Dal numero  16 di Rassegna Sindacale. 28 aprile-4 maggio 2005

 

Fecondazione assistita

I quattro referendum e la fase complessa in cui si collocano

Una sfida alta, che mette in gioco valori e cultura

La spinta al cambiamento è vigorosa, non so però quanto radicata sia la sua determinazione

 Marigia Maulucci

 

Il referendum sulla fecondazione assistita al tempo di papa Ratzinger: non possiamo certo dire che la sfida non sia alta.

Una brutta storia, questa della legge 40, cominciata male, con un passato tormentato e un futuro incerto. Le difficoltà, le insidie, la pericolosità delle materie oggetto del referendum risultano altamente amplificate dalla complessità della fase in cui si collocano, fase nella quale le ansie, la sfiducia, la paura delle persone sono ormai sentimento pervasivo e dominante.

Il clima del nostro tempo è questo: questo l’effetto di anni di questo governo, di anni di crisi economica e di crisi di valori, di annichilimento della coesione e della solidarietà, di barbarie dell’intolleranza. Berlusconi ha soffiato sugli istinti peggiori, quelli che nascono dalla miseria morale e si alimentano con essa.

La spinta al cambiamento è vistosa, non so però quanto sia radicata la sua determinazione. È su queste radici, sulla risposta compiuta a quell’esigenza di cambiamento, che si gioca una sfida importante che rimette in gioco valori e cultura  e dalla quale non possiamo sottrarci.

 

Certo non lo farà la destra, non appena riuscirà (se riuscirà) a riprendersi dalla batosta ed entrerà, con la determinazione di cui è capace, in campagna elettorale. Certamente hanno già cominciato i media che per giorni hanno costruito e stanno costruendo intorno alla morte del papa e all’elezione di quello nuovo una campagna eccessiva, rumorosa e pubblica quanto una morte è, per definizione, silenziosa, contenuta, privata, così come intima e personale dovrebbe essere l’esperienza spirituale e l’incontro con il mistero.

Certamente non lo farà la Chiesa, chiamata a riaffermare “in salita” una cultura difficile, non ascoltata e non praticata: è la forza d’inerzia che fa correre la pratica laica – permissiva e collusiva –, tanto più sicura nel suo procedere quanto più non  strutturata in princìpi, valori e ideali.

Se questo è, credo sia anche compito nostro contribuire alla ricostruzione di quello schema di valori che consenta l’affermazione di una cultura laica non per inerzia ma per convinzione.

 

Questo quadro generale incrocia – e si scontra – con il referendum sui quattro quesiti della legge 40 e nessuna insidia potrebbe essere più efficace di quella sull’origine della vita, sul corpo della donna, sui limiti dell’umano.

In genere, i laici, credenti o no, definiscono questi problemi questioni di coscienza, condannandosi così al silenzio e barricandosi, in difesa, dietro alla libertà di coscienza.

Questo arretramento lascia aperti spazi sconfinati che la cultura, per esempio, cattolica si affretta a riempire. Nel suo discorso al Parlamento italiano, papa Giovanni Paolo II  espresse “fiducia” nel patrimonio di virtù e valori cristiani della nazione italiana, aggiungendo che “è sulla base di una simile fiducia che si possono affrontare con lucidità i problemi, pur complessi e difficili, del momento presente”.

Dunque uno Stato deve essere guidato dalla verità cristiana che orienta l’azione umana e dunque anche quella  politica, nella quale comprendere le regole e le sanzioni che il rispetto a quella verità richiedono.

Solo l’esistenza della verità ultima e universale esclude “ogni alleanza tra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento”.

 

La democrazia dell’assoluto si contrappone alla dittatura del relativismo: se parliamo, però, di assoluto dobbiamo parlare di relativo e dunque non di relativismo, al quale semmai andrebbe contrapposto l’assolutismo. Che roba è la democrazia dell’assolutismo? E ancora: l’affermazione  sulla relatività è, in sé,  affermazione assoluta. Forse la cosa migliore di tutte sarebbe pensare che niente e nessuno ha il monopolio dell’assoluto, che è bene contaminare i terreni possibilmente senza gerarchie ma con reciproci condizionamenti. Questo sarebbe facilitato da una cultura laica che non decidesse di sottrarsi all’assoluto della propria ricerca relativa, nella quale lo spirituale può non coincidere col religioso.

Sarebbe intanto giusto cominciare a parlare, prima ancora che di libertà, di liberazione delle coscienze da restituire alla responsabilità di ciascuno: l’etica nei comportamenti di uno Stato laico costruisce e garantisce le condizioni attraverso le quali le libere scelte di ognuno possano esplicarsi, coltivando la responsabilità individuale invece di reprimerla in nome di una proibizione collettiva.

La libertà della mia coscienza  interviene nel momento in cui decido di usare un’opportunità o no, nella certezza che questa opportunità non sia offensiva e violenta sul mio corpo di donna, che non sia cioè la forma mascherata di una colpa da espiare, tensione tutta che pervade le forme della fecondazione assistita che la legge 40 mette in campo.

Una cultura laica dovrebbe piuttosto interrogarsi  su cos’è oggi la maternità: una donna che  vuole, qui e ora, fare un figlio è libera di farlo? Le condizioni materiali, il valore sociale di questo impegno riproduttivo sono garantite? Le ragioni per le quali sono diventate così diffuse le difficoltà biologiche e le ansie psichiche che ritardano la scelta della maternità sono tante e profonde: sono spesso l’età avanzata delle donne che maturano la scelta o la possibilità, sono una società precaria che brucia tutto nel presente e avvolge di nebbia il futuro. Sono, infine, i fantasmi arcaici evocati dal corpo della donna, offeso e confinato in una nevrotica seduttività dalla pratica laica e demonizzato da quella cattolica, se non nelle forme di un corpo che si fa madre dopo-il- matrimonio-celebrato- in-chiesa-e-per-opera-del-marito-legittimo… una specie di percorso a ostacoli che sempre meno persone, di qualsiasi fede, seguono e rispettano in tutte le tappe.

Lo Stato laico dovrebbe tutelare il diritto alla maternità in tutte le forme attraverso le quali le scelte delle persone e le evoluzioni  della ricerca scientifica lo rendono possibile. E siamo arrivati ad un altro punto controverso delle insidie presenti nella legge 40.

La cultura laica non ha paura della ricerca e delle evoluzioni della scienza: le sollecita, anzi, con l’assoluta certezza del loro valore relativo, dinamico, che da sempre, in ogni tempo, ha fatto  i conti col  limite dell’umano. L’atto, simbolico, che ha spinto Eva a mangiare la mela o Prometeo a rubare il fuoco contiene una ribellione al limite, è un atto di disubbidienza come lo sono tutti gli atti di rivendicazione e di conquista di un diritto.

 

Sarebbe estremamente grave che una cultura sottraesse responsabilità alla comunità scientifica in nome di un ordine “naturale”  delle cose da opporre a stravolgimenti “culturali”: sarebbe come dire che prendere l’aereo è innaturale, non potendo l’uomo volare.

In sintesi: le sfide che, giocoforza, precipitano nella discussione sulla legge 40 evocano contenuti di grande profondità, che chiamano in causa il valore e i contenuti della definizione laica del ruolo dello Stato, della libertà della ricerca scientifica, infine dell’affermazione di una cultura fatta di rispetto reciproco, di garanzia di libero esercizio e fruibilità di diritti e opportunità, al servizio degli uomini e delle donne in carne e ossa, dei loro bisogni, dei loro desideri e delle loro aspirazioni materiali e spirituali.