La Fincantieri sceglie il low cost. Dalla Borsa rischi per l’occupazione

Il coordinamento nazionale Fiom del gruppo Fincantieri esprime un giudizio negativo sui risultati dell’incontro con l’azienda del 25 e 26 gennaio, in cui si è svolta una riunione del comitato consultivo, cui ha partecipato l’amministratore delegato, e un confronto sindacale sulle scelte strategiche, i carichi di lavoro, il modello produttivo, il rispetto degli accordi.

 

Il piano “quinquennale”

L’azienda ha presentato un piano quinquennale strategico per molti aspetti rischioso e inquietante. Esso da una parte prevede un piano di investimenti che contiene operazioni necessarie, ma che è privo di indispensabili requisiti di selettività, priorità e sostenibilità, che orientano qualsiasi piano industriale serio, e ed è, quindi, nel complesso chiaramente sovradimensionato. Dall’altro lato, il piano prevede di acquisire cantieri all’estero da dedicare alla costruzione navale e non solo al refitting delle navi da crociera, secondo un progetto già noto e condiviso. In particolare, la Fincantieri vuole acquisire un cantiere low cost di dimensioni enormi (5 volte quelle di Monfalcone) in Ucraina, da dedicare in un primo tempo alla costruzione di navi energetiche poi alla costruzione di scafi e tronconi. L’azienda nega che questa scelta serva a delocalizzare, ma non c’è dubbio che, una volta acquisito, il cantiere ucraino possa servire a delocalizzare la costruzione degli scafi per tutta Fincantieri, con conseguenti forti tagli all’occupazione in Italia. Anche gli altri capitoli sulle acquisizioni relativi al militare e a Marine System (per il quale sono previste joint-venture che hanno il solo scopo di ridurre i costi, con rischi per Isotta Fraschini e le Meccaniche di Riva Trigoso) hanno bisogno di verifiche.

La Fincantieri ha una capacità di autofinanziamento di 50 milioni all’anno e, oltre a godere dei benefici del cuneo fiscale, potrà utilizzare i consistenti aiuti previsti dai programmi nazionali ed europei per il finanziamento della ricerca e dell’innovazione industriale. L’azienda sarebbe quindi in grado di affrontare, in gran parte con sue risorse, un piano di investimenti più realistico. Ma quello predisposto dal vertice di Fincantieri, sommando investimenti e acquisizioni, porta a un fabbisogno sproporzionato di oltre 800 milioni di euro per giustificare la quotazione in Borsa e la privatizzazione.

Il piano industriale invece di puntare, come sarebbe necessario, a consolidare la posizione di leadership di Fincantieri nei segmenti a più alto valore aggiunto della costruzione navale, si lancia in una ipotesi di aumento della sua capacità produttiva su scala internazionale essenzialmente basato sul taglio dei costi. Questa è una scelta sbagliata e regressiva: in tutti i settori industriali in cui è stata adottata ha portato a un drastico ridimensionamento dell’occupazione in Italia o alla chiusura di interi stabilimenti. La Borsa che, secondo le dichiarazioni dell’azienda avrebbe dovuto rafforzare il gruppo, lo sta invece già spingendo verso scelte che lo indeboliscono.

La storia di Fincantieri è paradossale. Azienda pubblica, è riuscita a diventare leader nel mondo solo perché è stata dimenticata dall’ondata delle privatizzazioni. Da quando si è ripreso a parlare di privatizzazione e di Borsa, Fincantieri ha ricominciato a perdere colpi e a compiere scelte di competitività fondate esclusivamente sulla riduzione dei costi.

 

I carichi di lavoro e la crisi del modello produttivo

L’azienda ha presentato un quadro dei carichi di lavoro che prevede la saturazione di tutto il gruppo per il 2007, con l’eccezione di Isotta Fraschini che ha molti lavoratori in Cig, con una proiezione negli anni successivi soprattutto per i cantieri del cruise.

