XXIII
Congresso Nazionale Fiom
Intervento
di Gino Strada, Emergency
Care
compagne e compagni della Fiom, voglio dirvi innanzitutto grazie per
tante cose: grazie all’amico Gianni per avermi
fatto l’onore di invitarmi a intervenire al vostro Congresso, grazie a
voi per le vostre lotte per i diritti di tutti, grazie alla Fiom di
esistere e di resistere, grazie perché per me voi rappresentate uno dei
pezzi più importanti di quel che è rimasto di democrazia in questo
paese e, nello stesso tempo, rappresentate anche una delle speranze più
importanti, cioè che in futuro si possa finalmente tornare a dare un
senso alla parola «democrazia», che appare sempre più vuota.
Credo
che oggi i cittadini del mondo si trovino di fronte a una sfida
estremamente complessa. Una sfida che non si può rimandare perché in
gioco non c’è soltanto il destino dei cittadini, che rischiano di
tornare indietro nella storia e ridiventare sudditi, ma anche la
possibilità di futuro stesso per il pianeta.
Albert
Einstein diceva: «Non so se ci sarà una Terza guerra mondiale, so che
la quarta la combatterete con la clava».
L’anno
scorso, nel loro rapporto annuale, gli scienziati atomici hanno detto
che il rischio di conflitto nucleare non è mai stato elevato come ora.
Uno dei più grandi intellettuali viventi, Noam Chomsky, ritiene che un
eventuale conflitto in cui si usassero ordigni atomici potrebbe,
addirittura, «porre fine all’esperimento umano».
Siamo
in una situazione così pericolosa, eppure non se ne parla. Dal mondo
della politica arriva solo qualche bisbiglio e questo è preoccupante
perché credo che proprio i politici, per primi, dovrebbero dare l’allarme
e invitare i cittadini a partecipare di nuovo alla vita politica, a
riscoprire vecchie parole.
Oggi,
mentre il mondo si militarizza sempre di più, mentre va incontro a un
rischio sempre più elevato non si sente più parlare di disarmo,
nessuno dice niente.
Credo,
allora, che in questa situazione sia estremamente importante cercare di
capire davvero la natura della guerra, le sue motivazioni, per uscire
dall’empasse in cui ci troviamo.
Vorrei
citare ancora Albert Einstein. Nel 1932 si trovava a Ginevra a una
Conferenza internazionale sul disarmo in cui si discuteva quali armi
fosse lecito usare e quali no, con quali strumenti l’uccidere fosse
lecito, con quali altre strumenti invece dovesse essere considerato un
crimine, ebbene a Ginevra Einstein fece una cosa straordinaria.
Per
la prima e l’ultima volta nella sua vita, convocò una conferenza
stampa e disse ai giornalisti: «La guerra non la si può umanizzare, la
guerra si può solo abolire!».
Credo
che la storia dei decenni successivi gli abbia dato ragione: anche se
Einstein non è stato preso sul serio dalla classe politica, di fatto
ogni tentativo di rendere la guerra più «umana» è fallito, ogni
Trattato, ogni Convenzione che sono stati firmati sono poi stati
regolarmente calpestati.
Mentre
nel ’32, a Ginevra, si discuteva sulle regole di condotta in guerra,
in Germania Hitler vinceva le elezioni in un modo che oggi nessuno o
pochi esiterebbero a definire non democratico.
Era
in corso il processo di nazificazione del paese, della corsa al riarmo e
della preparazione della guerra e, intanto, si discuteva delle regole
per la guerra.
Ma
chi poi, tra quelli che parteciparono a queste Conferenze
internazionali, si ricordò di queste regole al momento della guerra?
Assolutamente nessuno. Anzi, proprio in quegli anni, abbiamo assistito
al trionfo della disumanità e della barbarie della guerra: c’è stato
l’olocausto, c’è stato il lancio della bomba atomica sui civili e
ci sono stati bombardamenti a tappeto sulle città, con moltitudini di
cittadini inermi che sparivano sotto le bombe di entrambe le parti.
Vorrei
ricordare che il presidente americano, Roosevelt, definì «una barbarie
disumana» i bombardamenti tedeschi che fecero migliaia di morti civili
nella città inglese di Coventry; poco dopo inviò i suoi aerei a
massacrare 135.000 civili tedeschi a Dresda.
