Previdenza complementare: un intervento e una risposta

Intervento presentato dall'area LSCR all'attivo dei delegati su COMETA di Treviso del 19 novembre 2008

 

A proposito dell’ ”Intervento su fondi integrativi assemblea Rsu 19 novembre, Treviso” (l'intervento è consultabile in fondo a questa risposta)

Il testo cui ci si riferisce nel titolo è stato inserito tra le mail interne della Fiom nazionale (25 novembre) e quindi diffuso all’apparato politico della Sede, accompagnato dalla dicitura “proposte presentate dai compagni dell’area LSCR all’attivo dei delegati su Cometa di Treviso del 19 novembre 2008”.

Tenendo conto che un breve intervento sui Fondi da parte della stessa area c’era già stato nel corso dell’ultima riunione della Direzione della Fiom, ritengo utile rispondere, seguendo la traccia dell’intervento pronunciato a Treviso.

1.Affermare oggi che non c’é nessuna ragione per creare enti privati aggiuntivi con finalità pensionistiche (costosi e pagati dai lavoratori) significa saltare una storia che ormai data dal 1992-1993, una storia che ha attraversato un dibattito intenso e numerosi interventi legislativi, che ha visto la creazione dei Fondi di categoria a partire dal 1997-’98. Una storia che ha alla base ragioni demografiche ed economiche, che ha compiuto la scelta, difficile, di far fronte a una prospettiva deficitaria dell’Inps nei confronti dei futuri pensionati; una storia che attraverso un referendum ha visto l’approvazione da parte dei lavoratori dell’introduzione del nuovo sistema contributivo rispetto a quello retributivo e, di conseguenza, le confederazioni hanno condiviso l’adozione di un sistema complementare per recuperare quanto la previdenza pubblica era venuta togliendo. Saltare questa storia significa non tenere conto delle crescenti difficoltà del sistema pensionistico nazionale e delle prospettive future.

Qualsiasi intervento, assolutamente legittimo, teso a riflettere e a far proposte circa modifiche all’attuale assetto previdenziale (previdenza pubblica e previdenza complementare privata a capitalizzazione) deve fare i conti con questa storia e con i circa 550mila lavoratori metalmeccanici oggi iscritti ai diversi Fondi negoziali della categoria promossi da Fim, Fiom, Uilm e Fismic.

Definire “costosi” gli strumenti e gli apparati messi insieme dalla previdenza complementare negoziale significa non tenere conto che quegli strumenti sono testimonianza della trasparenza e dei controlli adottati, strumenti che, in realtà, li rendono meno costosi di prodotti similari presenti sul mercato (fondi aperti, polizze previdenziali individuali) e molto più trasparenti se solo si fa un paragone con il flusso di informazioni che normalmente un cliente riceve da un istituto di credito.

2.L’Inps detiene sicuramente competenze e struttura, ma se assumesse anche il ruolo che oggi detiene la previdenza complementare torneremmo a quel sistema pubblico unico dal quale si è ritenuto di uscire (dopo lunghi confronti a suo tempo in sede tra maggioranza e opposizione in parlamento e forze sociali).

Oggi l’Inps gestisce un Fondo (Fondinps) per quei lavoratori che non avevano un Fondo di categoria a disposizione. Ma l’Inps non ha competenze di tipo finanziario; se le sarebbe dovute creare (nel molto tempo a disposizione) e in questo si è dimostrata più lenta dei fondi negoziali, per non parlare dei ritardi procurati dall’attuale commissariamento dell’Ente. E a questo proposito, nella tensione oppositiva al sistema complementare, si finiscono per sottovalutare i rischi insiti nel sistema pubblico. Se guardiamo la nostra storia recente vediamo che sono stati fatti diversi interventi riduttivi significativi della previdenza pubblica. Vi è in sostanza un “rischio politico”(legato alla previdenza pubblica, attraverso modifiche legislative) che si tende a minimizzare, mentre si ingrandisce quello finanziario (legato alla previdenza privata). D’altro canto se il sistema pubblico fornisse alla previdenza complementare garanzie generalizzate, non avrebbe senso mantenere la previdenza complementare basata sull’investimento finanziario (che se da un lato contiene l’elemento del rischio, dall’altro consente anche di evitarlo con i comparti “garantiti”).

