Sessione organizzativa


Progetto organizzativo

Ruolo e funzioni delle istanze congressuali

L’andamento del tesseramento degli ultimi tre anni dice che la ristrutturazione industriale, (la scomposizione delle imprese, la chiusura o spostamento in altri paesi di stabilimenti, la precarizzazione del lavoro) comportano la necessità ogni anno di avere il 20% di nuovi iscritti – che significa per la Fiom 70.000 nuovi iscritti – per mantenere lo stesso livello di rappresentanza. Un’organizzazione che basa le sue entrate sulle quote associative e la propria forza negoziale sul consenso delle lavoratrici e dei lavoratori, non può non considerare questo aspetto come priorità.

La Fiom è composta da 117 comprensori, che vanno da oltre 20.000 iscritti a poche centinaia. È una organizzazione con una forte identità collettiva e insieme con grandi differenze. La relazione e la solidarietà fra le strutture, la partecipazione di tutti alle scelte che si compiono e alla loro attuazione, sono un’esigenza fondamentale per il raggiungimento di questi obiettivi:

- rendere più forte la capacità di direzione politica attraverso scelte organizzative finalizzate a cogliere i mutamenti in atto;

- rafforzare la capacità di rappresentanza e quindi l‘insediamento e la sindacalizzazione, tenendo conto dei cambiamenti intervenuti nel sistema industriale (dalle crisi alla frantumazione delle imprese) e nel mercato del lavoro (la precarietà e la rottura di titolarità dei rapporti di lavoro); dei limiti delle risorse disponibili; della scelta della Fiom di fondare la propria natura sindacale sulla capacità di intervento sulle condizioni nei luoghi di lavoro, e quindi sulla contrattazione, la parità dei diritti, la partecipazione, la democrazia sindacale.

Occorre redistribuire risorse sui territori, perché è lì che è più alta oggi la necessità di impegno legato alla sindacalizzazione e all’insediamento; per aumentare la capacità diretta di relazione con le lavoratrici e i lavoratori, di crescita delle Rsu che costituiscono l’asse portante della diffusione della categoria. Ridistribuire risorse significa concretamente produrre un cambiamento rispetto alla destinazione delle quote tessera, e insieme rendere efficaci gli strumenti di intervento che anche gli altri livelli (regionale e nazionale) mettono a disposizione dell’organizzazione per il lavoro necessario alla crescita di rappresentanza.

La Fiom conferma la scelta di articolarsi in una struttura organizzativa con tre livelli congressuali in grado di interpretare la confederalità come integrazione di competenze e di titolarità, che per la categoria si fondano sulla contrattazione nei luoghi della produzione, e non certo come delega o cessione di responsabilità. Le categorie della Cgil sono infatti confederali perché hanno l’obiettivo della riunificazione e del miglioramento della condizione delle lavoratrici e dei lavoratori e quindi di allargare la rappresentanza indipendentemente dalla pluralità dei rapporti di lavoro, dei tipi e della dimensione delle aziende, delle differenze soggettive e culturali oggi esistenti, secondo una idea di uguaglianza sempre più complessa.

È necessario ricondurre a sistema coerente il modello organizzativo generale della Fiom, superando gli aspetti di contingenza che hanno prodotto l’attuale assetto, prendendo atto delle diverse esigenze che oggi si pongono e che in mancanza di un adeguamento possono provocare perdita di efficacia, scarsa chiarezza delle funzioni, dispersione delle risorse. Contemporaneamente bisogna creare le condizioni per dare risposte adeguate e specifiche alle differenze esistenti fra territori, insediamenti produttivi, condizioni particolari. In questi anni, infatti, la struttura organizzativa è in parte cambiata, secondo spinte diverse a volte con effetti contraddittori. In questo senso lo snodo fra centro e territori, costituito dai regionali – in alcuni casi insieme alle Fiom metropolitane – svolge una funzione essenziale.

Parallelamente, le crisi industriali, le delocalizzazioni, l’aumento della complessità nella struttura proprietaria della imprese multinazionali, il ruolo delle istituzioni, hanno fatto crescere l’esigenza del coinvolgimento della Fiom nazionale nelle vertenze.

Si tratta di confermare la scelta di coniugare il radicamento sul territorio a una visione generale.