Oggi,
Mussolini e Hitler sono spariti, ma con loro sono anche spariti lo
spirito del fascismo e del nazismo? È sparita la logica del razzismo e
del militarismo, dell’espansionismo per rapinare risorse, la logica
della guerra? Io credo di no.
Dopo
il Secondo conflitto mondiale le Convenzioni di Ginevra hanno
rappresentato un altro tentativo di definire regole per la guerra, ma
anche quelle sono fallite miseramente: nei decenni successivi abbiamo
visto milioni e milioni di persone morire ogni anno per la guerra, nell’assoluta
indifferenza verso qualsiasi regola.
Non
credo che possa stupire l’impossibilità di definire regole per
«umanizzare» la guerra: la guerra è un fenomeno contro la natura
umana al punto che la guerra esiste solo quando si è deciso di
sopprimere la vita umana ed è per questo che non si riesce a
umanizzarla.
Adesso
si sono tirate giù le maschere, non si parla più di regole per la
guerra: dopo Guantanamo e Abu Ghraib sarebbe anche difficile farlo! Oggi
si preferisce discutere, invece, delle condizioni per fare la guerra:
quando è giusta, quando no, con l’Onu e senza l’Onu, con la Nato e
senza la Nato, chirurgica, preventiva… L’Onu
sembra essere diventata la nuova parola magica – «C’è l’Onu!
Siamo a posto» – ignorando alcuni fatti.
Innanzitutto
che i cinque paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono i
principali armaioli del mondo che da soli esportano l’85% delle armi.
In
secondo luogo, ignorando che l’Onu di fatto non esiste più da tempo,
che non ha più neanche la dignità di convocare un’Assemblea generale
straordinaria e proporre l’espulsione di Stati Uniti, Inghilterra e
tutti i paesi che hanno aggredito e occupato l’Iraq.
Allora,
che senso ha l’Onu quando nessuno la rispetta, quando gli Stati Uniti
non la finanziano, ma la controllano? Che senso ha l’Onu quando i
membri del Consiglio di Sicurezza sono quelli che mettono a repentaglio
la sicurezza dei loro stessi cittadini?
Vogliamo
continuare con le illusioni, con le bugie per continuare a giustificare
la guerra? Dopo Dio è il re, dopo l’impero è la patria; vogliamo che
sia l’Onu la prossima scusa per la guerra, per trascinarci sempre più
verso il baratro di cui parlava Noam Chomsky, magari con la benedizione
di Kofi Annan o di qualche burocrate che gli Stati Uniti decideranno di
mettere al suo posto?
Credo
che avesse ragione Einstein: la guerra non si può umanizzare, si può
solo abolire, eppure, appena prima della fine del millennio passato, ci
è capitata addosso una nuova forma di guerra, sulla quale vorrei
invitarvi a riflettere, la cosiddetta guerra «umanitaria».
Credo
che questo sia un non senso logico perché la guerra non può mai essere
uno strumento per imporre, ripristinare o garantire i diritti umani, per
difendere i diritti degli essere umani adesso è diventata lecita la
soppressione degli esseri umani. Per i diritti di chi? Per i diritti di
sopravvissuti o per i diritti dei più forti o dei più ricchi? Perché
la parola «diritti» ha un contenuto intrinseco che non si può
eliminare: o valgono per tutti o sono privilegi.
Forse
per nascondere questa realtà è stata coniata un’espressione, una
delle più infami e razziste che abbia mai sentito: «effetti
collaterali».
Tre
milioni di bambini ogni anno lasciano la vita, sono mutilati o feriti,
oppure hanno la loro vita devastata dalla guerra… tre milioni di
bambini ogni anno sono effetti collaterali!
Noi
crediamo, invece, che quelle siano delle persone esattamente uguali a
noi in dignità e diritti, come dice la Dichiarazione universale dei
Diritti dell’uomo, non crediamo che possano essere ridotti al prezzo
da pagare.
Non
ho mai sentito chiamare le tre mila vittime delle Torri gemelle
«effetti collaterali» della Guerra Santa, sarebbe stato infame. Quelle
vittime, come è giusto e umano che sia, sono state piante. Basta andare
al Ground zero per commuoversi immediatamente, perché si vede, si
percepisce fisicamente l’affetto intorno a quei tre mila morti.