3.Quando si parla di finanza e mercati si tende a fare di tutta l’erba un fascio, senza usare i necessari distinguo rispetto ad una realtà che invece è complessa e assai articolata. La finanza non è una variabile che può essere certo espunta dal nostro orizzonte (“se ne occupino altri, è roba da speculatori”). Se la finanza ha accresciuto negli ultimi 15 anni il suo aspetto speculativo (perché lì si sono concentrate le convenienze), allontanandosi dall’investimento produttivo, questo deve comportare un maggiore impegno (di proposta) verso l’indirizzo dei capitali, verso nuovi strumenti di regolazione, di controllo, che aumentino il grado di trasparenza di queste attività.

4.Le vicende - presenti o passate - di altri paesi, hanno ragioni, tempi e contesti diversi, mentre da noi a volte una pregiudiziale negativa verso i fondi pensione tende ad accomunare genericamente fatti diversi tra loro. Ciò non significa che sia più che ragionevole un concreto grado di preoccupazione nei confronti della situazione attuale (due crisi finanziarie internazionali in otto anni sono un fatto inedito), ma esso va indirizzato nell’individuazione di soluzioni costruttive e realistiche, consapevoli delle tendenze economiche in divenire e della strumentazione faticosamente costruita con la previdenza complementare.

Non va trascurato il fatto che in questi dieci anni la previdenza complementare ha inciso positivamente in termini di crescita del grado di trasparenza, di controllo, abbassamento dei costi dei prodotti previdenziali emessi da assicurazioni e banche (ad esempio, prima dell’adozione da parte di Cometa non esisteva sul mercato nessun prodotto garantito).

5/6.Il sistema italiano dei Fondi pensione negoziali ha strumenti di protezione dai rischi di fallimento. Le risorse sono depositate in un’unica banca depositaria. I gestori finanziari quindi non detengono alcuna somma dei soci contribuenti, ma ordinano semplicemente alla banca depositaria l’investimento (o il disinvestimento) da effettuare. I Fondi quindi non possono essere coinvolti dalla liquidazione di una banca o di un gestore finanziario perché i creditori non si possono rivalere sui titoli dei clienti.

7.La crisi dei mercati induce senza dubbio preoccupazioni da non trascurare. Gli organi di amministrazione dei Fondi sono impegnati in un’attenta riflessione sulle contromisure da intraprendere. Come si è visto nella vicenda dei cosiddetti “titoli spazzatura”, i Fondi negoziali ne sono rimasti coinvolti assai marginalmente e questo non è casuale: proprio i vincoli di legge impediscono di utilizzare quelle tipologie di prodotti e altre che non abbiano requisiti qualitativi elevati.

I Fondi certo sono rimasti influenzati dagli andamenti negativi delle Borse (il 2008 ne è una riprova), ma le conseguenze sono assai inferiori di quelle subite dai Fondi aperti o dalle polizze individuali. Inoltre va ricordato che l’attività d’investimento del Fondo è assai diversificata (quella di Cometa è distribuita su oltre mille titoli): questo significa che il cattivo andamento di un titolo può influenzare solo limitatamente il patrimonio del Fondo stesso. Infine, in questi due-tre mesi i Fondi hanno messo in atto misure difensive per affrontare la difficile fase e la ricerca di possibili ulteriori provvedimenti è aperta (come riporta la stampa).