La Fiom deve anche mettere in campo progetti con valenza nazionale a sostegno dell’insediamento e per una politica che preveda la circolarità delle esperienze, la crescita delle competenze, il rinnovamento dei gruppi dirigenti e la diversificazione di genere, di etnia, di provenienza professionale. Vanno ripensati in questa logica gli strumenti informativi rivolti ai lavoratori e agli iscritti; va implementata e sperimentata una formazione di base per i delegati che dia loro adeguate conoscenze, a partire da quella che è la storia della Fiom, per dotarli di strumenti che consentano loro di rapportarsi correttamente ai lavoratori e alle lavoratrici; va valutato un utilizzo diverso, più attento e articolato dei distacchi; va promosso il rapporto di collaborazione volontaria con le compagne e i compagni al momento della pensione, trasferendo nella collaborazione l’utilizzo delle loro competenze e aprendosi di più anche al «rischio» di sperimentare nelle segreterie nuovi quadri sindacali. Un’organizzazione i cui gruppi dirigenti invecchiano progressivamente e non affronta il problema, è per ciò stesso miope rispetto al futuro. È necessario invece non solo oggi agire nell’ottica di conservare lo stesso livello di rappresentanza della Fiom, nonostante la perdita di occupazione stabile, ma anche porsi l’obiettivo della crescita. I positivi risultati del tesseramento 2005 in alcune regioni sono da questo punto di vista incoraggianti.  

 

Le funzioni

Lo Statuto della Fiom è esplicito nel definire cosa sono i tre livelli congressuali della categoria e ci dà una chiave interpretativa importante per il necessario chiarimento sulle funzioni e le relazioni fra le diverse istanze.

Il sindacato territoriale secondo lo Statuto della Fiom, titolo II, articolo 15, è costituito da tutti i lavoratori e le lavoratrici metalmeccanici aderenti dello stesso comprensorio; la sua costituzione è obbligatoria; si può articolare in leghe o in zone; è parte integrante della CdLt.

Il sindacato territoriale ha quindi la rappresentanza diretta delle lavoratrici e dei lavoratori, è titolare della contrattazione sul territorio, del rapporto con le rsu; esercita l’interlocuzione con tutti i livelli istituzionali che interagiscono con tale rappresentanza, con gli altri sindacati ed è parte della direzione della Cdlt. Gli iscritti si tesserano al sindacato territoriale, che poi ridistribuisce risorse agli altri livelli della Fiom e alla confederazione secondo quanto stabilito dalla canalizzazione. Partecipa per la sua parte di rappresentanza ai coordinamenti di gruppi nazionali.

Il sindacato regionale secondo lo Statuto della Fiom, titolo II, articolo 16, è l’insieme dei sindacati territoriali della stessa regione; ha il compito di elaborazione e di direzione politica e organizzativa; la direzione nazionale può affidare al regionale compiti di direzione e di rappresentanza generale rispetto a gruppi, settori produttivi, progetti. Su delega nazionale, esercita la funzione di centro regolatore (titolo I, articolo 7 o) dello Statuto).

Il sindacato regionale ha perciò funzioni di coordinamento e di direzione politica e organizzativa, non di rappresentanza diretta, ed è l’insieme dei sindacati territoriali che garantiscono attraverso questa istanza la messa in comune di risorse e competenze, di lavoro necessario al funzionamento dell’organizzazione. Contemporaneamente costituisce anche una articolazione della struttura nazionale, attraverso lo sviluppo nell’organizzazione delle attività decise a livello nazionale: organizzative, di coordinamento dei Cae, coordinamenti di settori presenti in più territori della regione; sostiene le strutture territoriali che lo richiedono nella contrattazione, ha la responsabilità della contrattazione regionale dell’artigianato. Interloquisce con la confederazione e con gli altri sindacati, rappresenta la categoria nel rapporto con i livelli istituzionali sulle politiche generali che la riguardano.

La Federazione nazionale secondo lo Statuto della Fiom, titolo II, articolo 19, è costituita da tutti i sindacati regionali e territoriali.

Va superata ogni possibile sovrapposizione o sovraordinamento fra i livelli regionale e territoriale, che hanno funzioni distinte: il regionale è l’insieme delle strutture territoriali, con compiti di coordinamento e direzione politica e organizzativa; il territoriale ha la titolarità della contrattazione e della rappresentanza degli iscritti. In questa logica, i componenti dei territori in quanto parte integrante del regionale, possono svolgere funzioni di direzione regionale anche con responsabilità specifiche.

Quando le Fiom provinciali rappresentano circa la metà degli iscritti nella regione, il loro impegno diretto nella struttura e nelle responsabilità regionali è condizione necessaria.

