Sessione organizzativa Progetto
organizzativo
Ruolo e funzioni
delle istanze congressuali L’andamento
del tesseramento degli ultimi tre anni dice che la ristrutturazione
industriale, (la scomposizione delle imprese, la chiusura o spostamento in
altri paesi di stabilimenti, la precarizzazione del lavoro) comportano la
necessità ogni anno di avere il 20% di nuovi iscritti – che significa
per -
rendere più forte la capacità di direzione politica attraverso scelte
organizzative finalizzate a cogliere i mutamenti in atto; -
rafforzare la capacità di rappresentanza e quindi l‘insediamento e la
sindacalizzazione, tenendo conto dei cambiamenti intervenuti nel sistema
industriale (dalle crisi alla frantumazione delle imprese) e nel mercato
del lavoro (la precarietà e la rottura di titolarità dei rapporti di
lavoro); dei limiti delle risorse disponibili; della scelta della Fiom di
fondare la propria natura sindacale sulla capacità di intervento sulle
condizioni nei luoghi di lavoro, e quindi sulla contrattazione, la parità
dei diritti, la partecipazione, la democrazia sindacale. Occorre
redistribuire risorse sui territori, perché è lì che è più alta oggi
la necessità di impegno legato alla sindacalizzazione e
all’insediamento; per aumentare la capacità diretta di relazione con le
lavoratrici e i lavoratori, di crescita delle Rsu che costituiscono
l’asse portante della diffusione della categoria. Ridistribuire risorse
significa concretamente produrre un cambiamento rispetto alla destinazione
delle quote tessera, e insieme rendere efficaci gli strumenti di
intervento che anche gli altri livelli (regionale e nazionale) mettono a
disposizione dell’organizzazione per il lavoro necessario alla crescita
di rappresentanza. È
necessario ricondurre a sistema coerente il modello organizzativo generale
della Fiom, superando gli aspetti di contingenza che hanno prodotto
l’attuale assetto, prendendo atto delle diverse esigenze che oggi si
pongono e che in mancanza di un adeguamento possono provocare perdita di
efficacia, scarsa chiarezza delle funzioni, dispersione delle risorse.
Contemporaneamente bisogna creare le condizioni per dare risposte adeguate
e specifiche alle differenze esistenti fra territori, insediamenti
produttivi, condizioni particolari. In questi anni, infatti, la struttura
organizzativa è in parte cambiata, secondo spinte diverse a volte con
effetti contraddittori. In questo senso lo snodo fra centro e territori,
costituito dai regionali – in alcuni casi insieme alle Fiom
metropolitane – svolge una funzione essenziale. Parallelamente,
le crisi industriali, le delocalizzazioni, l’aumento della complessità
nella struttura proprietaria della imprese multinazionali, il ruolo delle
istituzioni, hanno fatto crescere l’esigenza del coinvolgimento della
Fiom nazionale nelle vertenze. Si
tratta di confermare la scelta di coniugare il radicamento sul territorio
a una visione generale. Le funzioni
Lo
Statuto della Fiom è esplicito nel definire cosa sono i tre livelli
congressuali della categoria e ci dà una chiave interpretativa importante
per il necessario chiarimento sulle funzioni e le relazioni fra le diverse
istanze. Il
sindacato territoriale secondo lo Statuto della Fiom, titolo II, articolo 15, è costituito da
tutti i lavoratori e le lavoratrici metalmeccanici aderenti dello stesso
comprensorio; la sua costituzione è obbligatoria; si può articolare in
leghe o in zone; è parte integrante della CdLt. Il
sindacato territoriale ha quindi la rappresentanza diretta delle
lavoratrici e dei lavoratori, è titolare della contrattazione sul
territorio, del rapporto con le rsu; esercita l’interlocuzione con tutti
i livelli istituzionali che interagiscono con tale rappresentanza, con gli
altri sindacati ed è parte della direzione della Cdlt. Gli iscritti si
tesserano al sindacato territoriale, che poi ridistribuisce risorse agli
altri livelli della Fiom e alla confederazione secondo quanto stabilito
dalla canalizzazione. Partecipa per la sua parte di rappresentanza ai
coordinamenti di gruppi nazionali. Il
