proprio per consentire a sempre più persone di seguire queste discussioni. Seguo quasi tutti gli interventi della plenaria, si parla del liberismo e dell’impatto che ha sulle condizioni dei lavoratori: tempo mezz’ora e sono già depressa, in Europa, a quanto pare, stiamo uno peggio dell’altro. A seguire vado alla plenaria a cui partecipa Gugliemo Epifani sull’economia europea e mondiale. Lì è pieno di italiani che strillano, si scattano foto e fanno il tifo per il segretario della Cgil; la maggior parte siedono nelle prime file. Nonostante il tema non sia semplice seguo il dibattito con interesse, si parla del Wto e dell’impatto nefasto che ha sui paesi più poveri. Mi scopro ignorantissima e penso a come potrò rimediare una volta tornata in Italia: secondo i miei buoni propositi dovrei rinchiudermi per un paio di mesi a studiare tutto quello che ho scoperto di non sapere.

Ben presto ho bisogno di un caffè e vado a cercarlo nella Great Hall, dove c’è una specie di bar. Anche lì faccio una lunga fila, l’ennesima, e finalmente mi siedo a un tavolo con una tazza di caffè fumante. Mi metto a sfogliare il programma del forum: c’è l’imbarazzo della scelta. Si svolgono contemporaneamente un gran numero di seminari, workshop e plenarie. Intorno a me tanta gente è impegnata nella medesima attività: capire cosa fare “dopo”. Si siedono vicino a me un gruppetto di ragazzi che avranno circa vent’anni. Anche loro iniziano a sfogliare il programma ruminando panini. “Che facciamo regà?” Dal “regà” capisco che si tratta di miei concittadini. “Si potrebbe andare alla plenaria sulla Palestina, fico no?” “Nooo”, dice un altro “Andiamo al seminario sul futuro dei movimenti”. “C’è pure un seminario co’ Cremaschi sui precari”, fa notare una ragazza “ed è quasi tutto in italiano!” “Boh!” dicono un paio di loro in coro. “Boh!”, penso io. Dopo dieci minuti ci ritroviamo tutti al seminario sui lavoratori precari. Il seminario è interessante e molto partecipato. Dopo gli interventi dei relatori ci sono una sfilza di interventi di persone che vogliono dire la loro. Alcuni sono interessanti, altri meno. Decido che come primo giorno può bastare ed esco: mi dirigo alla fermata del bus che è, tanto per cambiare, stracolma di gente. Dopo una lunga e infruttuosa attesa decido che farò a meno del bus e mi dirigo, a piedi, alla fermata metro. Passo la serata in compagnia di amici e il giorno dopo sono di nuovo all’Alexandra Palace. Le ore trascorrono veloci: ho modo di seguire un seminario sul Gats con Susan George, una delle più note esponenti di Attac, uno sulla democratizzazione dell’economia, un terzo sulla guerra in Medio Oriente e Afghanistan e l’ultimo sul lavoro e i diritti sociali. Sono le nove di sera passate e non ne posso più. Dopo aver ascoltato a stento l’intervento di Luciano Muhlbauer dei Sin.Cobas mi alzo e, barcollando, guadagno l’uscita. Anche per oggi basta e avanza. Dopo aver cenato con degli amici crollo a letto svenuta e sogno un ennesimo seminario.

Il mattino dopo vado all’assemblea plenaria dei movimenti che si tiene prima della manifestazione conclusiva. La sala è affollata e i pavimenti sono pieni di gente sdraiata che sonnecchia. Viene presentato il documento dell’assemblea dei movimenti sociali, e subito iniziano gli interventi che sembrano non avere più fine. Ne approfitto per fare un po’ di shopping e comprare qualche maglietta per gli amici. Gli stand vengono smontati e tutti cominciano a dirigersi verso l’uscita. Lascio l’Alexandra Palace per andare a Russel Square, punto di partenza della manifestazione conclusiva che finirà a Trafalgar Square. La piazza è piena di gente e presto si comincia a sfilare. Mi accorgo che gli inglesi hanno la strana abitudine di incanalare i manifestanti tra delle cancellate di ferro che corrono parallele lungo quasi tutto il percorso della manifestazione. I manifestanti si trovano così separati dal resto dei cittadini che decidono di non sfilare. Molto britannico, devo dire: guai a mischiare il “disordine” e la protesta con l’ordine e l’aplomb degli anglosassoni.

L’atmosfera è molto diversa da quella che ricordo aver vissuto a Firenze due anni fa. La gente, i londinesi, sono meno partecipi di come lo furono i fiorentini. Molti di loro scapparono, quel fine settimana, per paura che si ripetesse quello che era successo a Genova qualche mese prima: tutti i negozi erano chiusi ed era difficilissimo trovare luoghi per mangiare e bere. Tanti, durante la manifestazione, erano alle finestre, tante erano le bandiere della pace appese ai balconi, tanti quelli che ci applaudivano.

Qui a Londra è completamente diverso: non si attraversano quartieri popolari e i londinesi non sembrano partecipare granché. Ma del resto Londra è Londra, non si scompone più di tanto. Arriviamo quindi a Trafalgar Square sotto una pioggia battente, riparandoci sotto gli ombrelli, infreddoliti. Qui si conclude sia la manifestazione che il Social forum. Scatto le ultime fotografie e me ne vado.

Il giorno dopo risalgo sull’aereo che mi riporterà a Roma e guardo la città che si allontana. Del Social forum mi rimane la sensazione di aver vissuto una bella esperienza: a tratti entusiasmante, eccitante, divertente. A volte anche noiosa, ripetitiva, faticosa. Ho trovato però importante e significativo il fatto che decine di migliaia di persone continuino ancora, dopo anni, a parlare delle alternative possibile a questo mondo globalizzato. Tutti avendo un biglietto da pagare e dei costi da sostenere. Ed è incredibile vedere quante migliaia di volontari hanno contribuito a mettere in piedi quest’iniziativa. Mi rallegro del fatto che ci sia ancora tanta gente che non ha intenzione di rimanere indifferente di fronte alle evidenti ingiustizie di questo mondo, che continua a dire no al pensiero liberista dominante e che con fatica cerca di costruire alternative. Con tutta la fatica che questo comporta, con tutte le incertezze, con tutte le risposte che sarà difficile trovare.

 

Dice quel tale mascherato della selva Lacandona:

Qual è la velocità del sogno?Non lo so.

"Non lo so", queste tre parole dovrebbero essere più presenti nel repertorio di tutti, così obbligati come a volte ci sentiamo ad opinare su tutto e a sostituire opinioni con dogmi e ricette pronte ("verità", le chiamano).

… Nel nostro sogno, il mondo è un altro, ma non perché qualche "deus ex machina" ce lo regala, bensì perché lottiamo, nella permanente veglia della nostra veglia, perché in quel mondo sorga l'alba.