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prefazione di
Gabriele Polo
Formato:
17x24 cm
Pagine:
104
Prezzo:
€ 12,00
Pubblicato
in gennaio 2006
Casa editrice: Meta Edizioni |
Rosa
Luxemburg e i problemi della rivoluzione in Occidente.
Indice
Prefazione di
Gabriele Polo
Presentazione
Capitolo 1 - L’ipotesi dei fondatori
del marxismo scientifico a proposito della rivoluzione proletaria
- Il pensiero marxiano e i problemi dello sviluppo
capitalistico
- Il testamento di Engels
- Le interpretazioni del "testamento
politico" di Engels
- L’opportunismo di Bernstein
- La Grande Depressione
- La teoria del crollo
Capitolo 2 - Il pensiero di Rosa Luxemburg
- Prospettiva immediata e scopo finale
- Le caratteristiche generali del revisionismo
- La teoria rivoluzionaria e l’esperienza russa
- Il crollo del sistema e la rivoluzione
Conclusioni
Postilla sul riformismo
(tratto
dalla prefazione)
Quando
presenta questa tesi, Claudio Sabattini è appena stato eletto segretario
generale della Fiom bolognese. Da tre anni lavorava alla Cgil, per otto anni era
stato consigliere comunale per il Pci a Bologna. Ha alle spalle molti anni come
dirigente della Fgci, l’esperienza della sezione comunista universitaria, del
’68 studentesco e del ’69 operaio. È in questo contesto che va letto uno
scritto il cui titolo può apparire dottrinario: Rosa Luxemburg e i problemi
della rivoluzione in Occidente. In realtà è un lavoro che si misura con l’attualità
di quel periodo e che parla ancora all’oggi.
(...) Lo
scopo della tesi appare essere quasi fondativo: trarre le conclusioni di un
percorso di riflessione già lungo e predisporre le basi per scelte successive.
Una tappa fondamentale di un percorso di formazione.
(...) Da
questo punto di vista sono esplicative le ultime pagine della tesi, le
conclusioni che Claudio trae dal confronto tra le diverse posizioni che ha
precedentemente illustrato attingendo ai «sacri testi» della storia del
movimento operaio. E vi si possono ritrovare in nuce tutte le posizioni e le pratiche
che Sabattini ha messo in campo durante la sua vita e, persino, le motivazioni
del suo scegliere il sindacato come luogo della propria militanza politica –
in particolare quello dei metalmeccanici come cuore del movimento di classe in
Italia.
(...) A
rileggere oggi questa tesi dell’anno accademico ’69-70, si può arrivare a
dire - anche se ad alcuni può apparire una bestemmia - che Claudio Sabattini,
opera già allora una rottura netta con le tesi maggioritarie del movimento
comunista, persino con quell’anomalia feconda che è stato il Partito
comunista italiano. Una rottura che non è visibile solo nell’aver dichiarato
- in un documento della sezione universitaria del Pci, fatto straordinario per l’epoca
- «non riformabile» il socialismo reale dell’Urss e dei suoi satelliti dopo
l’invasione di Praga del ’68, né solo nel suo sentirsi parte della sinistra
ingraiana. Una rottura più profonda, costitutiva, perché rovescia il rapporto
tra partito e masse fino ad allora prevalente. Ed è una rottura «da
sinistra», non operata sul terreno dell’ideologia o della propaganda - di qui
la sua polemica con i gruppi extraparlamentari - ma fatta sul terreno della
pratica: la ricerca cioè di quale sia il massimo livello di democrazia
possibile in ogni contesto storico, di come dare più spazio possibile ai
soggetti della trasformazione per ottenere una conquista e consolidarla.
Lavoro e lotta, l'attualità dello
studente Sabattini
Recensione di
Riccardo Bellofiore
"il manifesto" del 9 febbraio 2006
L'anno accademico è il 1969-70. Il titolo della tesi: Rosa Luxemburg e il problema della rivoluzione in Occidente.
Claudio Sabattini la scrive in fretta. E' stato appena eletto segretario
generale della Fiom bolognese. La prima metà dello scritto si concentra sul
dibattito sul «revisionismo» di fine Ottocento. La sfida lanciata da Bernstein
è chiara. Bisogna prendere atto della trasformazione del capitalismo che si fa
monopolistico, finanziario e imperialistico, ed è capace di rispondere alla
Grande Depressione. Si devono dunque rivedere la teoria e la strategia, non
la tattica. Buttare
a mare l'aspettativa del crollo del capitalismo. Sfruttare le capacità di
adattamento del sistema, con la diffusione dell'azionariato (che impedisce la
polarizzazione di classe), e con la persistenza delle piccole e medie imprese
(che contrasta la concentrazione del capitale in imprese sempre più grandi).
In Riforma sociale o rivoluzione? la Luxemburg ribatte a Bernstein con argomenti brillanti. La
tendenza al crollo per il problema del realizzo del plusvalore è solo
rimandata, ed anzi aggravata, dai fenomeni nuovi cui fa appello il revisionismo.
La concentrazione del capitale è una tendenza di lungo termine, e si realizza
in un movimento ciclico che vede il rifiorire periodico delle piccole imprese.
Allo stesso modo, l'accumulazione del capitale riunifica il proletariato, il che
non esclude le ondate di destrutturazione della classe operaia. La Luxemburg, contrariamente a Kautsky, va oltre: vede la radice
di classe del revisionismo, e pone il problema di una pratica diversa del
partito (con un legame organico tra lotte immediate e presa del potere).
