XXIII Congresso Nazionale Fiom

Intervento di Gino Strada, Emergency

 

IMG_1706.jpg (69487 byte)Care compagne e compagni della Fiom, voglio dirvi innanzitutto grazie per tante cose: grazie all’amico Gianni per avermi fatto l’onore di invitarmi a intervenire al vostro Congresso, grazie a voi per le vostre lotte per i diritti di tutti, grazie alla Fiom di esistere e di resistere, grazie perché per me voi rappresentate uno dei pezzi più importanti di quel che è rimasto di democrazia in questo paese e, nello stesso tempo, rappresentate anche una delle speranze più importanti, cioè che in futuro si possa finalmente tornare a dare un senso alla parola «democrazia», che appare sempre più vuota.

Credo che oggi i cittadini del mondo si trovino di fronte a una sfida estremamente complessa. Una sfida che non si può rimandare perché in gioco non c’è soltanto il destino dei cittadini, che rischiano di tornare indietro nella storia e ridiventare sudditi, ma anche la possibilità di futuro stesso per il pianeta.

Albert Einstein diceva: «Non so se ci sarà una Terza guerra mondiale, so che la quarta la combatterete con la clava».

L’anno scorso, nel loro rapporto annuale, gli scienziati atomici hanno detto che il rischio di conflitto nucleare non è mai stato elevato come ora. Uno dei più grandi intellettuali viventi, Noam Chomsky, ritiene che un eventuale conflitto in cui si usassero ordigni atomici potrebbe, addirittura, «porre fine all’esperimento umano».

Siamo in una situazione così pericolosa, eppure non se ne parla. Dal mondo della politica arriva solo qualche bisbiglio e questo è preoccupante perché credo che proprio i politici, per primi, dovrebbero dare l’allarme e invitare i cittadini a partecipare di nuovo alla vita politica, a riscoprire vecchie parole.

Oggi, mentre il mondo si militarizza sempre di più, mentre va incontro a un rischio sempre più elevato non si sente più parlare di disarmo, nessuno dice niente.

Credo, allora, che in questa situazione sia estremamente importante cercare di capire davvero la natura della guerra, le sue motivazioni, per uscire dall’empasse in cui ci troviamo.

Vorrei citare ancora Albert Einstein. Nel 1932 si trovava a Ginevra a una Conferenza internazionale sul disarmo in cui si discuteva quali armi fosse lecito usare e quali no, con quali strumenti l’uccidere fosse lecito, con quali altre strumenti invece dovesse essere considerato un crimine, ebbene a Ginevra Einstein fece una cosa straordinaria.

Per la prima e l’ultima volta nella sua vita, convocò una conferenza stampa e disse ai giornalisti: «La guerra non la si può umanizzare, la guerra si può solo abolire!».

Credo che la storia dei decenni successivi gli abbia dato ragione: anche se Einstein non è stato preso sul serio dalla classe politica, di fatto ogni tentativo di rendere la guerra più «umana» è fallito, ogni Trattato, ogni Convenzione che sono stati firmati sono poi stati regolarmente calpestati.

Mentre nel ’32, a Ginevra, si discuteva sulle regole di condotta in guerra, in Germania Hitler vinceva le elezioni in un modo che oggi nessuno o pochi esiterebbero a definire non democratico.

Era in corso il processo di nazificazione del paese, della corsa al riarmo e della preparazione della guerra e, intanto, si discuteva delle regole per la guerra.

Ma chi poi, tra quelli che parteciparono a queste Conferenze internazionali, si ricordò di queste regole al momento della guerra? Assolutamente nessuno. Anzi, proprio in quegli anni, abbiamo assistito al trionfo della disumanità e della barbarie della guerra: c’è stato l’olocausto, c’è stato il lancio della bomba atomica sui civili e ci sono stati bombardamenti a tappeto sulle città, con moltitudini di cittadini inermi che sparivano sotto le bombe di entrambe le parti.