Tuttavia,
almeno dieci mila civili afgani sono morti sotto le bombe statunitensi e
inglesi, più di tredici mila civili iracheni sono già morti per questa
guerra: abbiamo visto le loro foto, sentito i loro nomi, conosciuto le
loro storie, capito il dolore dei loro famigliari? No, sono solo
«effetti collaterali».
Credo
che sia esattamente questa la follia razzista e neonazista che sta
pervadendo il mondo: il credere che esistano cittadini di serie A, ai
quali i diritti sono dovuti, e masse sterminate di persone che sono
«esuberi», che non sono più esseri umani.
Questa
logica si è potuta affermare perché si è affermata l’infame teoria
della «guerra umanitaria» e qui non possiamo ignorare il fatto che
questa teoria è stata portata avanti, anzi inventata, non soltanto da
esponenti di quella che politicamente si chiama «destra».
Il
presidente del consiglio dei ministri italiano, ai tempi della guerra in
Kosovo, ebbe a scrivere che si prese in considerazione anche l’ipotesi
di invio di truppe di terra, ma poi «Si decise di continuare con l’azione
aerea integrata dall’intervento umanitario».
Mi
rifiuto di pensare non solo che il mio lavoro, il lavoro di Emergency,
ma che il lavoro di tutti coloro che cercano di salvare una vita umana
sia qualcosa che possa essere «un’integrazione» dei bombardamenti.
Questa
cosa ha avuto conseguenze devastanti, innanzitutto nel mondo umanitario
perché le organizzazioni umanitarie sono state in buona misura
inglobate all’interno del progetto della guerra.
Nel
2001, in Afghanistan, tutte le organizzazioni, a partire dalle più
grandi e istituzionalizzate, hanno lasciato il paese immediatamente dopo
l’11 settembre.
L’ordine
era: «Fuori tutti: adesso è il tempo delle bombe, quando arriverà il
tempo degli aiuti ve lo faremo sapere e vi daremo anche i soldi!».
In
Iraq l’integrazione tra le bombe e gli aiuti umanitari, o i cosiddetti
aiuti umanitari, è stata ulteriormente perfezionata.
Nell’aprile
dell’anno scorso sotto le bombe, a Baghdad, si tenevano
quotidianamente riunioni di coordinamento degli aiuti presiedute da
militari americani.
Emergency
si è sempre rifiutata di partecipare a quelle riunioni.
Qual
è stato il risultato finale per il mondo umanitario? Oggi nei paesi in
guerra la popolazione non capisce più chi è lì a fare cosa, non lo
capisce perché anche i militari dicono che sono lì a fare un lavoro
umanitario, perché chi è lì a fare la guerra dice che è in missione
di pace, perché tutto tende a confondersi.
Alcune
organizzazioni umanitarie hanno denunciato che recentemente, in
Afghanistan, sono stati lanciati da aerei ed elicotteri dei volantini
con la fotografia di una bambina accanto a un sacco di farina, con la
scritta: «Se volete continuare a ricevere aiuti, date informazioni sui
talebani». Condizionare la distribuzione di cibo alla popolazione
civile rispetto alla fornitura di informazioni è terribile.
Questo
«processo» ha portato alla drastica riduzione degli aiuti umanitari
proprio nelle situazioni in cui sono più necessari, proprio dove c’è
bisogno e non si arriva a portare aiuto perché ormai si è diventati un
bersaglio.
Ogni
occidentale, oggi, è un bersaglio in Iraq, anche il nostro personale in
Iraq ha avuto seri problemi di sicurezza per questa ragione, perché
ormai non è più chiaro che cosa si stia lì a fare e quindi si è
tutti percepiti come nemici.
La
teoria della «guerra umanitaria» ha cambiato il mondo umanitario, ma
ha cambiato anche la guerra, l’ha resa più disponibile, più
giustificabile, meno rivoltante. Si accetta che, in nome dei diritti
umani, gli esseri umani possano e debbano venire uccisi.
Varcato
questo confine, a mio parere, si è fuori dal campo della ragione umana
e certamente al di fuori di ogni forma di civiltà.