Condivide ancora la visione «positivistica», tra il naturalistico e il
meccanicistico, di tutta
la Seconda Internazionale.
Più originale la seconda metà della tesi, che della Luxemburg mette a tema, da un lato, il pensiero politico,
dall'altro, il rapporto tra lotte sindacali e lotte rivoluzionarie. La prima
questione porta Sabattini a rileggere il contrasto con Lenin dopo la crisi dello
stalinismo. Il secondo tema interroga il nesso tra conflitto sindacale e
dimensione politica come si dà nel ciclo di lotte che vive allora l'Italia.
La Luxemburg viene spesso inchiodata alla accoppiata
spontaneismo-crollismo. Non così Sabattini, che non si affanna molto a
contestare il secondo corno, ma coglie limpidamente due punti. Primo: la Luxemburg non è affatto spontaneista. La sua è una teoria
dell'organizzazione alternativa a quella di Lenin, in quanto l'avanguardia
(centralizzata) non è separata dal movimento che deve unificare e cui deve dare
sbocco politico, ed è sempre soggetta al controllo dal basso. Secondo: la Luxemburg segue Marx, secondo il quale non è il salario ma
il tasso di accumulazione la variabile indipendente. Il salario monetario e
reale può aumentare, ma il salario come quota del reddito ha tendenza a cadere.
Sabattini non cade in nessuna ingenuità
conflittualista. Ciò che gli fa problema è altro. Se la lotta sindacale non fa
altro che realizzare la legge capitalistica del valore della forza-lavoro contro
l'impulso immediato del singolo capitalista, il suo ruolo è del tutto
impolitico, se non per il contribuire a quella «pedagogia rivoluzionaria» che
rivela al proletariato i limiti del sistema. Lotta per le riforme e lotta
rivoluzionaria, economia e politica, appaiono qui irrimediabilmente scisse.
Le cose cambiano presto. La svolta è la polemica
con Lenin sul partito e poi, come conseguenza della Rivoluzione Russa del 1905,
lo scritto Sciopero generale, partito e sindacati. Lo sciopero di massa non è
solo un mezzo, è la forma di manifestazione della lotta proletaria nella
rivoluzione. Il rapporto tra lotta economica e lotta politica va nei due sensi:
la coscienza è radicata nell'essere sociale della classe, con cui pure non si
identifica. In quell'antagonismo si dà «una possibilità storica
dell'autonomia, nella prassi, della classe operaia nei confronti del capitale a
partire dalla fabbrica [...] a condizione di fare valere la sua
"insubordinazione" al regime capitalistico di fabbrica, puntando sulla
continua autodeterminazione delle proprie condizioni». Il rimando è esplicito
alla ripresa dei «Consigli» in quegli anni.
Tre i punti attuali. La rottura della tenaglia tra
separatezza del partito (coscienza esterna) e autosufficienza (immediata) del
movimento. La centralità delle lotte del lavoro, a partire dalle sue
condizioni, per la trasformazione sociale. Tra i due momenti, «l'autogoverno
della classe come strumento non sostituibile del processo rivoluzionario». In
questo, i nostri giorni sembrano farsi lontani da quell'ispirazione. Nella
stessa sinistra, sociale e politico si separano, o viene negato il necessario
momento riunificante di lotte frantumate. Il sostegno alle lotte del lavoro, o
latita, o va a uno dei tanti momenti del conflitto. Dentro le organizzazioni
politiche e sindacali, la verifica da parte dei rappresentati non viene
affermata quale condizione ineludibile della pratica quotidiana.
Altri tempi, si dirà. Cosa può dirci, infatti, una
tesi scritta nei momenti alti della lotta, ora che siamo
in una epoca di sconfitta. Pure, nelle prime pagine Sabattini ricorda che un
punto importante di Marx è che «la sconfitta della lotta proletaria non è
concepita come qualcosa da rinnegare, da nascondere, o che occorreva
assolutamente evitare». Non si tratta soltanto di affermare la necessità dei
tentativi, ogni volta battuti, «per nuove avanzate teoriche o pratiche»; si
tratta anche di comprendere l'epoca della sconfitta, e agire conseguentemente.
Ho conosciuto davvero Claudio Sabattini nel
2000. Mi
venne a chiedere di organizzare insieme un convegno sul capitalismo nella
globalizzazione. Gli erano piaciuti alcuni miei interventi sulla rivista del
manifesto. Non sapevo della sua tesi, lui non sapeva che anch'io mi ero laureato con una
tesi su Rosa Luxemburg. Chissà che in quella sintonia non giocasse un
paradosso. La globalizzazione e il modello americano non danno ragione a
Bernstein contro la Luxemburg? Non siamo appieno dentro una «centralizzazione
senza concentrazione»? La tendenza non è proprio la destrutturazione del mondo
del lavoro, disomogeneo e precarizzato, in unità produttive sempre più
frantumate? Pure, questo capitalismo tutto appare meno che capace di controllare
l'instabilità che costantemente produce al suo interno. La sua legge di
movimento è l'attacco costante al salario e alle condizioni del lavoro, la
scomposizione continua della classe, per impedirle qualsiasi possibilità di
autodeterminazione. Se si ragiona così, il soggetto sociale del conflitto non
è un dato, va costantemente ricostruito. Senza questa riunificazione, la
risposta della politica da parte di una sinistra degna di questo nome, che certo
è necessaria, non vedrà mai
la luce. E'
di qui che si deve ripartire. Le ragioni della Luxemburg e di Claudio Sabattini mi sembrano oggi più vive
che mai.