8. Il confronto tra il rendimento dei Fondi e il Tfr è un confronto parziale (soprattutto se misurato in percentuale), oltre una certa misura non è corretto. Infatti si tratta di due grandezze diverse (nel Fondo, oltre il Tfr, agiscono i contributi del datore, del lavoratore e i vantaggi fiscali). Fino a oggi il lavoratore iscritto al Fondo ci ha sempre guadagnato rispetto ad uno che ha lasciato il Tfr in azienda (e Cometa pubblica da tempo questa informazione sul suo sito internet).

9. Rispetto a tutto ciò colpisce come l’intervento trasmesso tra le mail Fiom si preoccupi di tante cose, ma poco del fatto che esiste ancora un’ampia platea di lavoratori sprovvisti della previdenza complementare, che stanno accumulando un vuoto, che perdono il vantaggio del datore di lavoro e che, spesso mal informati (c’è chi anche sostiene che è meglio non iscriversi, anche se così ci si rimette). Sembra non ci si renda conto del pesante incrocio tra una pensione pubblica ridotta e l’assenza di una tempestiva costruzione della previdenza complementare. Al contrario di quanto qualcuno possa sostenere (“non c’è fretta a iscriversi”), il tempo gioca a sfavore di chi non si iscrive.

10 Sulla base di quanto fin qui detto delle due l’una: o la previdenza complementare è necessaria oppure cos’è?: un accessorio da prendere e lasciare? La previdenza complementare già consente a vario titolo di prendere anticipi, anche senza motivo, (in modo più ampio che in azienda), di riscattare quanto versato a fronte di un cambio lavoro, se si aggiunge la facoltà di uscire dal Fondo (ovvero di “capitalizzare”) e tutto ciò in presenza di una situazione in cui l’adesione è già volontaria e risulta difficile, al limite dell’impossibile, far iscrivere i lavoratori delle piccole e piccolissime imprese, cosa stiamo facendo, costruendo la previdenza complementare o minandone le sue ragioni?

Così come è legittimo avanzare critiche, si dovrebbero anche avanzare proposte (dall’interno della nostra organizzazione) che migliorino e sviluppino in modo realistico il sistema della previdenza complementare a favore dei lavoratori associati.

11. Che l’Inps o lo Stato possano intervenire in momenti negativi come questi per “risarcire” (con riferimento al Tfr versato) particolari tipologie di associati in via di riscatto danneggiate da una fase fortemente negativa, questo è argomento dell’attuale dibattito. Ma pensare che ci sia una forma di garanzia pubblica costante e generalizzata, contraddice l’essenza stessa dei Fondi privati che investono sul mercato finanziario (in questo caso bisognerebbe accantonare la previdenza complementare così come oggi si configura). I Fondi potrebbero semmai avvalersi di meccanismi interni (tipo fondi di solidarietà da regolare per legge) per compensare danni prodotti da uscite dal Fondo in momenti altamente negativi (si tenga presente che oggi Cometa eroga solo tre rendite e che per molti questa facoltà è ancora lontana).

Non va poi dimenticato che già oggi ogni Fondo ha un comparto d’investimento garantito (con rendimento minimo o garanzia di restituzione del capitale) e che l’adozione da parte di tutti i Fondi di uno schema multicomparto consente agli aderenti di scegliere (qui torna semmai un problema di consapevolezza e di informazione, anche al fine di controbattere i limiti del silenzio-assenso).

L’attuale meccanismo dei Fondi contiene l’elemento del rischio (salvo i comparti con garanzia), differenziato nei diversi comparti, comunque correlato a scelte di tipo prudente e guidato da un obiettivo che mira a realizzare nel lungo periodo un risultato almeno pari a quello del Tfr (in termini percentuali).

12. Pensare a escamotage tipo conferire il contributo del datore anche al lavoratore non iscritto elude ancora una volta la domanda: la previdenza complementare è necessaria o no? Se la contribuzione ridiventa salario corrente la risposta è ovvia. Su questo solco si inserisce anche la necessità del silenzio-assenso, cui certo dovrebbe certo essere preferita un’adesione o un rifiuto consapevole! (qui torna la questione informazione e organizzazione delle strutture territoriali per realizzare e tutelare la parte del contratto di lavoro che norma la previdenza complementare!).

