Seminario: Precari di tutto il mondo… giovani, lavoro, movimenti

Sintesi dell’intervento di Giorgio Cremaschi

 

Spesso in Italia si usano le parole inglesi per definire i rapporti di lavoro precari. Si pensa che l’inglese mascheri la realtà, l’abbellisca, la renda più avanzata.

La realtà, invece, è che, in Italia come in tutta Europa e come in tutto il mondo, la precarietà oggi è la condizione fondamentale che unifica verso il basso tutto il mondo del lavoro.

E’ sbagliato parlare di lavoratori precari e lavoratori garantiti. Tutto il lavoro è precario, sono differenti solo i gradi della precarietà.

Questa condizione è il versante verso il lavoro della globalizzazione, la guerra che la globalizzazione liberista conduce verso i diritti del lavoro in tutto il mondo. Da questo punto di vista la precarietà è il lato “civile” della guerra permanente che viene scatenata dal liberismo contro i popoli e contro i loro diritti. La guerra vera e propria è il nostro avversario principale, ma subito dopo di essa, viene l’altro pilastro del liberismo: la precarizzazione del lavoro.

Tutto il lavoro diventa precario: quello dei servizi pubblici sottoposti alla privatizzazione, quello dei servizi sociali sottoposti alla logica del profitto, quello delle grandi imprese sottoposte all’attacco della delocalizzazione, quello di un’intera nuova generazione di lavoratori che non ha più la possibilità di progettare il proprio futuro, perché è sempre sulla soglia delle aziende.

Questa è la precarietà, il rendere eterno il momento dell’assunzione. I lavoratori non sono mai fino in fondo assunti, mai fino in fondo licenziati. Sono in un limbo dal quale rischiano di non uscire mai.

E’ bene allora sottolineare che questa strategia della precarietà non è un incidente di percorso del capitalismo liberista. Essa è il modo concreto con cui si pensa di governare il lavoro nei prossimi decenni. Così come agli inizi del Novecento, con il taylorismo, si scomponeva e si distruggeva l’autonomia della mansione di lavoro, la si spezzettava in modo che potesse essere meglio governata dalle imprese, così oggi si frantuma la vita stessa del lavoratore, se ne prendono dei pezzi e se ne gettano via degli altri. In questo modo il modello tayloristico si estende a tutta l’organizzazione sociale.

Solo se concepiamo la precarietà come un processo globale, possiamo combatterla. La lotta richiede varie dimensioni, a partire dalla solidarietà internazionale e dal rifiuto del modello sociale americano. Il che, tra l’altro, significa rigettare il modello di Europa liberista che si sta costruendo oggi. Bisogna costruire una strategia di inclusione, che coinvolga in primo luogo i migranti e tutte le figure più deboli del mercato del lavoro. Bisogna costruire un nuovo egualitarismo sociale e rivendicativo, che superi le frontiere di azienda e di nazione.

Per fare tutto questo è necessario un profondo rinnovamento nella cultura e nella pratica delle organizzazioni sindacali. Queste ultime non devono rassegnarsi a rappresentare parti sempre più ristrette del mondo del lavoro, ma devono puntare alla sindacalizzazione di tutto il mondo del lavoro. La lotta contro la precarietà, così come è stato per la lotta contro il taylorismo, costituisce dunque il punto di partenza di una nuova strategia del sindacato. Che, a partire dai luoghi di lavoro, si dia l’obiettivo di mettere in discussione l’attacco liberista ai diritti e alla sicurezza sociale delle lavoratrici e dei lavoratori.

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