Se la prudenza è troppa

Articolo di Gianni Ferrante pubblicato su “Rassegna sindacale” n. 12, 31 marzo 2004

 

Il sindacato ha deciso in modo unitario di andare allo sciopero generale il 26 di marzo anche per respingere i tentativi governativi di stravolgere l’assetto delle pensioni. Per chi in particolare si occupa delle pensioni integrative è fondamentale che non venga alterato il quadro di riferimento su cui è stato costruito nel corso degli anni ‘90 il secondo pilastro previdenziale (recepito dai contratti di lavoro), per il quale è stata chiesta l’adesione ai lavoratori.

Più volte nel corso di questi ultimi anni è stata ribadita la differenza sostanziale tra una previdenza privata che integra quella pubblica, in un rapporto equilibrato, rispettoso della riforma Dini, e i ripetuti tentativi governativi di sbilanciare un corretto rapporto tra primo e secondo pilastro sempre più a favore di forme previdenziali private e a carattere individuale.

In nome della libertà di mercato (e degli interessi delle assicurazioni) si è comunque fatta strada l’idea di un’equiparazione tra fondi negoziali di categoria, fondi aperti e forme previdenziali individuali. Rispetto a tale prospettiva non possono essere né sottaciute né sottovalutate le profonde differenze che intercorrono tra la previdenza integrativa di tipo negoziale e le altre forme richiamate, sia in termini di trasparenza che di strumenti di controllo democratico, che di costi per l’aderente.

L’adozione del multicomparto da parte dei fondi negoziali, ovvero la possibilità da parte di un aderente di scegliere tra più profili di investimento, costituisce un’importante novità e un passo in avanti nel percorso di crescita della previdenza integrativa di categoria. Consente un’offerta più flessibile, più mirata alle esigenze individuali, ma la sua adozione ha anche aperto problemi nuovi.

La fase negativa dei mercati finanziari vissuta tra l’inizio del 2000 e i primi mesi del 2003, ha infatti posto in evidenza i rischi insiti in una forma di risparmio previdenziale che partecipa, seppur con criteri prudenziali, al mercato dei titoli. E’ stato così sollevato il problema di “garantire” in qualche modo agli associati un rendimento, ponendoli al riparo da possibili perdite.

Sulla cosiddetta garanzia finanziaria le assicurazioni hanno avuto fino a oggi pochi prodotti da offrire e quindi una relativa esperienza accumulata. Questo anche perché all’adozione di una garanzia corrisponde un costo per l’associato, costo che spesso ne limita fortemente la convenienza. Inoltre esistono profili d’investimento alternativi (privi, ad esempio, di titoli di capitale), con tali requisiti di prudenza che, seppur privi di una vera garanzia contrattuale, finiscono in sostanza per offrire risultati pressoché sicuri senza aggravio di costi.

Cometa, il più grande dei fondi integrativi dei metalmeccanici, ha recentemente adottato il multicomparto (da realizzare praticamente entro il 2004), e ha individuato quattro profili d’investimento (con una crescente gradualità di rischio/rendimento), tra cui uno garantito. Se nulla vieta che l’offerta di un fondo contempli un comparto basato su una garanzia finanziaria, va sottolineato che questa va intesa come una delle opzioni possibili, non necessariamente la più conveniente in assoluto per l’associato (neanche per quello prudente).

Lo sviluppo dei fondi pensione negoziali, attraverso l’attività dei Consigli di amministrazione, ha comportato un accumulo di esperienze e quindi il progressivo affinamento delle tecniche di gestione (finanziaria), in modo da tenere conto delle diverse esigenze della platea degli iscritti. Non va infatti dimenticato che una parte di essi, per età, professione e condizione di reddito, aspira a ricercare – pur nella logica prudenziale di un fondo pensionistico – rendimenti più alti (che esulano quasi per definizione da garanzie).

Quindi, una scelta aprioristica in favore di forme di garanzia (che sono comunque a pagamento), magari pensando a una loro generalizzazione, non rappresenta l’indicazione più conveniente per l’aderente e può, per altro verso, comportare, se così venisse intesa, una sorta di deresponsabilizzazione del fondo, che deve essere invece costantemente impegnato nell’autonoma ricerca di soluzioni selettive, innovative ed efficaci. Paradossalmente la suggestione di una garanzia generalizzata, ancorché impraticabile, finirebbe per ridurre il ruolo della previdenza integrativa, per limitare lo sviluppo di quella democrazia economica (e finanziaria) che molti auspicano da tempo.

Come si è cercato di argomentare i fondi, e innanzitutto i Consigli di amministrazione, sono impegnati nell’adozione di strumenti che sempre più siano in grado di offrire agli aderenti soluzioni personalizzate e flessibili, sia per chi abbia forti motivi di avversione al rischio sia per chi mostri disponibilità a ricercare rendimenti più elevati. Di conseguenza la categoria della garanzia, rappresenta un titolo generale - non certo un automatismo che sia possibile generalizzare - sotto cui si trovano molte diverse soluzioni e alternative possibili, riferibili, ad esempio, sia all’intero patrimonio versato dal contribuente, sia ad archi di tempo circoscritti, sia limitati a determinati e predefiniti eventi. Oltretutto il fatto che non sembra più minacciata dalle intenzioni del governo la libertà di scelta da parte del lavoratore circa la destinazione del proprio Trattamento di fine rapporto (Tfr) non fa del tema della garanzia il principale dei problemi per il futuro della previdenza integrativa.

Gianni Ferrante (coordinatore nazionale Fiom fondi pensione)