Quello che qui pubblichiamo è il Documento comune sottoscritto da sindacati e imprese presentato al ministro Maroni nell'incontro del 25 luglio. Il Documento, sottoscritto da 21 sigle, si concentra in particolare su 5 punti:

1) no all'equiparazione tra fondi negoziali e le altre forme previdenziali; 2) che nel meccanismo di silenzio-assenso abbiano un ruolo centrale le rappresentanze aziendali; 3) le compensazioni alle imprese nel momento in cui queste non avessero più a disposizione le risorse derivanti dal tfr (13 mld annui); 4) il rispetto del ruolo contrattuale delle previdenza complementare; 5) agevolazioni fiscali.

 

Documento delle parti sociali sullo schema di provvedimento di attuazione della riforma della previdenza complementare

Premessa

Lo schema del provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri il 1° luglio propone, in più passaggi, interventi per la revisione del sistema di previdenza complementare  non rispondenti alle soluzioni prospettate dalle parti sociali nel documento comune sottoscritto lo scorso febbraio e per di più non conformi ai principi di delega.

La condivisione  con le forze sociali delle scelte e del sistema di previdenza complementare che si va a configurare è invece essenziale per assicurare l’effettiva attuazione della riforma e lo sviluppo del sistema.

 

L’assetto del sistema di previdenza complementare

Lo schema di provvedimento ridefinisce completamente il sistema, disconoscendo per più profili la centralità fino ad oggi attribuita dalla normativa speciale alla dimensione contrattuale e collettiva della previdenza complementare.

L’equiparazione tra forme di natura collettiva e forme di natura individuale rende la previdenza complementare non coerente con le caratteristiche proprie del rapporto di lavoro dipendente e si realizza a scapito del ruolo e delle competenze della contrattazione collettiva.

L’assetto strutturale adottato dal decreto legislativo 124/93, va riconfermato e non vanno modificati, perché non previsti esplicitamente dalla Legge Delega 243/04 istituti che regolano diritti ed opportunità per i lavoratori e le imprese.

Riteniamo, ad esempio, non accettabile la limitazione dei diritti per gli aderenti ai fondi in materia di anticipazioni e di riscatto della posizione individuale in occasione di cessazione del rapporto di lavoro; modifiche normative che vanno ad incidere non solo sulla condizione dei nuovi aderenti ma anche sul contratto stipulato con il fondo di adesione dai lavoratori già iscritti.

Tali scelte costituiscono una compromissione del sistema di relazioni industriali.

 

Il conferimento del TFR e il meccanismo del silenzio - assenso

Nel documento di febbraio, le parti sociali avevano considerato necessaria la scelta di utilizzare il TFR per rafforzare il finanziamento del sistema di previdenza complementare ma avevano altresì chiesto che le modalità di destinazione dei flussi, soprattutto in caso di conferimento tacito, venissero definite in maniera chiara. Solo in questo modo, infatti, è possibile assicurare al lavoratore una informativa adeguata a garantire la consapevolezza della scelta che – sia pure tacitamente – andrà a compiere.

Riguardo alla soluzione di affidare comunque alla contrattazione collettiva la decisione ultima circa la destinazione del TFR per i lavoratori “silenti”, resta importante eliminare ogni dubbio circa il fatto che, in caso di pluralità di forme potenzialmente in grado di acquisire i flussi di TFR, la decisione venga assunta mediante accordi tra datori di lavoro e rappresentanze sindacali dei lavoratori. Il termine “parti” utilizzato nel testo di decreto resta infatti equivoco non identificando con certezza il soggetto o i soggetti abilitati al raggiungimento dell’accordo.

Per analoghi fini di chiarezza, è altresì opportuno che, nel disciplinare la destinazione dei flussi alla forma complementare istituita presso l’INPS, venga eliminata la condizione del “mancato accordo tra le parti”: fattispecie che – anche alla luce di quanto indicato nei punti precedenti – non ha alcun rilievo, in virtù del fatto che il trasferimento del TFR verso il fondo residuale opera solo in caso di assenza di una forma pensionistica collettiva promossa dalle rappresentanze sindacali e dai datori di lavoro.

 

Gestione del fondo pensione complementare istituito presso l’INPS

Le parti sociali ribadiscono la necessità che il Fondo da istituire presso l’INPS ai fini della devoluzione del TFR non altrimenti destinato sia sottoposto a regole gestionali identiche a quelle esistenti nella previdenza complementare di natura negoziale a partire dal coinvolgimento delle parti sociali medesime.

 

Le misure di compensazione per le imprese

Il conferimento del TFR, secondo quanto espressamente previsto dalla legge delega, deve avvenire “senza oneri per le imprese” ed è pertanto la stessa legge a stabilire che esso sia subordinato alla individuazione di misure compensative, prefigurate nelle seguenti forme:

- facilitazione in tema di accesso al credito, in particolare per le piccole e medie imprese;

- equivalente riduzione del costo del lavoro;

- eliminazione del contributo al fondo di garanzia del TFR.