L’azienda ha riconosciuto che per quanto riguarda il modello produttivo le cose da un po’ di tempo non vanno più bene e che esistono problemi rilevanti nella tenuta del modello, nella qualità dell’apporto del sistema degli appalti, nella gestione industriale del gruppo. Questi problemi si scaricano sulla costruzione delle navi e hanno messo in crisi la redditività di intere commesse. L’azienda ha espresso, per la prima volta, un giudizio critico, di insufficienza del modello organizzativo fondato sugli appalti, ma la risposta che viene data non è il suo superamento - attraverso la riqualificazione degli appalti prevista dagli accordi - ma invece il ricorso al low cost.

 

Il non rispetto degli accordi

Per quanto concerne il rispetto dell’accordo di gruppo del 2004 l’azienda ha ancora rifiutato di assumere impegni coerenti. Sul punto più rilevante, gli organici, l’azienda ha chiuso il 2006 con un organico inferiore a quello definito nell’accordo del 2004 come il livello minimo, sotto il quale sarebbe dovuto scattare il recupero automatico del turn over, stabilendo poi la necessità di aumentarlo con l’arrivo delle commesse. L’azienda si è dichiarata disponibile a un pacchetto di assunzioni entro marzo, che è però insufficiente al recupero del turn over e non si pone neanche l’obiettivo di integrare l’organico in un anno che vedrà molte uscite di lavoratori dovute alla fine del superbonus. Se le scelte dell’azienda non verranno radicalmente modificate, il 2007 registrerà un’accelerazione rispetto alla lenta riduzione degli organici che l’azienda ha praticato finora.

Anche in materia di appalti e sicurezza le risposte sono state formali e nella sostanza elusive dei problemi posti, a partire dal dilagare del subappalto. L’azienda non considera un proprio problema, meritevole di interventi concreti, l’andamento degli infortuni negli appalti, al punto che non è in grado di fornire alle Rsu neppure i dati su questi infortuni.

Per il salario, mentre la parte legata al programma, pur con qualche difficoltà, trova riscontro nelle valutazioni delle parti, per quella legata alla produttività e soprattutto alla nuova curva di stabilimento, la gestione aziendale risente di limiti che non hanno consentito finora a nessun cantiere di realizzare l’obiettivo massimo, pur in presenza di un innegabile incremento nel recupero di produttività che persino i documenti ufficiali dell’azienda registrano.

La sola nota positiva è stata l’estensione a tutto il gruppo dell’orario flessibile per gli impiegati. Per i problemi relativi all’apprendistato e all’assistenza sanitaria integrativa si è concordato di definire appuntamenti specifici per la loro risoluzione.

Al termine dell’incontro si è definito un nuovo appuntamento, fissato per il 21 febbraio. Se le risposte dell’azienda non saranno diverse da quelle date finora, sarà necessario rispondere con lo sciopero.

A fronte di tutto questo il coordinamento nazionale Fiom ha verificato la difficoltà di concordare una valutazione unitaria con le altre organizzazioni. Mentre la discussione era ancora in corso e si stava valutando il testo di un documento, ieri la Uilm ha diffuso una sua presa di posizione unilaterale.

Il coordinamento nazionale Fiom ritiene che in questa fase delicatissima, in cui l’azienda compie scelte che mettono a rischio le prospettive del gruppo, sia necessario il massimo coinvolgimento dei lavoratori e quindi proclama lo stato di agitazione in tutto il gruppo e definirà nei prossimi giorni un programma di assemblee per informare i lavoratori e decidere con loro le iniziative necessarie.

Intanto il coordinamento nazionale Fiom chiede che il governo riconvochi immediatamente il tavolo di confronto governo-sindaci-sindacati per discutere il piano strategico dell’azienda e chiede al coordinamento dei sindaci delle città cantieristiche un nuovo incontro per valutare la situazione e definire iniziative comuni.

 

  Fiom nazionale

Roma, 31 gennaio 2007