Passato
questo confine, non stupisce più lo sviluppo della «guerra
umanitaria» nella teoria successiva, cioè la «guerra preventiva». Se
è giusto uccidere per i diritti umani, perché aspettare?
La
guerra umanitaria e la guerra preventiva rappresentano una rottura con
la nostra cultura, un tentativo di azzerare il pensiero etico e politico
degli ultimi secoli.
Si
sono infrante le speranze nate con la fine del secondo conflitto
mondiale, le speranze di costruire un mondo basato su regole di
convivenza civile.
La
nascita delle Nazioni unite, la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo rappresentano il tentativo di dare regole perché quei
massacri non accadessero più; invece oggi ci ritroviamo esattamente in
una situazione opposta, in cui tutte le regole sono saltate e andiamo
precipitosamente verso un terzo conflitto mondiale.
Perché
è successo tutto questo? Credo che sia successo perché i più potenti,
i più ricchi hanno deciso di continuare a comportarsi esattamente come
facevano prima, per loro non c’è mai stata la liberazione dal
nazifascismo, per loro non c’è mai stata la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo, non c’è mai stata la Carta delle Nazioni unite, hanno
continuato come facevano prima, cioè a porsi un solo problema: quanto c’è
da guadagnarci?
Ogni
volta, infatti, che si nomina la parola «guerra» c’è qualcuno che
guadagna cifre da capogiro.
Faccio
un esempio: la General motors nel 1929 comprò la ditta tedesca di
automobili Opel. Sei anni dopo i gerarchi nazisti, che già si
preparavano alla guerra, chiesero alla Opel di progettare un camion per
uso militare. Nel 1938, anno della famosa capitolazione di Monaco, le
armate di Hitler erano equipaggiate con motori prodotti da una
multinazionale statunitense.
Durante
la Seconda guerra mondiale, anche dopo l’entrata in guerra degli Stati
Uniti, la General motors ha continuato a produrre veicoli, carri armati
e propulsori aerei per le armate di Hitler.
Sembra
fantapolitica, invece è cronaca. Perché, in virtù del loro essere
multinazionali, queste aziende possono diversificare quello che
producono, così la General motors divide i compiti: la Opel Stati Uniti
fornisce motori per l’aviazione americana e la Opel Germania quelli
per l’aviazione tedesca e i nostri padri lì sotto a beccarsi le bombe
degli uni e degli altri.
Quando
l’unico valore è il profitto, non esistono più amici, esistono solo
clienti, è l’unica cosa che conta.
Si
è perfino arrivati al grottesco quando la General motors, dopo la
guerra, ha chiesto e ottenuto un risarcimento dal governo americano per
i bombardamenti dei propri stabilimenti sul suolo tedesco.
Non
sono i 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
il principio su cui si basa questo mondo, ma un principio molto più
semplice: è lecito arricchirsi sempre, comunque, dovunque, senza
limiti, senza ostacoli, senza badare ai mezzi.
Se
questo è l’unico principio, questo mondo faticherà a continuare a
stare in piedi.
Nove
milioni di esseri umani muoiono di fame ogni anno, sono 24.000 persone
al giorno. Di esse, 11.000 sono bambini. Muoiono di fame, di malattie
curabili, di povertà, di guerra, reazioni a catena che si alimentano a
vicenda perché la povertà non consente di curare banali malattie, che
allora diventano mortali, la povertà conduce alla malnutrizione e poi
alla fame, e la guerra, oltre a uccidere, produce nuove povertà.
Nel
2002, 784 miliardi di dollari sono finiti in spese militari, quest’anno
saranno molti di più: i paesi più ricchi e potenti fabbricano sempre
più armi per la sicurezza dei cittadini, mentre milioni di cittadini
muoiono a causa di quelle armi.
I
governi comprano devastanti ordigni per la difesa, mentre i cittadini
soffrono perché quei soldi non sono spesi per difendere la loro salute,
il loro lavoro, la loro istruzione, l’ambiente, la ricerca.
Se
i nostri governi hanno speso quei soldi – e l’hanno fatto – allora
dobbiamo chiederci se stanno governando per noi o contro di noi.
Fame,
povertà, malnutrizione, malattie curabili potrebbero sparire da questo
pianeta, potrebbero sparire se soltanto sparisse la logica della guerra.