Su tale aspetto, il provvedimento prevede:

- l’innalzamento al 4% (6% per le imprese con meno di 50 addetti) della aliquota di deducibilità dal reddito di impresa dei flussi di TFR destinati alla previdenza complementare;

- l’esonero dal versamento del contributo al fondo di garanzia istituito presso l’INPS, in proporzione al flusso di TFR destinato alla previdenza complementare;

- l’istituzione di un fondo di garanzia per facilitare l’acceso al credito da parte delle imprese, in particolare medie e piccole.

 

Tali misure non costituiscono, nel loro complesso, una soluzione soddisfacente.

Quanto al fondo di garanzia per l’accesso al credito, infatti, restano non definite le modalità di funzionamento e quindi la effettiva capacità di intervento; si rende necessario costruire apposite misure di garanzia in grado di assicurare operatività immediata e trasparenza affidando la gestione a strutture già operanti con efficienza nell’erogazione di garanzie di natura pubblica. La deducibilità dal reddito di impresa, poi, elevata di appena un punto percentuale rispetto a quanto già oggi disposto, oltre a non avere un impatto finanziariamente rilevante per le aziende, ha anche il vistoso limite di non trovare applicazione per le realtà produttive che non conseguano utili o che producano redditi diversi da quelli di impresa.

E’ invece necessario che le compensazioni siano certe e fruibili da tutte le imprese, indipendentemente dalle dimensioni, dal settore e dallo stato di salute. A tal fine, in considerazione della importanza di assicurare il conferimento del TFR al sistema di previdenza complementare in condizioni di neutralità economica per le aziende, è essenziale dare corso al principio di delega che prevede compensazioni mediante forme di “riduzione del costo del lavoro”.

 

La destinazione del contributo dovuto dal datore di lavoro

Lo schema di provvedimento prefigura a carico dei datori di lavoro l’obbligo a versare il contributo previsto da contratti o accordi istitutivi di forme negoziali collettive qualunque sia la forma di adesione scelta dal lavoratore, seppure non collegando in modo automatico il conferimento del TFR al contributo del lavoratore e del datore di lavoro.

Le parti sociali rilevano come, contrariamente a quanto richiesto nel citato documento comune, lo schema del provvedimento disconosca la natura contrattuale del contributo. Ciò avviene nelle seguenti fattispecie:

- ove si afferma espressamente che le misure fissate nei contratti o accordi collettivi istitutivi di forme di previdenza complementare rappresentano il “livello minimo della contribuzione”;

- ove si consente ai datori di lavoro di decidere autonomamente di finanziare forme di previdenza complementare cui il lavoratore decida di aderire, fissando liberamente la misura dei versamenti,  attraverso regolamenti aziendali posti sullo stesso piano della contrattazione collettiva;

- ove si stabilisce che, nel caso in cui il lavoratore decida di finanziare con parte della propria retribuzione una forma di previdenza complementare diversa da quella promossa dai contratti o accordi collettivi, i datori di lavoro nei confronti dei quali trovino applicazione detti contratti o accordi siano obbligati a versare il contributo contrattualmente dovuto alla forma prescelta dal dipendente;

- ove si stabilisce che, nel caso in cui il lavoratore, decorso il periodo minimo di permanenza richiesto, decida di trasferire ad altra forma la propria posizione individuale, lo stesso conservi il diritto al versamento del contributo aziendale previsto dai contratti o accordi collettivi.

Tutte le fattispecie sopra indicate negano palesemente la natura contrattuale della contribuzione, che finisce per essere impropriamente assimilata ad una sorta di elemento “retributivo”. La fissazione del livello di finanziamento delle forme di previdenza complementare e la sussistenza dell’obbligo di contribuzione a carico del datore di lavoro sono invece elementi essenziali della contrattazione.  

Per tali motivi, le parti sociali non possono condividere una simile significativa ingerenza, che finisce con l’affidare a disposizioni di legge la regolazione di elementi qualificanti del contenuto dei contratti e degli accordi istitutivi di forme di previdenza complementare.

In tale sede, pertanto, le parti sociali confermano la loro competenza a definire in autonomia i livelli di contribuzione e ribadiscono la loro disponibilità a regolare, in sede contrattuale, la “portabilità” del contributo datoriale a favore di forme pensionistiche anche diverse da quelle istituite dalla medesima contrattazione, che, nello spirito “collettivo” della previdenza complementare, adottino adeguate regole di trasparenza e modalità di gestione coerenti con i criteri di governance definiti d’intesa con le parti sociali stesse.

 

Le regole di governance e trasparenza

In un sistema di previdenza che intenda valorizzare la libertà del lavoratore di scegliere la forma complementare cui aderire, è essenziale assicurare standard di trasparenza uniformi ed in grado di garantire la adozione di scelte consapevoli.

Le parti sociali ritengono necessario determinare un effettivo allineamento degli standard di informazione e trasparenza delle polizze assicurative con finalità previdenziale a quelli già in vigore per i fondi pensione.