sindacato regionale
secondo lo Statuto della Fiom, titolo II, articolo 16, è l’insieme dei
sindacati territoriali della stessa regione; ha il compito di elaborazione
e di direzione politica e organizzativa; la direzione nazionale può
affidare al regionale compiti di direzione e di rappresentanza generale
rispetto a gruppi, settori produttivi, progetti. Su delega nazionale,
esercita la funzione di centro regolatore (titolo I, articolo 7 o) dello
Statuto). Il
sindacato regionale ha perciò funzioni di coordinamento e di direzione
politica e organizzativa, non di rappresentanza diretta, ed è l’insieme
dei sindacati territoriali che garantiscono attraverso questa istanza la
messa in comune di risorse e competenze, di lavoro necessario al
funzionamento dell’organizzazione. Contemporaneamente costituisce anche
una articolazione della struttura nazionale, attraverso lo sviluppo
nell’organizzazione delle attività decise a livello nazionale:
organizzative, di coordinamento dei Cae, coordinamenti di settori presenti
in più territori della regione; sostiene le strutture territoriali che lo
richiedono nella contrattazione, ha la responsabilità della
contrattazione regionale dell’artigianato. Interloquisce con la
confederazione e con gli altri sindacati, rappresenta la categoria nel
rapporto con i livelli istituzionali sulle politiche generali che la
riguardano. Va
superata ogni possibile sovrapposizione o sovraordinamento fra i livelli
regionale e territoriale, che hanno funzioni distinte: il regionale è
l’insieme delle strutture territoriali, con compiti di coordinamento e
direzione politica e organizzativa; il territoriale ha la titolarità
della contrattazione e della rappresentanza degli iscritti. In questa
logica, i componenti dei territori in quanto parte integrante del
regionale, possono svolgere funzioni di direzione regionale anche con
responsabilità specifiche. Quando
le Fiom provinciali rappresentano circa la metà degli iscritti nella
regione, il loro impegno diretto nella struttura e nelle responsabilità
regionali è condizione necessaria. Ciò
significa portare sempre più a sinergia i due livelli, nella chiara
distinzione delle funzioni, promuovendo anche l’intreccio fra
responsabilità regionali e di territorio, per rendere maggiormente
efficace il loro ruolo attraverso le specifiche competenze, una migliore
divisione del lavoro che rafforzi sia i territori che la struttura
regionale. La messa in comune della struttura tecnica laddove ci sono le
condizioni, è necessaria per liberare risorse per l’attività
sindacale, oltre che per offrire ai territori minori strumenti più
efficaci. Il coordinamento di alcune attività in particolare legate agli
aspetti organizzativi (ad esempio attività amministrative, accesso alle
banche dati degli iscritti) costituisce aspetto fondamentale per
l’autonomia della categoria. Le difficoltà con cui la commissione
organizzazione ha dovuto misurarsi nella raccolta dei dati necessari, è
la chiara dimostrazione della perdita di accesso immediato a conoscenze
indispensabili per progettare il nostro lavoro e di come anche la scarsità
di risorse abbia indebolito la disponibilità di strumenti fondamentali
per la categoria, che La
struttura regionale ha anche il compito di rappresentare il nazionale sui
territori. Questo aspetto deve essere rafforzato e reso maggiormente
esplicito, nella consapevolezza della sua rilevanza soprattutto per i
comprensori medi e piccoli. Ciò è direttamente nelle sue funzioni
primarie di coordinamento politico e organizzativo, ma va anche
interpretata come necessaria risposta alla esigenza crescente di
coordinamenti di gruppo e ancor più di responsabilità di progetti, la
cui soluzione non può essere l’accentramento a Roma. Proposta operativa
Per
tutte le regioni con un numero di iscritti inferiore a 15.000, sarà
progressivamente un segretario territoriale a svolgere la funzione di
segretario-coordinatore regionale (oggi un modello simile è in 10
strutture su 14). La
non sovrapposizione e la sinergia fra strutture nei territori con un
