Intervista a Gianni Rinaldini pubblicata su www.unita.it il 17 aprile 2005

«L’industria italiana è al dissesto»
di Angelo Faccinetto


MILANO Più che di declino, per l’industria italiana, si deve parlare di dissesto. A rilanciare l’allarme, il giorno dopo lo sciopero generale dei metalmeccanici, è il leader della Fiom, Gianni Rinaldini. Che sul banco degli imputati, con il governo che non ha una politica industriale, mette anche Fiat e Telecom.

Rinaldini, venerdì le tute blu hanno incrociato le braccia per chiedere una nuova politica industriale. Come sta la nostra industria?
«Parlare di declino è ormai persino insufficiente. Siamo di fronte ad un processo di dissesto del sistema delle imprese. Un dissesto che coinvolge gran parte dei settori produttivi, eccezion fatta per il militare. Siamo al punto che nei settori strategici fondamentali il nostro paese, semplicemente, tende a scomparire».

A quali settori si riferisce?
«Si potrebbe fare un lungo elenco: dalla chimica fine alla farmaceutica per arrivare all’informatica. E adesso, con la crisi del gruppo industriale italiano più importante, la Fiat , siamo di fronte al rischio di una fine anche del settore auto».

Conseguenze per il paese?
«È una stupidaggine pensare che si possa costruire il futuro sul turismo e i servizi. E mentre si coltiva l’illusione di competere essenzialemente sul terreno del costo del lavoro, nella divisione internazionale del lavoro il nostro paese viene relegato a funzioni sempre più marginali. Insomma, siamo di fronte al totale fallimento del patto sciagurato, stretto a Parma nel 2001, tra Confindustria e governo».

Tra le aziende a rischio ha citato la Fiat. Ieri in Borsa il titolo del Lingotto è crollato sotto i 5 euro, la cassa integrazione imperversa, le vendite sono in calo continuo. Che futuro vede per la casa torinese?
«La situazione della Fiat è paradossale. E scandalosa. L’azienda non ha accettato alcun confronto sulla definizione di un progetto industriale, né con le organizzazioni sindacali né col governo. Eppure quanto sta avvenendo in questi mesi avviene sulla base di una collusione tra azienda e governo. È persino buffo che adesso ogni mese si scopra che si perdono quote di mercato e di produzione. La Fiat sta utilizzando la cassa integrazione ordinaria come fosse cassa straordinaria, con l’unica differenza che così facendo evita il confronto sul progetto industriale. Mentre è evidente che ha programmato una riduzione della produzione in base all’andamento delle quote di mercato. Il Lingotto cerca in ogni modo di conseguire i propri obiettivi di bilancio, il rischio però è che, alla fine, la Fiat non ci sia più».

Le responsabilità di questa situazione?
«Da una parte non è vero che la famiglia Agnelli non abbia più risorse. Più semplicemente, la famiglia persegue altri obiettivi e fa altre scelte. Basti pensare che con i soldi della Rinascente ha portato a compimento l’operazione San Paolo. Così come è sorprendente che nell’accordo con Gm sia stato concordemente previsto il passaggio di 60 lavoratori di alto livello dalla Fiat al centro ricerche di Generl Motors che verrà realizzato a Torino. O vedere che più di 500 progettisti vengono messi in cassa integrazione anche se non c’entrano niente con i problemi di mercato».

Le dichiarazioni ufficiali però tendono a rassicurare.
«Hanno raccontato e continuano a raccontare cose non vere. Basti pensare alla favola del “polo del lusso”, che si è risolto col fatto di aver garantito la Ferrari - e con essa Montezemolo - mentre la Maserati , che come noto ha problemi, è finita nel calderone Fiat. O al futuro di Termini Imerese. Se lì si è deciso di costruire la Y , ma senza indotto, significa con tutta evidenza che Termini andrà ad esaurimento».

Quindi?
«Quindi ribadisco ciò che diciamo da tempo. La questione Fiat è una questione nazionale ed è necessario, nelle forme e nei modi da definire, un intervento diretto da parte del governo. Che deve dire anche se il settore auto deve o no scomparire dall’Italia».


Lei venerdì ha criticato anche Telecom. Perché?
«Perché è un altro tipico esempio di come una privatizzazione realizzata in assenza di un’idea di politica industriale si riveli un’operazione sbagliata. Si è regalato a Tronchetti Provera il monopolio della telefonia fissa. Tronchetti Provera, con poche risorse, si è costruito un impero ed ha vissuto, e vive, questa situazione di rendita non giocando sugli investimenti e sull’innovazione, bensì puntando esclusivamente sul rientro dal debito attraverso una politica selvaggia che è arrivata fino agli installatori degli impianti. Cosa che ha contribuito a determinare una espansione abnorme del lavoro nero come fatto struturale. Anche questo è segno di come viene interpretata nel nostro paese la politica industriale».