Vorrei ricordare che il presidente americano, Roosevelt, definì «una barbarie disumana» i bombardamenti tedeschi che fecero migliaia di morti civili nella città inglese di Coventry; poco dopo inviò i suoi aerei a massacrare 135.000 civili tedeschi a Dresda.

Oggi, Mussolini e Hitler sono spariti, ma con loro sono anche spariti lo spirito del fascismo e del nazismo? È sparita la logica del razzismo e del militarismo, dell’espansionismo per rapinare risorse, la logica della guerra? Io credo di no.

Dopo il Secondo conflitto mondiale le Convenzioni di Ginevra hanno rappresentato un altro tentativo di definire regole per la guerra, ma anche quelle sono fallite miseramente: nei decenni successivi abbiamo visto milioni e milioni di persone morire ogni anno per la guerra, nell’assoluta indifferenza verso qualsiasi regola.

Non credo che possa stupire l’impossibilità di definire regole per «umanizzare» la guerra: la guerra è un fenomeno contro la natura umana al punto che la guerra esiste solo quando si è deciso di sopprimere la vita umana ed è per questo che non si riesce a umanizzarla.

Adesso si sono tirate giù le maschere, non si parla più di regole per la guerra: dopo Guantanamo e Abu Ghraib sarebbe anche difficile farlo! Oggi si preferisce discutere, invece, delle condizioni per fare la guerra: quando è giusta, quando no, con l’Onu e senza l’Onu, con la Nato e senza la Nato, chirurgica, preventiva… L’Onu sembra essere diventata la nuova parola magica – «C’è l’Onu! Siamo a posto» – ignorando alcuni fatti.

Innanzitutto che i cinque paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono i principali armaioli del mondo che da soli esportano l’85% delle armi.       

In secondo luogo, ignorando che l’Onu di fatto non esiste più da tempo, che non ha più neanche la dignità di convocare un’Assemblea generale straordinaria e proporre l’espulsione di Stati Uniti, Inghilterra e tutti i paesi che hanno aggredito e occupato l’Iraq.

Allora, che senso ha l’Onu quando nessuno la rispetta, quando gli Stati Uniti non la finanziano, ma la controllano? Che senso ha l’Onu quando i membri del Consiglio di Sicurezza sono quelli che mettono a repentaglio la sicurezza dei loro stessi cittadini?

Vogliamo continuare con le illusioni, con le bugie per continuare a giustificare la guerra? Dopo Dio è il re, dopo l’impero è la patria; vogliamo che sia l’Onu la prossima scusa per la guerra, per trascinarci sempre più verso il baratro di cui parlava Noam Chomsky, magari con la benedizione di Kofi Annan o di qualche burocrate che gli Stati Uniti decideranno di mettere al suo posto?

Credo che avesse ragione Einstein: la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire, eppure, appena prima della fine del millennio passato, ci è capitata addosso una nuova forma di guerra, sulla quale vorrei invitarvi a riflettere, la cosiddetta guerra «umanitaria».

Credo che questo sia un non senso logico perché la guerra non può mai essere uno strumento per imporre, ripristinare o garantire i diritti umani, per difendere i diritti degli essere umani adesso è diventata lecita la soppressione degli esseri umani. Per i diritti di chi? Per i diritti di sopravvissuti o per i diritti dei più forti o dei più ricchi? Perché la parola «diritti» ha un contenuto intrinseco che non si può eliminare: o valgono per tutti o sono privilegi.

Forse per nascondere questa realtà è stata coniata un’espressione, una delle più infami e razziste che abbia mai sentito: «effetti collaterali».

Tre milioni di bambini ogni anno lasciano la vita, sono mutilati o feriti, oppure hanno la loro vita devastata dalla guerra… tre milioni di bambini ogni anno sono effetti collaterali!

Noi crediamo, invece, che quelle siano delle persone esattamente uguali a noi in dignità e diritti, come dice la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, non crediamo che possano essere ridotti al prezzo da pagare.