Credo
che davvero avesse ragione Einstein: la guerra si può solo abolire.
Credo
che il senso del nostro lavoro sia anche di andare nella direzione
opposta, di costruire piccoli frammenti di pace, di immaginare e
disegnare le condizioni che facciano diminuire, fino a scomparire, il
ricorso all’uso della forza e della violenza.
Penso
che questa sia la scommessa più grande che i cittadini dovranno
affrontare e presto, se si vuole un futuro per questo pianeta.
Quali
sono le condizioni per poter porre fine alla guerra? La prima condizione
per un mondo senza guerre è la conquista della giustizia sociale, cioè
l’eliminazione di quella forma di guerra quotidiana che è lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E vorrei qui ricordare l’11
settembre a Santiago del Cile, nel ’73, quando la Cia, con i soldi
della multinazionale delle comunicazioni At&t, organizzò un colpo
di Stato e massacrò un popolo che stava avviando una delle più
interessanti esperienze di democrazia.
Anche
per questo, e non soltanto per il numero dei morti, quell’11 settembre
è una tragedia di proporzioni molto più catastrofiche di quella dell’11
settembre 2001.
Sono
convinto che dovremmo riflettere molto sull’esperienza cilena di «Unidad
popular», perché 30 anni dopo ci troviamo ancora, oggi anche nel
nostro paese, in un gravissimo deficit di democrazia. E, senza
democrazia, non ci può essere giustizia sociale, né pace.
Credo
che la democrazia sia un valore importante che non sia riducibile alla
conta dei voti, credo, ad esempio, che una democrazia non fittizia
imponga a tutti, a cominciare dai rappresentanti del popolo, il rispetto
della Costituzione che è la prima legge del popolo. Invece non succede
neanche in Italia.
Noi
viviamo in un paese in cui la grande maggioranza dei cittadini, cioè
dei governati, è contro la guerra, mentre la maggioranza dei governanti
sceglie la guerra.
Io
vivo in un paese in cui il Parlamento, nel 2002, ha deciso di aggredire
l’Afghanistan con il 92% dei parlamentari favorevoli.
Non
è questa, cari compagne e compagni della Fiom, la mia idea di
democrazia. La mia idea di democrazia non contempla, anzi esclude a
priori, l’uso della guerra per almeno due buoni motivi: innanzitutto
perché sono convinto che le vittime siano la sola verità della guerra
e, in quanto cittadino italiano, credo di avere diritto di pretendere
che la Costituzione del mio paese venga rispettata. Me ne andrei
immediatamente dall’Italia il giorno in cui fosse abolito l’articolo
11 che ripudia la guerra e che da anni viene regolarmente calpestato,
spesso in modo bi-partisan, come si usa dire oggi.
L’anno
scorso, Emergency ha depositato in Parlamento una proposta di legge di
iniziativa popolare per definire le norme applicative dell’articolo11,
perché smetta di essere una specie di «consiglio per gli acquisti»
che può essere ignorato.
Saremmo
orgogliosi di avere la Fiom al nostro fianco in questa battaglia
affinché questa legge sia discussa e approvata, in modo che l’articolo
11 possa finalmente essere rispettato.
E
poi, care compagne e cari compagni, la mia idea di democrazia non
include la guerra anche perché ogni volta nella guerra c’è una
specie di falso in bilancio, di contabilità truccata: non c’è mai un
popolo che vince, anche se spesso ce n’è uno che perde. I popoli, i
cittadini, non vincono mai perché la guerra è un gioco truccato.
Il
prezzo delle guerre l’hanno sempre pagato – e oggi più che mai –
i ceti sociali più poveri, anche nei paesi più ricchi e aggressori.
Il
presidente Bush ha chiesto 80 miliardi di dollari aggiuntivi al
Congresso americano per la guerra e, ovviamente, li ha ottenuti in modo
bi-partisan.
Contemporaneamente,
sono stati tagliati 74 miliardi di dollari in servizi sociali , il che
significa che quella guerra la stanno pagando, al suono di 6 miliardi di
dollari al mese, i poveri degli Stati Uniti.
Non
solo pagano questa guerra perché rimangono senza servizi sociali, la
pagano perché sono sempre i loro figli che vengono mandati a morire, ad
ammazzare, a torturare.