Parimenti, anche rispetto all’impegno per impedire che i meccanismi di caricamento dei costi iniziali da parte di alcuni operatori di fatto ostacolino o pregiudichino l’esercizio del diritto al trasferimento o al riscatto della posizione individuale, si rileva che tale misura non rimuove le differenze di costi e di trattamenti che gravano sugli aderenti alle diverse forme di previdenza complementare.

E’ altresì necessario che tutte le forme complementari chiamate a gestire i flussi di TFR dei lavoratori dipendenti prevedano la unicità dei sistemi di governance.

Su questo punto è oggetto di valutazione molto critica la scelta in tema di composizione dell’organismo di sorveglianza nei fondi pensione aperti di natura collettiva. Le modalità proposte nel testo del decreto - vale a dire la designazione, in modo diretto ed autonomo, da parte delle stesse società istitutrici dei fondi aperti – oltre a non poter palesemente costituire una valida risposta alle esigenze di tutela e partecipazione di aziende e lavoratori, non sono nemmeno in linea con le previsioni contenute nella legge delega. Tale legge, infatti, richiama espressamente i criteri dettati per gli organi collegiali dei fondi pensione negoziali e quindi impone il rispetto del principio di pariteticità tra rappresentanti dei datori di lavoro e rappresentanti degli iscritti, e, per la nomina di questi ultimi, l’applicazione del metodo elettivo.

E’ pertanto essenziale che il decreto delegato attui tali principi in modo corretto ed integrale. .

 

La disciplina fiscale

Le proposte in materia di riforma della disciplina fiscale intendono realizzare un complessivo regime di favore per il risparmio destinato a finalità previdenziali. Tale obiettivo va quindi consolidato. E’ tuttavia necessario che gli interventi si concentrino su quelle soluzioni effettivamente in grado di favorire l’accumulo di risorse.

A questo fine, si ribadisce la necessità che le misure fiscali, anche in base ai principi contenuti nella delega prevista dalla legge 243/04, operino prioritariamente sui seguenti punti:

- una revisione del regime di deducibilità dei contributi previdenziali, ripristinando, accanto al limite in misura fissa di 5.164,57 euro, il limite in misura percentuale del reddito complessivo e prevedendo l’applicazione del regime più favorevole al lavoratore;

- l’abrogazione dell’imposta sostitutiva sui rendimenti delle forme pensionistiche complementari in ragione della finalità previdenziale, in analogia alla gran parte dei regimi fiscali della previdenza complementare esistenti nell’UE;

- l’assoggettamento delle prestazioni pensionistiche complementari ad un sistema di aliquote privilegiate che tenga conto della progressività fiscale, armonizzando il quadro normativo.

Anche in considerazione della “stratificazione” della normativa fiscale realizzatasi in questi anni e dell’aggravio di oneri gestionali che ne è conseguito, le parti sociali ribadiscono la essenzialità che il nuovo intervento normativo tenga conto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti amministrativi e burocratici, sia per i fondi che per i lavoratori e per le imprese.

 

Il sistema di vigilanza

Pur in presenza delle modifiche che stanno caratterizzando il percorso del disegno di legge sulla riforma del risparmio, le parti sociali ribadiscono la necessità di concentrare in capo alla COVIP, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, i poteri di vigilanza su tutte le forme di previdenza complementare, rafforzando i profili di autonomia nell’esercizio della vigilanza, rendendo la COVIP un’ autorità effettivamente rispondente al pari delle altre con le quali è chiamata ad interloquire.

Tutte le forme pensionistiche complementari, comprese quelle individuali (attivate mediante adesione a fondi aperti o mediante stipula di contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale) dovranno ottenere un’autorizzazione specifica, da parte della COVIP, al fine di acquisire quote di TFR, sia individualmente che collettivamente.

La campagna di comunicazione e di informazione

In relazione a quanto prospettato dal Ministro del Lavoro in occasione degli incontri passati, si auspica che venga quanto prima avviata la discussione sulle modalità e sui contenuti dell’informazione preliminare alla decorrenza del semestre in cui i lavoratori saranno chiamati a decidere circa il conferimento del TFR.

Non v’è infatti dubbio che, accanto alla Covip, cui è stato ora assegnato un ruolo centrale nella predisposizione della campagna di informazione, sarà determinante il contributo di altre istituzioni, delle associazioni di rappresentanza e degli operatori tutti.

Le parti sociali si dicono fin d’ora disponibili al confronto, reputando tuttavia imprescindibile che vengano chiaramente definite le norme di funzionamento del sistema. Nessuna campagna informativa, per quanto attenta e capillare, potrà infatti garantire la piena libertà, consapevolezza ed autonomia delle scelte da parte del lavoratore ove non si attivi in attuazione di un sistema di regole semplici e chiare, soprattutto laddove – come nel caso del silenzio-assenso – dette scelte possano avvenire in forma tacita.

Sui principi richiamati verranno presentate le proposte di modifica al testo che verranno illustrate nel corso del prossimo incontro

 

Roma, 22 luglio 2005