limitato numero di iscritti e condizioni specifiche, può essere
realizzata anche in modo rovesciato, con una segreteria regionale che
svolge funzioni di coordinamento nei territori. Per
le regioni da Per
le regioni maggiori (2) in cui va mantenuta una struttura regionale più
complessa, comunque le dimensioni vanno adeguate alle funzioni di
coordinamento necessarie e agli incarichi nazionali. La
struttura esecutiva dei regionali è costituita dalle compagne e dai
compagni cui vengono attribuiti compiti specifici; non è sede di
riequilibrio dei pluralismi e quindi la sua dimensione è vincolata solo
alle esigenze esecutive. Questi, con i segretari territoriali formano la
direzione che è, insieme al direttivo, l’organismo politico del
regionale. La
scelta per i territori dell’articolazione in zone/leghe e comunque di un
adeguato decentramento, è fondamentale per garantire l’insediamento e
dove non realizzata, va messa in atto. Una
volta chiarita la struttura organizzativa nell’articolazione delle tre
istanze congressuali e rispetto alle Fiom metropolitane, Risorse e
canalizzazione
Le
dimensioni delle diverse strutture sono anche definite dalle risorse
disponibili, che provengono dal tesseramento e quindi dall’attività
diretta sul territorio. Perciò il territorio deve avere le risorse
necessarie che consentano di svolgere l’attività politica e sindacale
dovuta. E deve avere un ritorno in termini di utilità e solidarietà
dalle strutture regionali, nazionale e confederali. Bisogna decidere qual
è da questo punto di vista la soglia indispensabile, rovesciando in parte
la logica attuale, e da qui ragionare sulla destinazione delle risorse
agli altri livelli. La tessera al momento dell’acquisto costa alla
struttura della categoria territoriale 4,27 euro che vanno alla
confederazione; al netto di questo, il 25% è destinato alla
confederazione e il 75% resta alla categoria, che canalizza l’8% alla
Fiom nazionale. Resta il 67% per territorio e regionale, che ha valore
diverso rispetto alla massa complessiva di risorse disponibili, e quindi
al numero degli iscritti. E ovvio infatti che per le regioni maggiori la
quota tessera necessaria per svolgere le proprie funzioni è minore, e
anche che l’intreccio fra struttura regionale e provinciali libera
risorse. Allo stato attuale, non c’è una regola uniforme rispetto alla
canalizzazione regionale ed è complicato un ragionamento di parità e di
trasparenza perché negli anni si sono stratificate storie e situazioni
che hanno portato a differenze consistenti (la canalizzazione va dal 3 al
13%). Bisogna perciò fare una scelta che corrisponda ai vincoli che
decidiamo di assumere. Sappiamo
che oggi con la frantumazione delle imprese e dell’occupazione il lavoro
necessario per l’attività sindacale e per raggiungere nuovi iscritti è
maggiore e più costoso. Anche la configurazione del territorio, la sua
dimensione e il suo posizionamento nel territorio nazionale, sono elementi
decisivi da considerare. Basti pensare ad esempio che in Emilia-Romagna
c’è un iscritto alla Fiom ogni 57 abitanti, mentre in Calabria il
rapporto è uno a 823. Come d’altra parte è necessario tenere in conto
l’effetto dei cambiamenti intervenuti intorno alle città caratterizzate
dai grandi, storici insediamenti industriali. Sulla
base di queste prime considerazioni e tenendo conto delle spese per il
personale, per la struttura e per gli altri servizi che comportano costi
aggiuntivi nel rapporto con la confederazione, va definita la quota di
risorse indispensabile per il territorio, a partire dal riparto nella
Fiom, ma anche con l’obiettivo di avviare una riflessione che coinvolga
il livello confederale. Restando
a ciò che è disponibile decidere a livello di categoria, possiamo
convenire che al comprensorio, fatte le dovute canalizzazioni, non può
restare meno del 61% delle risorse provenienti dal tesseramento. Ciò
significa che la canalizzazione massima per i regionali è pari al 6%,
attraverso una forbice che tenga conto delle differenze sopra elencate.