Ogni
volta che si parla di queste cose, si scatena l’attacco al movimento
per la pace dicendo: «A volte la guerra è giusta; a volte è una
dolorosa necessità», tutte espressioni che trovo nauseanti, e ogni
volta si finisce sempre a parlare di Hitler: «Fosse per voi pacifisti,
Hitler sarebbe ancora al potere».
Credo
che Hitler non sia stato un prodotto del pacifismo, ma il risultato del
persistere della logica di guerra anche dopo la fine della prima guerra
mondiale.
Hitler
non avrebbe mai potuto andare al potere se non fossero stati massacrati
gli oppositori, se il movimento operaio tedesco non fosse stato decimato
dai macellai al servizio della classe militare, dei latifondisti e dei
grandi magnati industriali.
Loro
hanno costruito Hitler e gli hanno consegnato la Germania! Hitler non
avrebbe mai potuto scatenare quell’orrenda carneficina che è stata la
Seconda guerra mondiale, se prima non fosse riuscito a ridurre i
lavoratori tedeschi in schiavitù con salari da fame, privandoli dei
sindacati, dei contratti collettivi di lavoro e del diritto di sciopero.
Prima
dell’inizio della Seconda guerra mondiale, Bertolt Brecht scriveva:
«La guerra che verrà non è la prima, prima ci sono state altre
guerre, alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti, tra i vinti
la povera gente faceva la fame, tra i vincitori faceva la fame la povera
gente ugualmente».
La
«guerra che verrà» poi è arrivata, la Seconda guerra mondiale: aveva
visto giusto Brecht? Io credo di sì: dopo il ’45 a fare la fame sono
stati, ancora una volta, i più poveri e i più deboli, sia tra i vinti
che tra i vincitori.
E
chi paga oggi il prezzo della guerra in Iraq? Dittatori e terroristi?
No, ancora una volta sono i cittadini iracheni, costretti a vivere in un
inferno, tra un razzo e una mina, tra una bomba ed un’autobomba.
A
volere la guerra, a preparare la guerra, a decidere la guerra e a
raccoglierne i frutti sono sempre state le classi dominanti, attraverso
i propri rappresentanti, e non importa se quei loro rappresentanti
venissero di volta in volta chiamati «dittatori» o «presidenti».
Noi
di Emergency crediamo che la scelta della guerra rappresenti sempre la
più grave forma di violazione dei diritti umani e che sia incompatibile
con la democrazia, che la soffochi fino ad annullarla.
Abbiamo
bisogno di riflettere su forme e contenuti della democrazia e
soprattutto di discutere tra cittadini per definire, di nuovo, i
principi su cui vogliamo si fondi la nostra società. Ottenere la
giustizia sociale senza ricorrere alla violenza: è questa la sfida più
grande che abbiamo davanti ed è urgente affrontarla.
Per
costruire una strategia di pace, abbiamo bisogno di una grande unità
popolare tra milioni di cittadini che definiscono insieme le condizioni
minime, i principi di fondo da rispettare per poterci definire un paese
civile.
La
democrazia e la civiltà non hanno nulla a che fare né con la guerra,
né con la logica della guerra, non hanno a che fare con la rapina
economica, né con la sanità privata, non hanno a che fare con la
scuola privata, né con l’informazione privata.
Quando
i cittadini che lavorano sono costretti a scioperare e a manifestare nel
proprio paese per difendere il diritto a una vita dignitosa, per loro e
per le proprie famiglie, non si può parlare di civiltà e di
democrazia. Non è tollerabile che nel terzo millennio vi siano ogni
anno migliaia di morti sul lavoro per i quali – per loro sì –
andrebbe fatto un funerale di stato.
Dobbiamo
ridefinire i principi irrinunciabili di una società civile e aggregare
milioni di persone per una sorta di manifesto del cittadino: in che
società vogliamo vivere, su quali principi? Pace, lavoro, sanità,
scuola, casa, informazione, ricerca, che cosa vogliamo? Non è difficile
dirlo, ma dobbiamo riaffermare le condizioni irrinunciabili per
soddisfare il principio dell’uguaglianza dei diritti fra gli esseri
umani. E queste condizioni irrinunciabili non possono prescindere dalla
giustizia economica.
