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         Mercoledì
        8 febbraio, Giuliano Giuliani è intervenuto al XXIV Congresso della
        Fiom accolto dall’abbraccio delle delegate e dei delegati.
        
         
        Subito
        dopo, in una sala gremita, ha presentato il materiale – foto e filmati
        – utilizzato per l’archiviazione dell’assassinio di Carlo il 20
        luglio 2001 a Genova. Su questo e altro gli abbiamo rivolto alcune
        domande.
        
         
         
        
         
        «Chi
        ignora la storia è condannato a riviverla»
        
         
         
        
         
        Domanda.
        Giuliano, tu stai portando a
        conoscenza di molti, e ieri lo hai presentato al Congresso della Fiom,
        il materiale – foto e filmati – utilizzato per l’archiviazione
        dell’assassinio di Carlo il 20 luglio 2001 a Genova. Di che si tratta
        e che reazioni ci sono tra chi vi assiste.
        
         
         Giuliani. Il materiale che ho raccolto viene dagli atti del
        Tribunale. Considero grave che non l’abbiano osservato con la dovuta attenzione: l’archiviazione del procedimento
        dimostra che non sono stati presi in considerazione gli aspetti più
        evidenti.
        
         
        Le reazioni delle persone che assistono a queste proiezioni,
        ai commenti che cerco di fare delle varie fotografie, sono certo di
        grande emozione, ma testimoniano anche una presa d’atto del modo in
        cui funziona – purtroppo – un apparato che tende a nascondere la
        verità e che tende a portare avanti sempre di più una logica di
        impunità dei responsabili. 
        
         
        E siccome l’evento tragico di Piazza Alimonda, e più in
        generale di tutta la vicenda genovese del 2001, è stato quello più
        ripreso, più fotografato, più filmato, più testimoniato, comparando
        la verità con gli imbrogli – io li chiamo così – che hanno fatto
        nel Tribunale, nelle sedi dei giornali, non parliamo della televisione
        che è la maestra dell’imbroglio, la gente capisce tutte le falsità
        che ci hanno raccontato dal 1947 a oggi. Io ricordo spesso che le prime
        falsità ce le hanno raccontate su Portella della Ginestra per non
        parlare di tutto il resto: piazza Fontana, piazza della Loggia, Ustica,
        Bologna ecc. E da questo si ricava una sensazione anche di coscienza del
        rischio, del pericolo che corre la democrazia di questo paese.
        
         
         
        
         
        Alla
        generazione dei 30-35enni, che non ha vissuto il clima degli anni
        Settanta, l’assassinio di Carlo ha fatto cambiare radicalmente la
        visione di una certa realtà. Cose che sembravano destinate a rimanere
        nei racconti dei padri si sono drammaticamente ripresentate.
        
        
         
        Comprendo
        questa differenza e anche questa fatica, per la vostra generazione, a
        capire quello che è successo, perché quando è avvenuta l’uccisione
        di Carlo, per fortuna erano passati 24 anni dall’ultimo morto
        ammazzato dalle cosiddette forze dell’ordine in una manifestazione, la
        povera Giorgiana Masi. Si è trattato, quindi, di un triste risveglio,
        nel senso che si è riscoperto tardi, colpevolmente, che all’interno
        delle forze dell’ordine era successo qualcosa di molto brutto. Io sono
        ancora convinto che le presenze, a Genova, nei luoghi che gestivano
        l’ordine pubblico – o meglio, il disordine pubblico – di Fini, di
        parlamentari di Alleanza nazionale, della maggioranza, è la conferma
        del fatto che era cambiato il clima e che la destra, la parte più
        aggressiva, fascista – nonostante un po’ di purghe a Fiuggi e con
        altre bevute di acqua minerale, probabilmente del tutto insufficienti
        – appena giunta al potere ha detto: «adesso basta, non si scherza più,
        ci siamo noi e si fa così». 
        
         
        Questo
        è stato un fatto nuovo per quella generazione e un triste risveglio per
        le generazioni precedenti. Io continuo a dire che la responsabilità di
        quello che è successo è anche nostra, della mia generazione, perché
        siamo stati protagonisti di una grande battaglia per la
        democratizzazione sfociata nei primi anni Ottanta con la riforma della
        polizia, il sindacato di polizia ecc.; ci siamo in qualche modo seduti
        su questo alloro, su questa grande conquista. Ma quando ti siedi su una
        conquista pensando che sia inattaccabile, prima o poi scopri che te
        l’hanno già portata via. 
        