Ciò significa portare sempre più a sinergia i due livelli, nella chiara distinzione delle funzioni, promuovendo anche l’intreccio fra responsabilità regionali e di territorio, per rendere maggiormente efficace il loro ruolo attraverso le specifiche competenze, una migliore divisione del lavoro che rafforzi sia i territori che la struttura regionale. La messa in comune della struttura tecnica laddove ci sono le condizioni, è necessaria per liberare risorse per l’attività sindacale, oltre che per offrire ai territori minori strumenti più efficaci. Il coordinamento di alcune attività in particolare legate agli aspetti organizzativi (ad esempio attività amministrative, accesso alle banche dati degli iscritti) costituisce aspetto fondamentale per l’autonomia della categoria. Le difficoltà con cui la commissione organizzazione ha dovuto misurarsi nella raccolta dei dati necessari, è la chiara dimostrazione della perdita di accesso immediato a conoscenze indispensabili per progettare il nostro lavoro e di come anche la scarsità di risorse abbia indebolito la disponibilità di strumenti fondamentali per la categoria, che la Fiom deve recuperare. Inoltre, la mobilità interna fra funzioni e territori può garantire il mantenimento delle esperienze nella Fiom a scadenza di mandato, in modo più efficace della moltiplicazione delle funzioni.

La struttura regionale ha anche il compito di rappresentare il nazionale sui territori. Questo aspetto deve essere rafforzato e reso maggiormente esplicito, nella consapevolezza della sua rilevanza soprattutto per i comprensori medi e piccoli. Ciò è direttamente nelle sue funzioni primarie di coordinamento politico e organizzativo, ma va anche interpretata come necessaria risposta alla esigenza crescente di coordinamenti di gruppo e ancor più di responsabilità di progetti, la cui soluzione non può essere l’accentramento a Roma.

 

Proposta operativa

Per tutte le regioni con un numero di iscritti inferiore a 15.000, sarà progressivamente un segretario territoriale a svolgere la funzione di segretario-coordinatore regionale (oggi un modello simile è in 10 strutture su 14).

La non sovrapposizione e la sinergia fra strutture nei territori con un limitato numero di iscritti e condizioni specifiche, può essere realizzata anche in modo rovesciato, con una segreteria regionale che svolge funzioni di coordinamento nei territori.

Per le regioni da 40.000 a 15.000 iscritti (5), la funzione di segretario regionale può essere a tempo pieno; il coordinamento politico regionale a tempo pieno sarà al massimo formato da due compagni.

Per le regioni maggiori (2) in cui va mantenuta una struttura regionale più complessa, comunque le dimensioni vanno adeguate alle funzioni di coordinamento necessarie e agli incarichi nazionali.

La struttura esecutiva dei regionali è costituita dalle compagne e dai compagni cui vengono attribuiti compiti specifici; non è sede di riequilibrio dei pluralismi e quindi la sua dimensione è vincolata solo alle esigenze esecutive. Questi, con i segretari territoriali formano la direzione che è, insieme al direttivo, l’organismo politico del regionale.

La scelta per i territori dell’articolazione in zone/leghe e comunque di un adeguato decentramento, è fondamentale per garantire l’insediamento e dove non realizzata, va messa in atto.

Una volta chiarita la struttura organizzativa nell’articolazione delle tre istanze congressuali e rispetto alle Fiom metropolitane, la Fiom deve avere i necessari margini di flessibilità per cogliere esigenze specifiche che corrispondano alle caratteristiche di particolari insediamenti produttivi, come quelli che incidono su più territori o più regioni, o nei quali i processi di ristrutturazione hanno avuto effetti più dirompenti, o si è fortemente diversificata la composizione delle lavoratrici e dei lavoratori per età e caratteristiche professionali. È compito della Fiom nazionale attivare progetti straordinari a sostegno della crescita della rappresentanza e per aumentare la capacità di dare risposta alle esigenze di presenza del sindacato vicino ai luoghi di produzione e con le giuste competenze. Tali progetti saranno presentati al Comitato centrale e definiti nei costi e negli obiettivi, rendendo anche in questo modo trasparenti le scelte di sostegno che la Fiom compie e la funzione di solidarietà fra strutture che la Fiom nazionale esercita.  