Come
si distribuisce oggi la ricchezza? Ha senso, secondo voi, che tra le
attività umane peggio pagate ci siano infermieri e insegnanti e ci
siate voi, amici della Fiom? Ha senso un mondo dove un lavoratore
meccanico guadagna molto, molto meno del truccatore del presidente del
consiglio?
A
me pare più sensata una società in cui vengono retribuiti di più
quelli che svolgono funzioni socialmente più utili, essenziali per la
vita di una comunità.
E
se in una società la ricchezza sociale non è ridistribuita in modo
equo, non c’è uguaglianza, né giustizia economica.
Perché
lo stato spende i nostri soldi in armamenti? Negli ultimi dieci anni l’Italia
ha speso mediamente 20 miliardi di euro all’anno per gli armamenti.
Sono d’accordo i cittadini su questo? Io credo di no, ma nessuno
glielo chiede.
Così
ci troviamo in una situazione assurda in cui i cittadini debbono pagare
di tasca propria per la casa e per la sanità, per la scuola e per i
servizi, mentre la repubblica spende i soldi dei cittadini per gli
armamenti, anche contro il volere dei cittadini.
Pace,
diritti umani e democrazia sono inseparabili, come inseparabili sono
violenza, guerra e terrorismo: non si alimentano a vicenda, sono la
stessa cosa, producono gli stessi effetti.
Potessimo
chiedere ai cittadini italiani: «Sei a favore del terrorismo?»,
nessuno risponderebbe: «Sì, sono a favore», ma se chiedessimo: «Sei
a favore della guerra?», lì comincerebbero i «distinguo». Sei con l’Onu?
Con la Nato? Il terrorismo e la guerra ci vengono presentati oggi come
due cose distinte, quindi noi tendiamo a percepirle come due cose
distinte.
Quando
un leader politico, e non importa di quale schieramento, usa la parola
«terrorismo», potete stare sicuri che non intende mai l’operato del
presidente degli Stati Uniti.
La
parola «terrorista» è riservata agli afgani o agli iracheni o ai
palestinesi di turno, mai viene usata per indicare invece chi ha
scatenato, voluto, finanziato e diretto quasi tutti i massacri degli
ultimi decenni.
Il
6 agosto del 1945 gli Stati Uniti sganciarono la prima bomba atomica sui
cittadini del Giappone: 140 mila persone morirono ad Hiroshima
immediatamente, altre 130 mila morirono nei 5 anni successivi, altre
centinai di migliaia restarono ammalate gravemente o mutilate.
Il
giorno dopo, il presidente Truman dichiarò: «Il mondo dovrà ammettere
che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base
militare». Le stesse bugie che ci vengono raccontate oggi.
Io
credo che la bomba atomica sia stato uno dei più atroci atti di
terrorismo della storia e credo che non ci potrà mai essere una guerra
al terrorismo perché la guerra è terrorismo, come il terrorismo è
guerra.
E
credo che non sia, in fondo, così importante se un essere umano muore
per un razzo, per una mina o per una bomba, l’importante è che un
essere umano è morto.
Finché
non saremo capaci di capire e di accettare, di assimilare che quell’essere
umano che è morto, chiunque egli sia, è uno di noi, il razzismo e la
logica della guerra continueranno a imperversare. Finché non saremo
capaci di fare questo passaggio culturale continueranno i massacri più
orrendi, perpetrati da questo dittatore o dal quel presidente, ciascuno
per le sue ragioni, che poi sono le stesse: rendere i ricchi sempre più
ricchi e i poveri sempre più poveri.
Mujaheddin,
terroristi di Al Qaeda, terroristi della Cia, non fa una gran
differenza: la guerra, il terrorismo, il razzismo e la violenza, l’ingiustizia
sociale e quella economica sono soltanto modi diversi di esistere del
vero «mostro» che abbiamo davanti, dell’unica guerra che vale la
pena di combattere, la guerra per sconfiggere in modo non violento lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Lo
so, cari compagne e compagni, questo è un sogno antico, un sogno che ha
tanti sapori in questa città, ma è un problema di oggi se vogliamo
garantire e garantirci un futuro, è una sfida urgente e non più
procrastinabile.
Non
sarà facile, ma in questo cammino Emergency sarà sempre al vostro
fianco, cari amici e compagni della Fiom.
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