13. Un ente pubblico terzo non fornirebbe a priori nessuna sicurezza di controllare meglio di quanto già avviene in un Fondo negoziale privato. Considerando che 1) non esistono strumenti finanziari senza rischio (ne esistono con poco rischio) e che 2) i Fondi hanno già tutti un profilo d’investimento con garanzia, e considerando ancora che 3) gli investimenti etici Fondapi già li fa da tempo e Cometa li ha (faticosamente) all’ordine del giorno, considerato tutto ciò, proposte di miglioramento dei Fondi negoziali vanno costruite a partire da noi, dal contratto di lavoro, e non mancano proposte che andrebbero valorizzate.

14. Da ultimo la questione dell’insinuazione del Fondo nell’eventuale processo di fallimento di aziende al fine di recuperare i crediti del lavoratore associato. Si tratta, ad oggi, di una possibilità non consentita dall’attuale legislazione: i crediti sono in capo al lavoratore e come per le altre parti del contratto di lavoro vanno attivati strumenti sindacali coerenti, essendo il Fondo solo un intermediario amministrativo. Eventuali costi di un Ufficio legale del Fondo, se si riuscisse a cambiare la normativa, sarebbero comunque a carico dei soci contribuenti. Si tratta comunque di una questione importante e complessa che spesso porta i giudici fallimentari a comportamenti contraddittori.

Questo problema richiama quello delle omissioni contributive da parte del datore di lavoro. Sicuramente oggi il lavoratore associato è poco tutelato rispetto all’omissione contributiva: tutele e forme di sanzione andrebbero realizzate sia a livello contrattuale che legislativo e su questo gli organi competenti (Fondi, Assofondi, Covip, Mefop) hanno istruito una serie di approfondimenti.

15. Per concludere, la questione oggi di maggior rilievo è legata alla crisi finanziaria e agli effetti che questa può produrre per i lavoratori associati ai Fondi.

I motivi sopra richiamati circa il modo di essere dei Fondi negoziali sono importanti e non vanno né omessi né sottovalutati, ma altrettanto importanti sono i problemi sollevati dai mercati negli ultimi due-tre mesi. Allo stato attuale non ci sono elementi per rimettere in discussione l’adozione della previdenza complementare. Gli iscritti, nella quasi generalità dei casi, qualunque sia l’anno di adesione e il comparto scelto, non hanno perso rispetto a quanto versato (tanto più per il comparto garantito).

In questo frangente negativo i Fondi hanno verificato l’idoneità della loro strumentazione (ricavandone una risposta sostanzialmente positiva) ma hanno anche messo in atto misure difensive importanti per alzare, anche temporaneamente, il livello di protezione (riduzione del rischio). Inoltre, come ricordato, facendo tesoro di questa esperienza sono state avanzate proposte rafforzative a tutela dei risparmi degli associati (da possibili fondi di garanzia aggiuntivi per specifiche figure in particolari situazioni a forme automatiche di passaggi nel tempo a comparti più conservativi).

Alla tecnica della contrapposizione è comunque da preferirsi quella del confronto.

 

 


 

Intervento su fondo integrativi assemblea RSU del 19 novembre 2008 Treviso

 

Cari compagni, sui fondi pensione e su COMETA mantengo tutte le riserve del primo giorno.

Non c’è nessuna ragione perché l’accantonamento durante la vita lavorativa, al fine di costruire una pensiona, sia lasciato ad un moltiplicato numero di  enti privati, più o meno bilaterali. Si creano enti su enti, molto dei quali costosi e pagati con i soldi prelevati dai lavoratori.

C’è già l’INPS che può fare questo servizio, e se mai serve costruire un fondo ulteriore volontario lo si può benissimo far fare a questo ente, che detiene tutte le competenze e ha la struttura necessaria per farlo, senza moltiplicare costi. Serve un ente pubblico con garanzie pubbliche su i rendimenti ed investimenti dei lavoratori.