Non ho mai sentito chiamare le tre mila vittime delle Torri gemelle «effetti collaterali» della Guerra Santa, sarebbe stato infame. Quelle vittime, come è giusto e umano che sia, sono state piante. Basta andare al Ground zero per commuoversi immediatamente, perché si vede, si percepisce fisicamente l’affetto intorno a quei tre mila morti.

Tuttavia, almeno dieci mila civili afgani sono morti sotto le bombe statunitensi e inglesi, più di tredici mila civili iracheni sono già morti per questa guerra: abbiamo visto le loro foto, sentito i loro nomi, conosciuto le loro storie, capito il dolore dei loro famigliari? No, sono solo «effetti collaterali».

Credo che sia esattamente questa la follia razzista e neonazista che sta pervadendo il mondo: il credere che esistano cittadini di serie A, ai quali i diritti sono dovuti, e masse sterminate di persone che sono «esuberi», che non sono più esseri umani.

Questa logica si è potuta affermare perché si è affermata l’infame teoria della «guerra umanitaria» e qui non possiamo ignorare il fatto che questa teoria è stata portata avanti, anzi inventata, non soltanto da esponenti di quella che politicamente si chiama «destra».

Il presidente del consiglio dei ministri italiano, ai tempi della guerra in Kosovo, ebbe a scrivere che si prese in considerazione anche l’ipotesi di invio di truppe di terra, ma poi «Si decise di continuare con l’azione aerea integrata dall’intervento umanitario».

Mi rifiuto di pensare non solo che il mio lavoro, il lavoro di Emergency, ma che il lavoro di tutti coloro che cercano di salvare una vita umana sia qualcosa che possa essere «un’integrazione» dei bombardamenti.

Questa cosa ha avuto conseguenze devastanti, innanzitutto nel mondo umanitario perché le organizzazioni umanitarie sono state in buona misura inglobate all’interno del progetto della guerra.

Nel 2001, in Afghanistan, tutte le organizzazioni, a partire dalle più grandi e istituzionalizzate, hanno lasciato il paese immediatamente dopo l’11 settembre.

L’ordine era: «Fuori tutti: adesso è il tempo delle bombe, quando arriverà il tempo degli aiuti ve lo faremo sapere e vi daremo anche i soldi!».

In Iraq l’integrazione tra le bombe e gli aiuti umanitari, o i cosiddetti aiuti umanitari, è stata ulteriormente perfezionata.

Nell’aprile dell’anno scorso sotto le bombe, a Baghdad, si tenevano quotidianamente riunioni di coordinamento degli aiuti presiedute da militari americani.

Emergency si è sempre rifiutata di partecipare a quelle riunioni.

Qual è stato il risultato finale per il mondo umanitario? Oggi nei paesi in guerra la popolazione non capisce più chi è lì a fare cosa, non lo capisce perché anche i militari dicono che sono lì a fare un lavoro umanitario, perché chi è lì a fare la guerra dice che è in missione di pace, perché tutto tende a confondersi.

Alcune organizzazioni umanitarie hanno denunciato che recentemente, in Afghanistan, sono stati lanciati da aerei ed elicotteri dei volantini con la fotografia di una bambina accanto a un sacco di farina, con la scritta: «Se volete continuare a ricevere aiuti, date informazioni sui talebani». Condizionare la distribuzione di cibo alla popolazione civile rispetto alla fornitura di informazioni è terribile.

Questo «processo» ha portato alla drastica riduzione degli aiuti umanitari proprio nelle situazioni in cui sono più necessari, proprio dove c’è bisogno e non si arriva a portare aiuto perché ormai si è diventati un bersaglio.

Ogni occidentale, oggi, è un bersaglio in Iraq, anche il nostro personale in Iraq ha avuto seri problemi di sicurezza per questa ragione, perché ormai non è più chiaro che cosa si stia lì a fare e quindi si è tutti percepiti come nemici.

La teoria della «guerra umanitaria» ha cambiato il mondo umanitario, ma ha cambiato anche la guerra, l’ha resa più disponibile, più giustificabile, meno rivoltante. Si accetta che, in nome dei diritti umani, gli esseri umani possano e debbano venire uccisi.

