IMG_3947.jpg (171354 byte)Il 3 febbraio è partita la campagna di Emergency «Diritto al cuore», attraverso la quale raccogliete fondi per costruire un centro africano gratuito di cardiochirurgia in Sudan: possibile che quando verrà realizzato l’ospedale, un povero di Karthoum avrà meno probabilità di morire di cuore di un povero di New York?

Assolutamente sì. Negli Stati Uniti ci sono 55 milioni di persone – circa un 15-20% della popolazione – che non hanno diritto all’assistenza sanitaria. Io spero che il centro di cardiochirurgia di Karthoum, una volta che sarà funzionante, potrà diventare un posto dove arriverà gente che fa il viaggio della speranza al contrario: dal paese più ricco del mondo andrà a farsi operare gratuitamente nello stato canaglia… sarebbe molto divertente e succederà…

Questa campagna è una sfida grossa, perché abbiamo voluto dare un segnale, mostrare nella pratica che non si capisce perché se a noi nasce un bambino con una cardiopatia congenita riteniamo che sia nostro diritto, una cosa naturale farlo operare, mentre là deve morire. Quella regione, il Sudan e i paesi confinanti, è grande più di tre volte l’Europa, ci vivono 300 milioni di persone e non c’è un ospedale cardiochirurgico di alto livello gratuito. Ci sono alcuni centri, di livello abbastanza discutibile, che sono privati – quindi a pagamento – oppure riservati ai militari: per la popolazione niente. Un’area, oltretutto, dove ci sono conflitti da 25 anni: l’Eritrea con l’Etiopia, il Sudan con l’Eritrea, il Ciad con il Sudan, il Congo… un casino terrificante! Portare e riunire in un unico luogo pazienti, parenti e personale anche di paesi diversi può essere un segnale di distensione e di solidarietà. Qualche semino di pace lo si può buttare, il senso è questo.

IMG_3940.jpg (162162 byte)È un progetto estremamente difficile, perché questo sarà un centro ad altissima tecnologia, molto costoso, perché anche se sganci la cardiochirurgia dal profitto comunque resta un’attività costosa, perché i materiali costano l’ira di dio. Per cui abbiamo deciso di chiedere ancora una volta il sostegno e la solidarietà della gente, ciascuno che ci mette il suo mattoncino – con questo 48587 si dona un euro. I primi risultati sono molto incoraggianti, nei primi 4-5 giorni siamo già vicini ai 200.000 euro.

Abbiamo chiesto aiuto anche alle industrie che fabbricano apparecchiature medicali, alcune – Siemens, General Electrics – delle più grosse ci hanno promesso equipaggiamento e sostanziamento a prezzo di costo.

Parliamo ora del tuo rapporto con la Fiom. Tra l’altro oggi pomeriggio hai ricevuto la tessera onoraria. Nel tuo intervento hai definito «un dovere» essere qui al Congresso della Fiom…

Sì un dovere. In Italia io non ho nessuna fiducia e nessuna simpatia per il mondo della politica e trovo invece che ci sono grandi realtà, grandi organizzazioni – la Fiom è la prima in assoluto che mi viene in mente – che da sempre sono impegnate sul tema della guerra e dei diritti, che non è una cosa così scontata.

Molto spesso, nel passato, anche organizzazioni sindacali si sono schierate a fianco della guerra, la stessa Cgil, ai tempi della guerra con la ex Jugoslavia, ha preso una posizione allucinante. Ora che le cose sono cambiate è un bellissimo segnale e secondo me questo è in gran parte anche dovuto al lavoro della Fiom. Per cui se c’è un posto dove a me piace andare è ai congressi della Fiom. Se mi avessero invitato al congresso di un partito, qualsiasi partito, non sarei andato.

Secondo te l’informazione (intesa non tanto come quella “prodotta” dai grandi media, ma quella che  facciamo noi, che va in rete, quella capillare, che è un po’ più libera) che importanza ha avuto, ad esempio, nell’estensione del movimento che ha detto “no alla guerra”  e per  chi si impegna per un mondo più giusto? C’è una cosa che accomuna i metalmeccanici e  realtà come Emergency: il fatto che quando riesci a comunicare, a parlare con la gente, a spiegare quello che stai facendo (dall’ospedale di Karthoum a un giusto contratto), ottieni dei riscontri positivi.

IMG_3941.jpg (178803 byte)La comunicazione e l’informazione sono fondamentali, però lo sono a livello del passaparola, dei rapporti interpersonali, non a livello dei mezzi di comunicazione e informazione. Abbiamo fatto molta fatica per riuscire a mettere insieme Peace Reporter, che credo che sia una delle più belle realtà informative – almeno sui temi della guerra dei diritti  - che ci siano, non soltanto in Italia. Però non sono molte queste voci. E quindi alla fine ti ritrovi col problema di riuscire a parlare con le persone. La Fiom è sicuramente una struttura molto capillare, dove certi messaggi possono essere amplificati, ed è fondamentale perché su queste cose c’è una guerra mediatica terrificante: raccontano bugie. Per coprire una bugia ne raccontano un’altra, è questa la tecnica.  Sulla guerra, poi, sull’Iraq, ne hanno raccontate di ogni dire…

Un medico italiano che lavora nell’ospedale della Croce Rossa italiana  mi ha detto: “tutte le volte che abbiamo messo il naso fuori dal nostro recinto spinato, ci hanno preso a sassate”. Però poi qua ti raccontano  quanto ci vogliono bene, quanto ci considerano umanitari e ci mostrano le immagini di  Scelli con i bambini in braccio: tutte palle! Sull’Afghanistan ne hanno dette di  tutti i colori. Adesso c’è la polemica sulle vignette con Maometto: io credo che questa campagna sia stata strumentalizzata dai governi di Iran e Siria, perché è vero che in quel mondo il livello di tensione è altissimo e basta una scintilla per far divampare il fuoco, ma è anche vero che c’è interesse a preparare mediaticamente le aggressioni militari. Ci hanno provato anche nel passato, basta guardare alla storia del genocidio in Darfur: un’invenzione totale. In Sudan e Darfur ci sono grossi problemi umanitari (c’erano anche 5 anni fa, 10 anni fa), c’è stato un’acuirsi della guerra tribale, ma nessun genocidio: un genocidio non ti può scappare fisicamente, come fai a non vedere 50 mila morti…

Anche le parole, forse, andrebbero usate per quel che realmente significano, invece oggi si parla di genocidio, di olocausto con grande disinvoltura…

Non è casuale, sai: perché se usi la parola genocidio allora puoi entrare in vigore l’articolo 42 della Carta dell’Onu. Se è genocidio una situazione perché ci sono stati molto 10 mila morti (che ci sono stati), come chiamiamo quello che sta avvenendo in Iraq? E in Congo? Lì ci sono stati 4 milioni di morti. Fai una ricerca sui quotidiani via internet, e conta quante righe sono state dedicate al Congo negli ultimi 5 anni: guarda che non arrivi a 100 righe, neanche se vai a vedere il Manifesto, l’Unità, Liberazione. Questa è la situazione devastante dell’informazione.