8 novembre 2002 – ore 18/20.30 – Fortezza da Basso, sala Duemila/1

Palestina-Israele: il conflitto, l’Europa, solidarietà attiva per una pace giusta

Coordinatore: Alessandra Mecozzi (Fiom-Cgil)

 

Fra uccidere e morire c’è una terza via: vivere. Così esordisce Luisa Morgantini (europarlamentare Prc), che spiega le ragioni della presenza di israeliani e palestinesi a un dibattito sulla infinita crisi mediorientale, che affonda le sue radici nell’occupazione israeliana e nell’ostinazione a impedire la formazione di uno Stato autonomo palestinese. Ma non è solo per Israele e per il governo Sharon, ricco di forze semplicemente “antipalestinesi”, che Morgantini ha parole dure, ma anche per l’Europa. Quell’Europa, dice, che è per i diritti umani, per l’autodeterminazione dei palestinesi, ma che non trova il coraggio di interrompere le relazioni commerciali con Israele. Che costruisce case e scuole per i palestinesi, e dovrebbe farne pagare a Israele la distruzione.

Colpisce la testimonianza di Itai Rib, giovane obiettore di coscienza israeliano, cha saluta gli amici detenuti nelle carceri israeliane, la cui lotta è tutta in una parola: rifiuto. Rifiuto di occupare la terra in nome della “Grande Israele”. Rifiuto di impedire ai bambini di andare a scuola, agli uomini di andare al lavoro. Rifiuto di negare alle persone la loro dignità. Il nome della sua associazione è “C’è un limite”: il limite a quello che si dice di fare per “ragioni di sicurezza”.

E’ poi Mustafà Barghouti a richiamare tutti sulle realtà del conflitto. Non un conflitto fra due popoli, ma “la lotta di un popolo per la liberazione dall’ultima potenza coloniale, dall’ultimo paese dove esista l’apartheid”. Israele, ci dice, mira alla totale occupazione della Palestina, alla costruzione di un “muro di Berlino” che divida i palestinesi fra loro, e ce lo mostra col coprifuoco che impedisce da mesi di andare a scuola e al lavoro. La realtà della Palestina, dice, è quella di 2000 persone uccise in due anni, della mancanza di acqua, del reddito pro capite che è la ventesima parte di quello israeliano, della polizia che spara sempre per uccidere. Ci invita in Palestina, perché la comunità internazionale conosca la realtà, e chiede il boicottaggio di tutte le merci israeliane. E invita ad aiutare gli israeliani stessi: criticandoli.

L’intervento di Michael "Mikado" Warshavsky ci riporta al rifiuto della “normalità” della morte. “La globalizzazione neoliberista” dice, “ci ha portato a banalizzare la morte”, a credere “normale” la guerra, la fame, la mancanza di medicine. Sarà il vedere tutto il mondo come un qualcosa di proprio a farci sentire parte dei drammi come quelli della Palestina, dell’Iraq, dell’Argentina.

Commovente, infine, l’intervento di Fadwa Barghouti, che ha scelto, di fronte all’incarcerazione di suo marito Marwan, di fare il proprio dovere “di avvocato, di donna, di moglie”, di far capire all’opinione pubblica la gravità della situazione in Palestina. E ci porta col suo racconto ai sequestri, alle uccisioni mirate, alle torture e alla mancanza di assistenza medica in carcere, ringraziando i parlamentari europei che sono andati in Palestina a portare solidarietà, a rompere l’isolamento di un gruppo di persone che, nella loro prigionia, simboleggiano la prigionia di un intero popolo.