Sulla
nuova versione provvisoria dello schema di Decreto previdenziale Il
12 settembre il ministro Maroni ha consegnato alle parti sociali la
versione emendata del “Provvedimento di attuazione della Delega in
materia di previdenza complementare”, versione che ha recepito parte
delle osservazioni contenute nel documento prodotto dalle parti sociali. Sul
documento presentato dal Ministro del Welfare le parti sociali si sono
riservate di esprimere una valutazione. Per costruire questa valutazione
Qui
diamo conto in sintesi di alcuni contenuti di questa riunione.
Va ricordato che è intenzione del governo portare a conclusione il
provvedimento con il Consiglio dei ministri del 30 settembre, tenuto
conto che i tempi legislativi utili all’approvazione del provvedimento
scadono il 6 ottobre p.v. Anche
in questa occasione, come in altre precedenti, il carattere provvisorio
dello Schema di Decreto, ancora soggetto a variazioni, rende poco utile
entrare nel dettaglio dei meccanismi dell’articolato legislativo,
spesso complessi, proprio perché questi sono soggetti a rapidi
cambiamenti. Ci limitiamo quindi a considerazioni e informazioni
di carattere generale. Non
vi è dubbio che In questo contesto travagliato si è realizzato nel mese di febbraio ’05 un fronte comune di organizzazioni sociali che si è unitariamente opposto alle soluzioni prospettate dal governo, fronte che ha raccolto le proprie proposte in un “Avviso comune”, poi attualizzato nel mese di luglio sulla base delle nuove proposte governative. La nuova versione dello Schema di Decreto legislativo ha recepito molte delle le osservazioni avanzate dalle parti sociali, ma restano ancora punti importanti irrisolti e non condivisibili. Per
una corretta valutazione dello stato di attuazione del provvedimento
occorre tener conto del contesto entro cui questo si è venuto
realizzando. Non va infatti dimenticato che le organizzazioni sindacali,
e tra queste Da questo punto di partenza, visto il rifiuto al dialogo da parte del governo nei confronti delle parti sociali, la battaglia si è spostata sui Decreti attuativi della Delega, una battaglia che si è svolta e si continua a svolgere su un terreno avverso (anche perché nel frattempo il mondo delle assicurazioni si è mobilitato per veder adeguatamente rappresentati nella legge i propri interessi). Si tratta quindi ora di verificare se, una volta giunti alla versione definitiva del provvedimento, sussistano le condizioni minime per ritenere accettabile una riforma che certo non potrà lasciare pienamente soddisfatti. Potranno quindi, come già si sta facendo, essere cambiati gli aspetti negativi più macroscopici, sapendo che la battaglia non è ancora terminata e che, tra l’altro, l’intervento delle Commissioni parlamentari potrebbe modificare ancora il segno del risultato finale. Tra i risultati positivi ottenuti quello più importante è sicuramente rappresentato dal fatto di aver rimesso al centro del provvedimento la contrattazione (sia a livello nazionale che aziendale). Si è riusciti cioè a modificare la precedente versione del Decreto che voleva per la previdenza complementare soluzioni che si venivano a trovare fuori dell’ambito della contrattazione tra le parti, con il rischio che se, ad esempio, il lavoratore non avesse espresso la propria volontà (tacito assenso) circa la destinazione del Tfr, sarebbe stato il datore di lavoro a farlo. Quindi, le parti sociali hanno compiuto uno sforzo unitario per veder riconosciuto – come era negli accordi originari all’atto dell’istituzione della previdenza complementare – la centralità della contrattazione nell’esercizio della previdenza complementare. Ciò significa, ad esempio, che se nelle precedenti versioni del Decreto si profilava una situazione per cui il contributo del lavoratore iscritto al Fondo pensione (e quello del datore di lavoro) era trasferibile dopo un certo tempo a forme assicurative previdenziali diverse da quelle negoziali, ora tale passaggio è soggetto ad accordi tramite contrattazione collettiva nazionale o aziendale. Quindi, si è realizzato un recupero in termini di priorità da parte dei fondi negoziali e un recupero delle sedi contrattuali. Di una certa importanza il fatto che nel testo governativo sia preventivata una spesa per il 2005 di 17 milioni di euro per campagne informative tese a promuovere adesioni consapevoli e che l’impresa sia impegnata a informare i lavoratori delle diverse scelte che questi hanno facoltà di operare nei sei mesi al termine dei quali scatta il silenzio-assenso.. Vi sono però, come ricordato, diversi punti non condivisibili, su cui si sta cercando di ottenere cambiamenti. Si tratta, ad esempio, del regime fiscale che si vuole adottare sulle somme soggette a riscatto (montante accantonato). Si vuole cioè adottare un’ (accattivante) aliquota al 15% (con possibilità di ridurla fino al 9%), creando una diversità con il prelievo sulla previdenza pubblica, oggi tassata al 23%. Si tratta, per il governo, di una soluzione di comodo in quanto gli effetti delle sue “generose” proposte si avrebbero effetti solo alla lunga, dopo il 2020, sarebbero cioè a carico di un futuro governo, mentre la richiesta delle parti sociali è quella di ridurre ora (magari gradualmente) la tassazione sui rendimenti finanziari delle somme investite nei Fondi (la tassazione è oggi all’11% e se ne chiede da anni l’abbassamento o l’eliminazione, in quanto si tratta di rendimenti con finalità previdenziale e non speculativa). Altro punto non condivisibile è quello che impedisce al lavoratore che cessa o cambia la sua attività lavorativa (prima del raggiungimento dell’età pensionabile) di riscattare le somme versate (come ancora oggi è possibile). Il provvedimento vorrebbe imporre un tempo di almeno 12 mesi di attesa (dalla data di cessazione del rapporto di lavoro), se inoccupati, per ritirare il 50% di quanto versato e di 48 mesi per ritirare la totalità di quanto versato (a meno che finito un lavoro non se ne sia iniziato un altro e si siano quindi trasferite le somme accantonate da un Fondo a un altro). Si tratta di una soluzione che forse corrisponde ai bisogni delle assicurazioni che necessitano di clienti che versino su tempi lunghi. Su questo punto dolente vi era stato un impegno pubblico del Ministro a modificarlo, ma, al momento, tale modifica non compare nel testo legislativo. Rispetto ai punti positivi e negativi richiamati restano importanti zone grigie, come: 1) quella rappresentata dalle soluzioni da adottare per compensare le imprese in termini di minor costo del lavoro per la messa a disposizione del Tfr. Confindustria, dal canto suo, nella giornata del 14 settembre ha dato mandato a proseguire il confronto sulla riforma del Tfr ricordando che deve esserci piena con testualità del varo della riforma con l’operatività dei meccanismi di compensazione e di accesso al credito (oggetto ancora di una trattativa tra Maroni e Abi); così come deve esserci piena definizione e certezza del funzionamento del Fondo di garanzia. 2) In secondo luogo tutti gli aspetti di trasparenza, di equiparazione e di governance dei diversi soggetti ammessi a partecipare alla previdenza complementare sono demandati alla Commissione di vigilanza (Covip) e non al Decreto attuativo, quindi verrebbero affrontati in un secondo momento da una struttura che a giudizio dei più appare oggi inadeguata, scarsamente attrezzata, ad affrontare questi ed altri compiti (andrebbe quindi rafforzata). N.B.:
Per completezza d’informazione rinviamo al sito Internet della Cgil
(Sezione “Dipartimento Welfare”), dove alla data del 15 settembre è
possibile trovare la dichiarazione della Segretaria confederale Morena
Piccinini sugli aspetti sopra richiamati. |