Da Porto Alegre a Firenze: un’altra Europa è
possibile Siamo in un'epoca in cui la guerra sembra essere diventata una dimensione costitutiva del mondo e distruttiva di umanità e civiltà, una rottura in un mondo occidentale benestante che per decenni sembrava aver allontanato l'idea della soluzione militare dei conflitti, fino al disarmo e alla riconversione delle produzioni militari. Ma una rottura si è operata anche nella idea della politica come mediazione dei conflitti economici e sociali. E una rottura profonda nel processo di costruzione della democrazia. La scommessa del Forum è mettere in relazione le volontà di costruire nuove strategie, dopo che il Forum Mondiale di Porto Alegre due anni fa aveva lanciato la ricerca di alternative, sottraendosi al solo segno della denuncia e della protesta, scavando nelle ragioni dei conflitti sociali. Si tratta di una sfida alle politiche che hanno lasciato campo libero alla privatizzazione dei beni comuni, come l'acqua, alla insicurezza alimentare, fatta di mucche pazze e di fame nel mondo, allo smantellamento di conquiste di civiltà che hanno segnato il rapporto tra individui e stati in Europa: la scuola, i servizi pubblici, la sanità, le pensioni. Una sfida a chi pensa che nel nuovo «contesto» mondiale, dopo l'orrore
dell'11 settembre si trovi la giustificazione della guerra militare contro le
popolazioni civili, regolatore delle vicende del mondo, che sotto il nome di
guerra al terrorismo, aggredisce diritti e democrazia. Una sfida, a chi sta
costruendo la costituzione europea, a misurarsi con le aspirazioni e le proposte
di quella parte di società civile che vuole nuovi diritti sociali per tutti e
tutte ed esige vincoli democratici. Questa sfida è fondata sulla determinazione
di migliaia di uomini e donne ad incontrarsi da tutti i paesi d'Europa, per
confrontare idee e proposte, aspirazioni e alternative possibili, invenzioni e
rifiuto dell' omologazione sociale e culturale al «modello americano». La volontà di ascolto, l'attrazione che il forum europeo ha esercitato diffusamente hanno portato in primo piano anche temi, di grande interesse, che rischiavano la marginalità: valga per tutti quello delle religioni oggetto di diversi seminari e di una «finestra sul mondo» relativa al loro ruolo nella critica della globalizzazione: cristianesimo, ebraismo, islam e buddismo, si misureranno su un terreno originale e vicino alle società e al tempo in cui viviamo. Su tutt'altro versante, analogo solo per radicalità, diverse voci e soggetti femministi si confronteranno in spazi diversi, sui temi della politica, della cittadinanza, del lavoro e del sindacato, della democrazia, della guerra e della pace. Si proverà a rileggere storia, cultura, pratiche alla luce dello «stato del mondo», confrontandosi, forse per la prima volta in una dimensione europea così molteplice: in uno spazio di movimento che, pur segnato da modalità caratteristiche del movimento e delle pratiche femministe (lavoro di rete, rifiuto delle decisioni a maggioranza e politica del consenso,…) si esprime spesso con «rappresentanze» fortemente maschili, per genere e cultura politica. Lo spirito di Porto Alegre, conflitti e alternative, connessione tra soggetti diversi, animerà le conferenze e i tanti seminari contro le privatizzazioni e per diversi servizi sociali, primi tra tutti quelli della sanità e dell'istruzione, con una partecipazione significativa di studenti e studentesse. Vivrà anche nei temi del lavoro globalizzato e della frammentazione sociale, con una molteplice presenza sindacale: dalla Confederazione Europea dei sindacati ai diversi sindacati italiani ed europei «di base»: storie e scelte a volte opposte, ma con il sentimento comune della necessità di politiche antiliberiste, già espresso dalla forte ripresa del conflitto sociale, in Spagna, come in Italia, in Francia, come in Germania e in Portogallo. Ci saranno lavoratori della Volkswagen e della Fiat, con il peso della loro resistenza allo smantellamento della più grande fabbrica italiana della lotta per il lavoro, insieme a rappresentanti sindacali fin dalla Siberia e dal Kazakhistan: piccoli e grandi laboratori sociali sui temi del lavoro, della democrazia, delle esperienze di lotta contro le multinazionali o di faticosa costruzione di un sistema di contrattazione collettiva, che all'ovest il liberismo vuole annullare. Il progetto e il desiderio di un mondo senza guerre avrà al centro l'analisi del nuovo disordine mondiale dominato dal potere economico e politico degli Usa, ma anche l'affermazione di libertà di popoli in lotta: come in Palestina, in Kurdistan, in Cecenia insieme alla domanda di una assunzione di responsabilità dell'Europa, che rischia di diventare un'isola infelice e una fortezza ostile, nel mare della globalizzazione, per una politica di giustizia, di pace e di accoglienza verso altri paesi e continenti, dal mediterraneo e Africa, all'Irak e Afghanistan, verso l'America latina. Perciò verrà posto con forza il diritto a migrare e a richiedere asilo e la volontà di un rapporto con l'altra sponda del Mediterraneo che faccia tesoro di risorse naturali, economiche e culturali, su un piano di riconoscimento reciproco sotterrando la storica «vocazione» coloniale europea. All'idea istituzionale di Unione Europea «allargata», all'immagine della
lista d'attesa per i paesi dell'Europa dell'est, si oppone l'idea di un'Europa
«aperta» che guarda agli altri continenti e, vuole conoscere come è vista con
occhi africani, asiatici, dell'altra sponda del Mediterraneo, latinoamericani.
Lo spirito inventivo di Porto Alegre animerà le sessioni delle alternative (non
violenza - disobbedienza- conflitti sociali, economia sociale e pubblica,
democrazia partecipativa) e quelle dei dialoghi (con i partiti, le istituzioni,
sulle lotte sindacali e movimenti). Al di là di becere campagne giornalistiche, di intimidazioni governative, di cupi pronostici, possiamo leggere questo evento come una grande speranza, che animerà l'assemblea dei movimenti sociali del giorno 10: quella che dall'ostinato lavoro fatto insieme da tante e tanti diversi, da nuove personalità o da "senza voce", dagli oltre 20.000 che si incontreranno a Firenze, prendano forza le radici di una buona politica fatta dalle teste e dai corpi di donne e uomini che scelgono in primo luogo di esercitare la propria responsabilità individuale nella costruzione di una Europa diversa, cominciando dalla tessitura di relazioni e legami sociali forti tra coloro che in questo continente vivono. * responsabile internazionale Fiom, gruppo di lavoro Fse
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