         
         
        
        Alla
        luce anche di quello che è accaduto a Ferrara qualche mese fa, credi
        che il futuro sia destinato a ripercorrere le tracce del passato? 
        
         
         Quel povero ragazzo di Ferrara non è neppure l’ultimo, è
        soltanto il penultimo, il terz’ultimo o il quart’ultimo, perché poi
        ci sono quelli ammazzati perché stanno cercando di portarti via
        un’automobile e un poliziotto in borghese, non in servizio, prende e
        ti spara nell’automobile e quindi nella schiena. Perché nel frattempo
        
        
         
        questa destra razzista e autoritaria ha votato una legge
        scandalosa; il rapinatore, quando gridava «o la borsa o la vita»,
        stabiliva una equiparazione fra il bene materiale e la vita. Adesso la
        legge afferma che la borsa vale più della vita. È una follia.
        
         
        A
        Ferrara, Federico Aldrovandi muore in una condizione, come sta emergendo
        dalle testimonianze, tra le più infami e drammatiche: soffocato da un
        manganello con un ginocchio puntato nella schiena che gli impedisce di
        muoversi, nonostante gridasse «aiuto, soffoco, pietà». Siamo di
        fronte a una brutalità e a una violenza insopportabili. In generale, io
        credo che il comportamento di una parte delle forze dell’ordine,
        derivante anche da scelte precise di addestramento, si ispiri sempre di
        più a una logica di scontro con il nemico, contro il quale tutto sia
        legittimo, fino ad «annichilirlo», per ricordare un’altra pagina
        indegna di Nassiriya. Il tutto è certamente aggravato dal clima di
        impunità che circonda i responsabili diretti, e più ancora i vertici e
        la catena di comando.
        
         
         
        
         
        Il
        materiale da te presentato viene quasi esclusivamente da fonti non
        ufficiali e amatoriali. Un vuoto di informazione riscontrato anche
        durante la vertenza del ccnl dei metalmeccanici, le cui lotte sono state
        oscurate dai media.
        
         
        L’informazione
        «ufficiale» sempre più, invece che raccontare la realtà contribuisce
        a crearla. 
        
         
        In quei giorni a Genova c’erano migliaia di macchine
        fotografiche, di cineprese, di registratori. Il dramma è che
        l’informazione ufficiale, salvo poche eccezioni, e soprattutto la
        televisione, non hanno fatto il loro mestiere. Non hanno informato, in
        molti casi hanno alterato e corrotto la verità. Neppure i magistrati
        che si sono occupati dell’omicidio di Carlo hanno saputo sottrarsi a
        questa contraffazione. La verità che emerge dal materiale documentale
        che porto in giro è che: Carlo, distante quasi quattro metri dalla
        jeep, è ucciso da un colpo diretto, sparato da una pistola impugnata e
        caricata tempo prima che Carlo raccogliesse da terra l’estintore per
        cercare di disarmare quella minaccia; e ciò avviene dopo che il
        contingente dei carabinieri viene impiegato in una azione assolutamente
        insensata e immotivata che fa pensare alla costruzione di una trappola;
        che la jeep non è né isolata (a poca distanza ci sono uomini e mezzi
        in abbondanza), né circondata; che dopo averlo colpito e schiacciato
        due volte con la jeep invece di provare a portare soccorso gli lanciano
        addosso lacrimogeni, lo prendono a calci e poi gli spaccano la fronte
        con una pietrata imbastendo una squallida scena da film per nascondere
        un atto infame. Una informazione seria dovrebbe parlare di questo. Anche
        questo è un problema che accresce i rischi per la democrazia del paese.
        
         
         
        
         
        Tutti noi ci siamo
        sempre chiesti cosa spinge te e Haidi a continuare con tanto impegno a
        lottare per la verità…
        
         
        Due cose: intanto la solidarietà costante e continua,
        persino crescente, delle persone che con onestà guardano queste
        immagini. L’altra è che la battaglia che noi e altri, naturalmente,
        portiamo avanti, è che davvero Federico Aldrovandi sia l’ultimo o il
        penultimo, e non sia invece un punto intermedio di un’altra sequenza
        di omicidi e di infamità nel paese. Siccome la nostra convinzione è
        che questa battaglia è davvero la battaglia per la verità e quindi per
        la democrazia, continuiamo a farla con questo spirito. E il farla così
        ci dà la forza di continuare.
         
        
          
         www.piazzacarlogiuliani.org
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