 

Risorse e canalizzazione

Le dimensioni delle diverse strutture sono anche definite dalle risorse disponibili, che provengono dal tesseramento e quindi dall’attività diretta sul territorio. Perciò il territorio deve avere le risorse necessarie che consentano di svolgere l’attività politica e sindacale dovuta. E deve avere un ritorno in termini di utilità e solidarietà dalle strutture regionali, nazionale e confederali. Bisogna decidere qual è da questo punto di vista la soglia indispensabile, rovesciando in parte la logica attuale, e da qui ragionare sulla destinazione delle risorse agli altri livelli. La tessera al momento dell’acquisto costa alla struttura della categoria territoriale 4,27 euro che vanno alla confederazione; al netto di questo, il 25% è destinato alla confederazione e il 75% resta alla categoria, che canalizza l’8% alla Fiom nazionale. Resta il 67% per territorio e regionale, che ha valore diverso rispetto alla massa complessiva di risorse disponibili, e quindi al numero degli iscritti. E ovvio infatti che per le regioni maggiori la quota tessera necessaria per svolgere le proprie funzioni è minore, e anche che l’intreccio fra struttura regionale e provinciali libera risorse. Allo stato attuale, non c’è una regola uniforme rispetto alla canalizzazione regionale ed è complicato un ragionamento di parità e di trasparenza perché negli anni si sono stratificate storie e situazioni che hanno portato a differenze consistenti (la canalizzazione va dal 3 al 13%). Bisogna perciò fare una scelta che corrisponda ai vincoli che decidiamo di assumere.

Sappiamo che oggi con la frantumazione delle imprese e dell’occupazione il lavoro necessario per l’attività sindacale e per raggiungere nuovi iscritti è maggiore e più costoso. Anche la configurazione del territorio, la sua dimensione e il suo posizionamento nel territorio nazionale, sono elementi decisivi da considerare. Basti pensare ad esempio che in Emilia-Romagna c’è un iscritto alla Fiom ogni 57 abitanti, mentre in Calabria il rapporto è uno a 823. Come d’altra parte è necessario tenere in conto l’effetto dei cambiamenti intervenuti intorno alle città caratterizzate dai grandi, storici insediamenti industriali.

Sulla base di queste prime considerazioni e tenendo conto delle spese per il personale, per la struttura e per gli altri servizi che comportano costi aggiuntivi nel rapporto con la confederazione, va definita la quota di risorse indispensabile per il territorio, a partire dal riparto nella Fiom, ma anche con l’obiettivo di avviare una riflessione che coinvolga il livello confederale.  

Restando a ciò che è disponibile decidere a livello di categoria, possiamo convenire che al comprensorio, fatte le dovute canalizzazioni, non può restare meno del 61% delle risorse provenienti dal tesseramento. Ciò significa che la canalizzazione massima per i regionali è pari al 6%, attraverso una forbice che tenga conto delle differenze sopra elencate. Questo è l’obiettivo da raggiungere nel corso del 2007, mettendo in atto in raccordo con la Fiom nazionale e nel rapporto con la Cgil , progetti finalizzati ai necessari percorsi di riorganizzazione e di mobilità interna utili a questo obiettivo e a rafforzare la presenza sul territorio. Nel frattempo va verificata la possibilità di soluzioni diverse rispetto all’attuale modello di canalizzazione sperimentate in alcune strutture, che possono dare maggiore certezza rispetto alle quantità di risorse disponibili e ai tempi, come la cifra fissa per iscritto sulla base del tesseramento dell’anno precedente.

La Fiom nazionale, direttamente o attraverso i regionali sulla base di progetti speciali e finalizzati all’insediamento e alla crescita della rappresentanza che vengono via via assunti, contribuisce in modo più trasparente ed efficace al sostegno dei territori.

 

Appunti per una discussione confederale

La Fiom , a partire dal suo congresso, nel momento in cui avvia un percorso per adeguare il proprio modello organizzativo e quindi affronta il tema delle risorse avendo scelto la centralità della contrattazione, pone anche a tutta la confederazione la necessità non più eludibile di decidere le modalità con cui aprire la discussione sulla riforma organizzativa della Cgil. Ciò significa affrontare le questioni finanziarie, ridefinire gli assetti delle categorie e dei contratti, non attraverso scelte che predeterminano processi, ma passando per un confronto limpido, per una discussione a tutto campo.  