Varcato questo confine, a mio parere, si è fuori dal campo della ragione umana e certamente al di fuori di ogni forma di civiltà.

Passato questo confine, non stupisce più lo sviluppo della «guerra umanitaria» nella teoria successiva, cioè la «guerra preventiva». Se è giusto uccidere per i diritti umani, perché aspettare?

La guerra umanitaria e la guerra preventiva rappresentano una rottura con la nostra cultura, un tentativo di azzerare il pensiero etico e politico degli ultimi secoli.

Si sono infrante le speranze nate con la fine del secondo conflitto mondiale, le speranze di costruire un mondo basato su regole di convivenza civile.

La nascita delle Nazioni unite, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rappresentano il tentativo di dare regole perché quei massacri non accadessero più; invece oggi ci ritroviamo esattamente in una situazione opposta, in cui tutte le regole sono saltate e andiamo precipitosamente verso un terzo conflitto mondiale.

Perché è successo tutto questo? Credo che sia successo perché i più potenti, i più ricchi hanno deciso di continuare a comportarsi esattamente come facevano prima, per loro non c’è mai stata la liberazione dal nazifascismo, per loro non c’è mai stata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, non c’è mai stata la Carta delle Nazioni unite, hanno continuato come facevano prima, cioè a porsi un solo problema: quanto c’è da guadagnarci?

Ogni volta, infatti, che si nomina la parola «guerra» c’è qualcuno che guadagna cifre da capogiro.

Faccio un esempio: la General motors nel 1929 comprò la ditta tedesca di automobili Opel. Sei anni dopo i gerarchi nazisti, che già si preparavano alla guerra, chiesero alla Opel di progettare un camion per uso militare. Nel 1938, anno della famosa capitolazione di Monaco, le armate di Hitler erano equipaggiate con motori prodotti da una multinazionale statunitense.

Durante la Seconda guerra mondiale, anche dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, la General motors ha continuato a produrre veicoli, carri armati e propulsori aerei per le armate di Hitler.

Sembra fantapolitica, invece è cronaca. Perché, in virtù del loro essere multinazionali, queste aziende possono diversificare quello che producono, così la General motors divide i compiti: la Opel Stati Uniti fornisce motori per l’aviazione americana e la Opel Germania quelli per l’aviazione tedesca e i nostri padri lì sotto a beccarsi le bombe degli uni e degli altri.

Quando l’unico valore è il profitto, non esistono più amici, esistono solo clienti, è l’unica cosa che conta.

Si è perfino arrivati al grottesco quando la General motors, dopo la guerra, ha chiesto e ottenuto un risarcimento dal governo americano per i bombardamenti dei propri stabilimenti sul suolo tedesco.

Non sono i 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo il principio su cui si basa questo mondo, ma un principio molto più semplice: è lecito arricchirsi sempre, comunque, dovunque, senza limiti, senza ostacoli, senza badare ai mezzi.

Se questo è l’unico principio, questo mondo faticherà a continuare a stare in piedi.

Nove milioni di esseri umani muoiono di fame ogni anno, sono 24.000 persone al giorno. Di esse, 11.000 sono bambini. Muoiono di fame, di malattie curabili, di povertà, di guerra, reazioni a catena che si alimentano a vicenda perché la povertà non consente di curare banali malattie, che allora diventano mortali, la povertà conduce alla malnutrizione e poi alla fame, e la guerra, oltre a uccidere, produce nuove povertà.

Nel 2002, 784 miliardi di dollari sono finiti in spese militari, quest’anno saranno molti di più: i paesi più ricchi e potenti fabbricano sempre più armi per la sicurezza dei cittadini, mentre milioni di cittadini muoiono a causa di quelle armi.

I governi comprano devastanti ordigni per la difesa, mentre i cittadini soffrono perché quei soldi non sono spesi per difendere la loro salute, il loro lavoro, la loro istruzione, l’ambiente, la ricerca.

