Riportiamo
qui un articolo in via di pubblicazione su Rassegna sindacale n.43,
scritto da Morena Piccinini, segretaria confederale Cgil, all'indomani
dell'approvazione da parte del governo del Testo unico sulla previdenza
complementare Il
governo si era ripromesso di applicare solo le parti apparentemente più
facili e di effetto della
delega previdenziale, in particolare il bonus per chi posticipa la
pensione di anzianità, già in vigore, e la previdenza complementare,
per poter dire in Europa che ha fatto la "grande riforma". E
invece tutto gli è scoppiato in mano e la grande riforma è ritornata
ad essere quello che era fin dall'inizio: un grande pasticcio nel quale
è rimasto sepolto il governo medesimo. Il 1° luglio erano tutti
tranquilli, i ministri all'unanimità, le assicurazioni, le banche... lo
schema di disegno di legge andava bene a tutti costoro, tutti
interessati a mettere le mani sul TFR dei lavoratori e a renderlo un
grande patrimonio a disposizione dei mercati. Le 23 associazioni, tra le
quali sono state determinanti le organizzazioni sindacali confederali,
hanno fatto saltare il banco dimostrando che quell'impianto era
inaccettabile per lavoratori
e imprese e, nel momento in cui il ministro Maroni ha dovuto accettare
buona parte delle modifiche proposte, è successo il pandemonio rendendo
evidente come tutti costoro, dalle assicurazioni a chi fa politica col
perenne conflitto
d'interessi, non fossero disponibili ad accettare alcuna modifica
sensata che avesse a riferimento anche l'interesse dei lavoratori anziché
l'esclusivo interesse dei mercati finanziari e speculativi. Per
questo il governo, la settimana scorsa, ha preso la decisone
più assurda tra le tante che poteva prendere. Non potendo più
cambiare radicalmente il testo di Maroni, e non volendo prendere le
distanze dalle pretese delle assicurazioni, ha di fatto posticipato di
due anni l'entrata in vigore del decreto, con somma gioia di Tremonti
che così risparmia anche i 600 milioni di euro promessi per le
compensazioni alle imprese ed evita una sanzione europea per il fondo
per l'accesso al credito delle imprese che facilmente si configura come
aiuto di stato. Soprattutto si è scaricato sul futuro governo l'onere
di far quadrare tutti questi tasselli impazziti e di trovare risorse
nuove. In
questo enorme pasticcio noi possiamo dire di avere la soddisfazione di
aver rimandato a casa del governo una polpetta avvelenata, il decreto
del 1° luglio, della cui pericolosità pochi si erano accorti e di aver
svelato quante e quali speculazioni
finanziarie si preparavano sulla pelle dei lavoratori. Abbiamo
ottenuto cambiamenti sostanziali al testo originale, ripristinando il
valore della contrattazione collettiva
e rendendo più trasparente e garantita per i lavoratori
la procedura del silenzio-assenso, mentre confermiamo che
rimangono parti da noi non
condivise come la disciplina fiscale e quella sui riscatti. Abbiamo,
inoltre, reso evidente la grande paura che hanno le assicurazioni a
confrontarsi realmente con il sistema dei fondi negoziali: se entrare
nel sistema vuol dire sottostare alle medesime regole, per il momento
per loro è meglio starne fuori perché in tempi brevi non sono in grado
di modificare i loro prodotti per rientrare nelle regole comuni, meglio
confidare in cambiamenti ulteriori della normativa e avere comunque più
tempo a disposizione , se proprio saranno costretti ad adeguarsi. Il
sindacato non deve avere paura delle assicurazioni: a testa alta
dobbiamo rappresentare ai lavoratori cosa abbiamo fatto in questi mesi e
soprattutto utilizzare il tempo a disposizione per accrescere la
conoscenza, la fiducia e l'adesione ai fondi negoziali. Se
abbiamo sempre detto che per noi il semestre del silenzio assenso doveva
significare fare in modo che tutti i lavoratori fossero informati ed
effettuassero una scelta esplicita di adesione alla previdenza
complementare di natura contrattuale, questo impegno va rinnovato a
prescindere dalla entrata in vigore del decreto medesimo. Perché la
cosa più sbagliata sarebbe se anche noi avvalorassimo nei fatti ciò
che alcuni giornali hanno sostenuto all'indomani della decisione del
governo, ossia che i lavoratori sarebbero penalizzati e perderebbero due
anni di futura pensione integrativa. Ma ciò avverrebbe
solo se si volesse destinare il TFR a fondi bancari o ad
assicurazioni, cioè a forme previdenziali che noi di certo non
riteniamo più vantaggiose. Bisogna riaffermare che la previdenza
complementare c'è, è una realtà positiva per oltre un milione dei
lavoratori dipendenti, gli attuali strumenti offerti dalla
contrattazione non hanno nulla da invidiare ad ogni altro strumento sul
mercato finanziario, anzi bisogna far presto per fornire questo
strumento anche ai lavoratori che ancora ne sono privi, a partire dai
pubblici dipendenti. Il
decreto avrebbe dato alcune possibilità importanti, dalla informazione
capillare sul sistema previdenziale alla possibilità di destinate tutto
il TFR, anche per coloro che oggi possono impiegare solo la quota
fissata contrattualmente, alla compensazione per le imprese e
conseguente minor resistenza delle medesime a mettere a disposizione il
TFR dei dipendenti, ma il posticipo di queste novità non è di
impedimento alla adesione volontaria
ai fondi negoziali, in modo che ognuno
cominci a costruirsi un importante risparmio previdenziale.
Quindi
occorre che ci impegniamo da subito
ad avviare una grande
campagna di adesione e di informazione, la stessa che avremmo fatto se
il decreto fosse entrato in vigore ora. Morena
Piccinini Roma,
28 novembre 2005 |