Il
3 febbraio è partita la campagna di Emergency «Diritto al cuore»,
attraverso la quale raccogliete fondi per costruire un centro africano
gratuito di cardiochirurgia in Sudan: possibile che quando verrà
realizzato l’ospedale, un povero di Karthoum avrà meno probabilità
di morire di cuore di un povero di New York?
Assolutamente sì. Negli Stati Uniti ci sono 55 milioni di
persone – circa un 15-20% della popolazione – che non hanno diritto
all’assistenza sanitaria. Io spero che il centro di cardiochirurgia di
Karthoum, una volta che sarà funzionante, potrà diventare un posto
dove arriverà gente che fa il viaggio della speranza al contrario: dal
paese più ricco del mondo andrà a farsi operare gratuitamente nello
stato canaglia… sarebbe molto divertente e succederà…
Questa campagna è una sfida grossa, perché abbiamo voluto
dare un segnale, mostrare nella pratica che non si capisce perché se a
noi nasce un bambino con una cardiopatia congenita riteniamo che sia
nostro diritto, una cosa naturale farlo operare, mentre là deve morire.
Quella regione, il Sudan e i paesi confinanti, è grande più di tre
volte l’Europa, ci vivono 300 milioni di persone e non c’è un
ospedale cardiochirurgico di alto livello gratuito. Ci sono alcuni
centri, di livello abbastanza discutibile, che sono privati – quindi a
pagamento – oppure riservati ai militari: per la popolazione niente.
Un’area, oltretutto, dove ci sono conflitti da 25 anni: l’Eritrea
con l’Etiopia, il Sudan con l’Eritrea, il Ciad con il Sudan, il
Congo… un casino terrificante! Portare e riunire in un unico luogo
pazienti, parenti e personale anche di paesi diversi può essere un
segnale di distensione e di solidarietà. Qualche semino di pace lo si
può buttare, il senso è questo.
È
un progetto estremamente difficile, perché questo sarà un centro ad
altissima tecnologia, molto costoso, perché anche se sganci la
cardiochirurgia dal profitto comunque resta un’attività costosa,
perché i materiali costano l’ira di dio. Per cui abbiamo deciso di
chiedere ancora una volta il sostegno e la solidarietà della gente,
ciascuno che ci mette il suo mattoncino – con questo 48587 si dona un
euro. I primi risultati sono molto incoraggianti, nei primi 4-5 giorni
siamo già vicini ai 200.000 euro.
Abbiamo chiesto aiuto anche alle industrie che fabbricano
apparecchiature medicali, alcune – Siemens, General Electrics –
delle più grosse ci hanno promesso equipaggiamento e sostanziamento a
prezzo di costo.
Parliamo ora del tuo
rapporto con la Fiom. Tra l’altro oggi pomeriggio hai ricevuto la
tessera onoraria. Nel tuo intervento hai definito «un dovere» essere
qui al Congresso della Fiom…
Sì un dovere. In Italia io non ho nessuna fiducia e nessuna
simpatia per il mondo della politica e trovo invece che ci sono grandi
realtà, grandi organizzazioni – la Fiom è la prima in assoluto che
mi viene in mente – che da sempre sono impegnate sul tema della guerra
e dei diritti, che non è una cosa così scontata.
Molto spesso, nel passato, anche organizzazioni sindacali si
sono schierate a fianco della guerra, la stessa Cgil, ai tempi della
guerra con la ex Jugoslavia, ha preso una posizione allucinante. Ora che
le cose sono cambiate è un bellissimo segnale e secondo me questo è in
gran parte anche dovuto al lavoro della Fiom. Per cui se c’è un posto
dove a me piace andare è ai congressi della Fiom. Se mi avessero
invitato al congresso di un partito, qualsiasi partito, non sarei
andato.
Secondo te
l’informazione (intesa non tanto come quella “prodotta” dai grandi
media, ma quella che facciamo
noi, che va in rete, quella capillare, che è un po’ più libera) che
importanza ha avuto, ad esempio, nell’estensione del movimento che ha
detto “no alla guerra” e
per chi si impegna per un
mondo più giusto? C’è una cosa che accomuna i metalmeccanici e realtà
come Emergency: il fatto che quando riesci a comunicare, a parlare con
la gente, a spiegare quello che stai facendo (dall’ospedale di
Karthoum a un giusto contratto), ottieni dei riscontri positivi.
La comunicazione e l’informazione sono fondamentali, però
lo sono a livello del passaparola, dei rapporti interpersonali, non a
livello dei mezzi di comunicazione e informazione. Abbiamo fatto molta
fatica per riuscire a mettere insieme Peace Reporter, che credo che sia
una delle più belle realtà informative – almeno sui temi della
guerra dei diritti - che ci
siano, non soltanto in Italia. Però non sono molte queste voci. E
quindi alla fine ti ritrovi col problema di riuscire a parlare con le
persone. La Fiom è sicuramente una struttura molto capillare, dove
certi messaggi possono essere amplificati, ed è fondamentale perché su
queste cose c’è una guerra mediatica terrificante: raccontano bugie.
Per coprire una bugia ne raccontano un’altra, è questa la tecnica. Sulla
guerra, poi, sull’Iraq, ne hanno raccontate di ogni dire…
Un medico italiano che lavora nell’ospedale della Croce
Rossa italiana mi ha detto:
“tutte le volte che abbiamo messo il naso fuori dal nostro recinto
spinato, ci hanno preso a sassate”. Però poi qua ti raccontano quanto ci vogliono bene, quanto ci considerano umanitari e ci
mostrano le immagini di Scelli
con i bambini in braccio: tutte palle! Sull’Afghanistan ne hanno dette
di tutti i colori. Adesso
c’è la polemica sulle vignette con Maometto: io credo che questa
campagna sia stata strumentalizzata dai governi di Iran e Siria, perché
è vero che in quel mondo il livello di tensione è altissimo e basta
una scintilla per far divampare il fuoco, ma è anche vero che c’è
interesse a preparare mediaticamente le aggressioni militari. Ci hanno
provato anche nel passato, basta guardare alla storia del genocidio in
Darfur: un’invenzione totale. In Sudan e Darfur ci sono grossi
problemi umanitari (c’erano anche 5 anni fa, 10 anni fa), c’è stato
un’acuirsi della guerra tribale, ma nessun genocidio: un genocidio non
ti può scappare fisicamente, come fai a non vedere 50 mila morti…
Anche le parole,
forse, andrebbero usate per quel che realmente significano, invece oggi
si parla di genocidio, di olocausto con grande disinvoltura…
Non
è casuale, sai: perché se usi la parola genocidio allora puoi entrare
in vigore l’articolo 42 della Carta dell’Onu. Se è genocidio una
situazione perché ci sono stati molto 10 mila morti (che ci sono
stati), come chiamiamo quello che sta avvenendo in Iraq? E in Congo? Lì
ci sono stati 4 milioni di morti. Fai una ricerca sui quotidiani via
internet, e conta quante righe sono state dedicate al Congo negli ultimi
5 anni: guarda che non arrivi a 100 righe, neanche se vai a vedere il
Manifesto, l’Unità, Liberazione. Questa è la situazione devastante
dell’informazione.
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