La crisi in corso dei mercati dimostra, per l’ennesima volta, che la finanza e il mercato non solo non sono in grado di regolarsi , ma che quando falliscono coinvolgono innanzitutto i lavoratori. Mentre i governi sono pronti a salvare solo banche e società finanziarie. Per loro i soldi li trovano sempre.

In tutto il mondo si mettono a rischio non solo i posti di lavoro, come sta avvenendo, ma anche le pensioni integrative dei lavoratori: dagli stati Uniti all’Inghilterra, dall’Irlanda all’Islanda, dal Brasile all’Argentina, all’Ungheria centinaia di migliaia di lavoratori hanno perso o sono a rischio di perdere posto di lavoro e loro pensioni.

I fondi che sono  falliti e non hanno salvato ne i pensionati, che non ricevono più la rendita che loro spettava, ne quelli che lavorano. Tutti hanno perso quanto accantonato e non  avranno più quei redditi. 

Esporre alla crisi della finanza e dei mercati i risparmi degli operai (Tfr,  quote integrative ecc), la previdenza futura, con il rischio di perdite che potrebbero essere anche ingenti,  deresponsabilizzando del tutto imprese e istituzioni, è stata e rimane un’idea sbagliata, tanto più se propugnata e partecipata tramite questa sorta di enti bilaterali dove il sindacato è nei consigli d’amministrazione dei fondi, diventando corresponsabili di quelle sorti.

Oggi, in presenza di questa crisi appena iniziata, già il TFR rendere più dei fondi pensione. Ora al di là dei punti di vista sul capitalismo e sulla sua riformabilità

Le prime questioni da affrontare e modificare sono:

  •  liberare i lavoratori  dalla condizioni di irrevocabilità dell’adesione ai fondi pensione. Va data la libertà a qualsiasi lavoratore  di poter recedere in qualsiasi momento  da quel contratto, recuperando il capitale e gli interessi versati nel fondo;  non esistono contratti vincolanti a vita, non si capisce perché l’eccezione è stata fatta solo sui soldi dei lavoratori.

  • Lo stato tramite INPS, in attesa che possa riappropriarsi direttamente dei fondi integrativi, deve intervenire per garantire un rendimento minimo e il capitale investito, tutelando  i lavoratori che aderiscono ai fondi; garanzia che deve intervenire sempre.

  • Al lavoratore che decide di non aderire al fondo, o sospendere l’adesione, o ritirare definitivamente l’adesione, va versato  in busta paga la quota economica che l’impresa versa al fondo pensione, mantenendo all’impresa l’invarianza del costo e la defiscalizzazione conseguente. Ciò servirebbe anche ad aumentare il salario dei lavoratori.

  • Va eliminata l’adesione con la clausola vessatoria del silenzio assenso  che scatta  dopo 6 mesi di assunzione. L’assenso ai fondi integrativi anche gestito dall’INPS deve essere esplicito e informato;

  • In attesa del superamento dei fondi previdenziali privati, chiusi (sindacali) e aperti (assicurativi), gli investimenti vanno vincolati  a strumenti finanziari privi di rischio, etici e controllati da un ente pubblico terzo;

  • I fondi devono essere parte attiva nel recupero dei mancati versamenti  delle imprese ai fondi stessi, e non come succede ora, dove i fondi lasciano al lavoratore la responsabilità d’agire contro l’azienda per i mancati versamenti al fondo.

  •  La mancata azione di recupero del fondo verso l’impresa inadempiente nei versamenti deve vedere l’addebito dei mancati versamenti a carico del fondo stesso come tutela e garanzia del lavoratore.

Stante la situazione il sindacato deve: dire, fare e lavorare, per arrivare in tempi stretti a primi risultati, in linea con quanto richiamato, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, compreso mobilitazioni e se serve un referendum. Parliamo di migliaia di miliardi dei lavoratori e delle loro condizioni di vita di oggi e di domani.