8 novembre 2002 – ore 18/21 – Fortezza da Basso, sala Ghiaia

Non violenza, disobbedienza e conflitti sociali

Relatori: Alex Zanotelli, Luca Casarini, Heidi Giuliani, Petros Constantinou, Giorgio Cremaschi, Christophe Aguiton

Il seminario, che faceva parte della sezione “Alternative”, ha visto una massiccia partecipazione di pubblico che ha riempito completamente la sala. Questo sia per la presenza di personalità molto seguite, sia a testimoniare quanto questi temi siano sentiti dai partecipanti al Social forum.

Di seguito riportiamo la sintesi dell’intervento di Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom-Cgil.

Giorgio Cremaschi

Il tema di fondo che devono affrontare oggi tutti coloro che si misurano con il liberismo, è quello della indisponibilità che il liberismo stesso ha a mediare e a negoziare le sue posizioni. E’ questa rigorosa incapacità del liberismo di trovare un elemento di dialettica e di mediazione che crea uno spazio naturale anche per la cultura della disobbedienza, perché su diverse posizioni, su un piano di parità si può mediare, discutere, confrontarsi; quando ti vengono dati ordini, soprattutto se sono ordini ingiusti, la prima cosa da fare è disobbedire.

La guerra sicuramente è il primo punto sul quale disobbedire. Siamo di fronte al fatto che questa guerra, se si farà, come purtroppo sembra, avverrà perché l'Onu sarà stata costretta ad accettare un vero e proprio ricatto. Non è libera la decisione di un organismo al quale viene imposto di decidere altrimenti la principale potenza del mondo, gli Stati uniti, decidono che comunque loro agiranno ugualmente: o fai così o faccio da solo. Questa non è libertà. Quindi alla guerra dovremmo opporci.

Ma l'insieme delle decisioni che abbiamo di fronte, con cui ci dobbiamo misurare nella nostra vita quotidiana ha lo stesso schema, di decisioni insindacabili, non negoziabili. Gli Stati uniti sostengono che il loro modello di vita non è negoziabile, per questo non hanno firmato i protocolli di Kyoto.

La Fiat ha chiuso le fabbriche, licenzia i lavoratori senza avere fatto nessuna forma di trattativa sindacale, senza un vero negoziato. Fin dall'inizio sono state disposizioni immodificabili, incontrovertibili. I nostri destini, le nostre condizioni sociali sono determinate in molti casi da scelte che sono considerate dalla stessa politica non modificabili, che non possono essere messe in discussione.

Il presidente della Commissione europea Romano Prodi ha detto che il Patto di stabilità è stupido, però è sulla base di quel patto che lo stesso presidente che lo amministra considera stupido, che noi siamo costretti a decidere magari di tagliare le pensioni, i servizi sociali.

In Italia abbiamo una legislazione sull'immigrazione che è una legislazione vergognosa, parlo della Legge Bossi-Fini. Una legislazione che per la prima volta rende illegali non gli atti delle persone, ma le persone in quanto tali; le persone diventano illegali. Anche questa è una legge contro la quale non ci si può semplicemente opporre, è una legge che bisogna provare a contrastare, rispetto alla quale bisogna provare anche a disubbidire.

Questi esempi li ho fatti per arrivare al nodo della questione: la lotta è sempre una forma di disobbedienza, e d'altra parte però la disobbedienza è anche una forma particolare, specifica, di costruzione dell'iniziativa e della lotta, che si giustifica sempre di più nei momenti nei quali dall'altra parte non c'è nessuna reale disponibilità a discutere, a trattare, a modificare le proprie posizioni. Si tratta solo di imporre dei comandi. Io credo che l'esperienza di questi anni, l'esperienza del movimento di contestazione della globalizzazione, il rapporto tra questo e il movimento sindacale abbiano arricchito tutti, a tutti abbiano dato l'insegnamento di misurarsi, di contaminare, di provare a confrontare le diverse esperienze, le une con le altre.

Già le assemblee che stiamo facendo, le esperienze, la mobilitazione in corso sono una continua contaminazione dei linguaggi, e anche di proposte. Io credo che per questa strada dovremmo andare avanti. Certo, dobbiamo essere chiari, la nostra scelta è quella di una forma nuova di mobilitazione, che si intreccia certo con le radici del movimento operaio, con la storia del movimento operaio, ma che utilizza anche forme diverse dalla storia del movimento operaio. Penso all'idea della non violenza, in particolare della non violenza attiva. Penso che su tutto questo c'è la necessità appunto di mescolare le esperienze, sapendo che nessuno ha la ricetta in tasca, e per quanto riguarda la mia parte, quella del movimento operaio, sapendo comunque che ci sono due scelte di fondo che bisogna fare.

La prima è che noi non possiamo in nessun momento, in nessuna occasione, giustificare con l'arroganza e con la prepotenza degli altri, errori speculari dello stesso tipo da parte nostra. Non possiamo mai essere uguali a coloro che combattiamo.

Secondo, che l'esperienza del movimento operaio insegna che quando invece hai abbandonato questo principio, hai cercato delle scorciatoie, in quelle scorciatoie ti sei perso. Per questo, io credo sia necessario continuare con l'esperienza della crescita di movimenti che costruiscono pratiche nuove, intrecciandole naturalmente con le culture più antiche.