Questo è l’obiettivo da raggiungere nel corso del 2007, mettendo in
atto in raccordo con Appunti per una
discussione confederale
Se, come affermiamo, la nostra forza è nella
rappresentanza, ed è per questo che La
scomposizione del ciclo, la disarticolazione dell’impresa in tante
imprese di diversi settori merceologici, ci chiede una nuova capacità di
mettere insieme per garantire parità e stabilità dei diritti, coerenza
contrattuale, recuperando per questa via potere negoziale. Se
siamo un sindacato generale e di rappresentanza, bisogna anche
interrogarsi sulla funzione del Sistema servizi della Cgil nel senso della
relazione fra tutela individuale e tutela collettiva, e quindi del
rapporto fra servizi e categorie, anche rispetto alle politiche di
insediamento. Il sistema servizi non può essere slegato dai compiti di
tutela degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori; perciò il
valore sociale dell’insieme del sistema deve essere assolutamente
prevalente. Esistono casi positivi in questa direzione, come per esempio
nel rapporto fra l’Inca e alcune realtà territoriali. In questa
direzione è certamente un utile sostegno ai processi di sindacalizzazione
la vicinanza ai luoghi di lavoro e la gratuità per gli iscritti dei
servizi fiscali; e diventa sempre più indispensabile anche tenendo conto
dei processi di crisi e ristrutturazione industriale in atto, avere uffici
vertenze intercategoriali o comunque in stretta relazione con la categoria
che sappiano coniugare l’intervento sindacale all’assistenza legale. Si
pone poi la questione dell’artigianato e di come vogliamo dare
rappresentanza diretta a quei lavoratori, in quanto una rappresentanza che
non sia agita nel rapporto diretto con le lavoratrici e con i lavoratori
resta un fatto burocratico senza effetti reali. Di conseguenza le risorse
che provengono dagli enti bilaterali vanno destinate alla loro originaria
motivazione. In
tema di distribuzione delle risorse e di canalizzazione, le difficoltà
particolarmente accentuate in cui si trovano tutte le categorie che hanno
come unica entrata le quote tessera, interroga la confederazione visto che
la centralità per tutti è mantenere e allargare la rappresentanza del
lavoro dipendente. Le condizioni diverse determinate dall’assenza o meno
di altri canali di sostegno alle attività non soggetti alla
canalizzazione, o alla disponibilità di distacchi pubblici o legge 300
(il cui utilizzo con le nuove normative si fa per altro più delicato), va
valutata. Infine,
va affrontato il tema del rapporto con lo Spi sotto due aspetti: il primo,
più immediato, riguarda la sperimentazione anche a livello generale di
forme di convenzione già discusse in alcuni territori fra sindacato dei
pensionati e categoria, sul tesseramento del primo periodo e sulle
collaborazioni; il secondo, più strutturale, è riferito a una analisi di
cosa comporta e comporterà progressivamente in modo più accentuato la
riforma delle pensioni rispetto alla tutela previdenziale. Lo Spi come
sindacato dei pensionati di tutte le categorie si fonda su un sistema
previdenziale che aveva come riferimento unico l’Inps; ormai questo
schema è definitivamente modificato e la cosiddetta seconda gamba del
sistema, costituita dalla pensione integrativa, al di là di ogni altra
valutazione, è parte integrante del sistema, ed è strettamente collegata
alla categoria. Ciò pone la questione di una forma di doppia tessera per
gli iscritti pensionati. Montesilvano, 9 febbraio 2006
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