Se, come affermiamo, la nostra forza è nella rappresentanza, ed è per questo che la Cgil è sindacato generale, le scelte che si compiono devono andare nella direzione di un rafforzamento della rappresentanza e della capacità contrattuale, tenendo conto dei cambiamenti intervenuti, non per adattarsi alle scelte delle imprese sulla scomposizione del lavoro, ma appunto per ricomporre, sconfiggendo l’idea del lavoratore sempre più solo di fronte all’impresa, che invece è parte di un grande sistema. In questo senso, la decisione assunta dalla Fiom nel documento politico conclusivo del congresso anticipato del 2004 di proporre piattaforme di sito produttivo e di filiera come sperimentazione in concreto di prime costruzioni dl sindacato dell’industria, necessita dell’apertura di una riflessione di tutta la confederazione. Procedere per progressivi accorpamenti di categorie senza esplicitare il progetto di modello sindacale e contrattuale, o non opporsi alla tendenza a sovrapporre l’area di applicazione dei contratti nazionali, predetermina nei fatti una scelta organizzativa che prescinde dal confronto politico. Allo stesso modo, nei territori la sinergia fra categorie dell’industria nella contrattazione di sito e di filiera rafforza il modello di un sindacato che radica la contrattazione nei luoghi di lavoro rifiutando l’impostazione per cui si contrattano le tutele fuor dai cancelli, mentre dentro decidono le esigenze di competitività sui costi dettate dalle imprese.

La scomposizione del ciclo, la disarticolazione dell’impresa in tante imprese di diversi settori merceologici, ci chiede una nuova capacità di mettere insieme per garantire parità e stabilità dei diritti, coerenza contrattuale, recuperando per questa via potere negoziale.

Se siamo un sindacato generale e di rappresentanza, bisogna anche interrogarsi sulla funzione del Sistema servizi della Cgil nel senso della relazione fra tutela individuale e tutela collettiva, e quindi del rapporto fra servizi e categorie, anche rispetto alle politiche di insediamento. Il sistema servizi non può essere slegato dai compiti di tutela degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori; perciò il valore sociale dell’insieme del sistema deve essere assolutamente prevalente. Esistono casi positivi in questa direzione, come per esempio nel rapporto fra l’Inca e alcune realtà territoriali. In questa direzione è certamente un utile sostegno ai processi di sindacalizzazione la vicinanza ai luoghi di lavoro e la gratuità per gli iscritti dei servizi fiscali; e diventa sempre più indispensabile anche tenendo conto dei processi di crisi e ristrutturazione industriale in atto, avere uffici vertenze intercategoriali o comunque in stretta relazione con la categoria che sappiano coniugare l’intervento sindacale all’assistenza legale.

Si pone poi la questione dell’artigianato e di come vogliamo dare rappresentanza diretta a quei lavoratori, in quanto una rappresentanza che non sia agita nel rapporto diretto con le lavoratrici e con i lavoratori resta un fatto burocratico senza effetti reali. Di conseguenza le risorse che provengono dagli enti bilaterali vanno destinate alla loro originaria motivazione.

In tema di distribuzione delle risorse e di canalizzazione, le difficoltà particolarmente accentuate in cui si trovano tutte le categorie che hanno come unica entrata le quote tessera, interroga la confederazione visto che la centralità per tutti è mantenere e allargare la rappresentanza del lavoro dipendente. Le condizioni diverse determinate dall’assenza o meno di altri canali di sostegno alle attività non soggetti alla canalizzazione, o alla disponibilità di distacchi pubblici o legge 300 (il cui utilizzo con le nuove normative si fa per altro più delicato), va valutata.  

Infine, va affrontato il tema del rapporto con lo Spi sotto due aspetti: il primo, più immediato, riguarda la sperimentazione anche a livello generale di forme di convenzione già discusse in alcuni territori fra sindacato dei pensionati e categoria, sul tesseramento del primo periodo e sulle collaborazioni; il secondo, più strutturale, è riferito a una analisi di cosa comporta e comporterà progressivamente in modo più accentuato la riforma delle pensioni rispetto alla tutela previdenziale. Lo Spi come sindacato dei pensionati di tutte le categorie si fonda su un sistema previdenziale che aveva come riferimento unico l’Inps; ormai questo schema è definitivamente modificato e la cosiddetta seconda gamba del sistema, costituita dalla pensione integrativa, al di là di ogni altra valutazione, è parte integrante del sistema, ed è strettamente collegata alla categoria. Ciò pone la questione di una forma di doppia tessera per gli iscritti pensionati.

 

Montesilvano, 9 febbraio 2006

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