Studiare Airbus per capire il futuro di Fincantieri.

 

IL Libro Bianco della FIOM si chiede “Cosa succede domani” nel caso di una privatizzazione della Fincantieri. La risposta si può certo trovare nei numerosi episodi italiani: il sistema bancario, le telecomunicazioni, per esempio. O per restare nel campo dell’industria: l’acciaio, il settore alimentare, l’elettronica. In ciascuno di questi casi,  l’applicazione di indirizzi gestionali finalizzati alla crescita del rendimento finanziario dell’azienda ha progressivamente sostituito il progetto produttivo, e portato più o meno rapidamente al collasso l’impresa o il settore interessato.

Questo bilancio disastroso è forse di una specificità italiana? In altre parole, come sostengono molti, è perché la via italiana alle privatizzazioni è stata troppo condizionata dallo Stato, dai sindacati, dalla politica, e quindi il potere salvifico del libero mercato non ha potuto dispiegarsi pienamente, la ragione per cui in Italia la politica delle privatizzazioni non ha dato i frutti sperati?

Nei paesi Europei da tempo indicati come esempi di scuola per le virtù dell’economia privatizzata, l’Inghilterra di Blair, per citarne uno, si è verificato il caso delle ferrovie. Queste sono precipitosamente ritornate alla gestione pubblica, dopo che una serie di gravi incidenti aveva dimostrato che la voracità degli imprenditori privati era incompatibile con una gestione sicura ed efficiente del servizio.

E’ cronaca recente, invece, il caso dell’ex consorzio pubblico franco- tedesco Airbus, di cui sta discutendo tutta l’Europa e che è assolutamente ignorato dai media italiani. La campagna elettorale francese è stata fortemente condizionata dallo scandalo Lagardère, ed accompagnata dalle forti mobilitazioni dei lavoratori di Airbus contro Power 8, il piano di ristrutturazione del colosso aeronautico. Sulla nostra stampa hanno fatto più notizia i tailleur della Royal o la mascella volitiva di Sarkozy.

Il consorzio europeo Airbus nasce su volontà pubblica negli anni 70, quando ancora era lecito e possibile parlare di una politica industriale comunitaria. A metà degli anni 80, il governo conservatore Kohl privatizza il ramo tedesco a favore della Daimler. Il ramo francese, l’Aereospatiale, resiste in mano pubblica fino al 1999, quando il governo socialista Jospin decide di affidarla ai privati. Matra acquisisce il 33%, il 48% rimane allo Stato francese, ma per il gioco delle scatole cinesi, con solo il 6% delle azioni Matra (il 2% dell’azionariato complessivo) Lagardère assume il comando della nuova realtà. In quel momento, Airbus contende ormai il primato mondiale del mercato di aeromobili passeggeri all’americana Boeing. Lunghi anni di investimenti pubblici stanno finalmente per produrre lauti utili; per i privati. Comincia a cambiare la gestione dell’impresa.

La ricerca e l’innovazione, vitali in un settore come l’aeronautica, sono trascurate a favore delle lotte di potere intestine tra i nuovi manager e della ricerca della massima redditività. L’A380, il nuovo colosso dei cieli accumula ritardi nella messa in produzione e penali verso le compagnie in attesa del nuovo aereo. Mentre tutti in azienda sanno di questi ritardi e si accapigliano per scaricarne la responsabilità, poche settimane prima dell’annuncio ufficiale che determina un crollo del titolo del 26%, Lagardère e Daimler vendono le loro azioni ricavando una plusvalenza di 890 milioni di euro. Questa è l’essenza dello scandalo. I manager si difendono dicendo di non aver saputo. Vera o no la loro versione, come minimo è una dimostrazione dell’assoluta inadeguatezza dei soggetti privati a gestire un’impresa così complessa. Naturalmente, se si da per acquisito che essa debba continuare a produrre aerei e non plusvalenze azionarie, campo in cui si sono dimostrati più che abili.

Resta comunque da pagare il conto: indovinate a chi tocca?

Poiché la redditività è un principio indiscutibile ed anzi, l’obiettivo del nuovo managment Eads è di salire dal 4 all’8% nel profitto in cinque anni, i 600 milioni di euro per gli indispensabili investimenti industriali devono essere trovati altrove. Nella nuova strategia di internazionalizzazione definita nel piano industriale “Power 8”: riduzione del 30% dei costi di funzionamento, 10.000 posti di lavoro in meno in Europa, trasferimento dell’approvvigionamento verso paesi come Cina, India, Russia, Corea del Sud, quota di produzione dell’A350 in Europa da ridurre del 50%. La logica finanziaria si rafforza ancora di più con l’ingresso in Eads degli investitori istituzionali. Come scrive Francois Ruffin su Le Monde Diplomatique del Maggio 2007, “un attore pubblico si trasforma in un salvadanaio per i finanzieri”.

Il caso di Airbus è dunque paradigmatico dei rischi che si aprono di fronte alla operazione Fincantieri, tra l’altro, lo si lasci dire, in mano ad attori politici e imprenditoriali imparagonabilmente inferiori per qualità e competenze.

Una società costruita grazie alla lungimiranza pubblica, con ordini in eccesso, 4 miliardi (!) di euro di tesoreria, con un retroterra industriale solido, in un mercato in espansione, adotta una politica di delocalizzazione, tagli dei siti produttivi e delle maestranze, riduzione dei costi in nome della redditività e del corso azionario del titolo. Davvero non basta per capire “cosa avviene domani”?

 

Antongiulio Mannoni

Segretario Confederale CGIL Liguria

Resp. Dip.to Settori Produttivi