Se i nostri governi hanno speso quei soldi – e l’hanno fatto – allora dobbiamo chiederci se stanno governando per noi o contro di noi.

Fame, povertà, malnutrizione, malattie curabili potrebbero sparire da questo pianeta, potrebbero sparire se soltanto sparisse la logica della guerra.

Credo che davvero avesse ragione Einstein: la guerra si può solo abolire.

Credo che il senso del nostro lavoro sia anche di andare nella direzione opposta, di costruire piccoli frammenti di pace, di immaginare e disegnare le condizioni che facciano diminuire, fino a scomparire, il ricorso all’uso della forza e della violenza.

Penso che questa sia la scommessa più grande che i cittadini dovranno affrontare e presto, se si vuole un futuro per questo pianeta.

Quali sono le condizioni per poter porre fine alla guerra? La prima condizione per un mondo senza guerre è la conquista della giustizia sociale, cioè l’eliminazione di quella forma di guerra quotidiana che è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E vorrei qui ricordare l’11 settembre a Santiago del Cile, nel ’73, quando la Cia, con i soldi della multinazionale delle comunicazioni At&t, organizzò un colpo di Stato e massacrò un popolo che stava avviando una delle più interessanti esperienze di democrazia.

Anche per questo, e non soltanto per il numero dei morti, quell’11 settembre è una tragedia di proporzioni molto più catastrofiche di quella dell’11 settembre 2001.

Sono convinto che dovremmo riflettere molto sull’esperienza cilena di «Unidad popular», perché 30 anni dopo ci troviamo ancora, oggi anche nel nostro paese, in un gravissimo deficit di democrazia. E, senza democrazia, non ci può essere giustizia sociale, né pace.

Credo che la democrazia sia un valore importante che non sia riducibile alla conta dei voti, credo, ad esempio, che una democrazia non fittizia imponga a tutti, a cominciare dai rappresentanti del popolo, il rispetto della Costituzione che è la prima legge del popolo. Invece non succede neanche in Italia.

Noi viviamo in un paese in cui la grande maggioranza dei cittadini, cioè dei governati, è contro la guerra, mentre la maggioranza dei governanti sceglie la guerra.

Io vivo in un paese in cui il Parlamento, nel 2002, ha deciso di aggredire l’Afghanistan con il 92% dei parlamentari favorevoli.

Non è questa, cari compagne e compagni della Fiom, la mia idea di democrazia. La mia idea di democrazia non contempla, anzi esclude a priori, l’uso della guerra per almeno due buoni motivi: innanzitutto perché sono convinto che le vittime siano la sola verità della guerra e, in quanto cittadino italiano, credo di avere diritto di pretendere che la Costituzione del mio paese venga rispettata. Me ne andrei immediatamente dall’Italia il giorno in cui fosse abolito l’articolo 11 che ripudia la guerra e che da anni viene regolarmente calpestato, spesso in modo bi-partisan, come si usa dire oggi.

L’anno scorso, Emergency ha depositato in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare per definire le norme applicative dell’articolo11, perché smetta di essere una specie di «consiglio per gli acquisti» che può essere ignorato.

Saremmo orgogliosi di avere la Fiom al nostro fianco in questa battaglia affinché questa legge sia discussa e approvata, in modo che l’articolo 11 possa finalmente essere rispettato.

E poi, care compagne e cari compagni, la mia idea di democrazia non include la guerra anche perché ogni volta nella guerra c’è una specie di falso in bilancio, di contabilità truccata: non c’è mai un popolo che vince, anche se spesso ce n’è uno che perde. I popoli, i cittadini, non vincono mai perché la guerra è un gioco truccato.

Il prezzo delle guerre l’hanno sempre pagato – e oggi più che mai – i ceti sociali più poveri, anche nei paesi più ricchi e aggressori.

Il presidente Bush ha chiesto 80 miliardi di dollari aggiuntivi al Congresso americano per la guerra e, ovviamente, li ha ottenuti in modo bi-partisan.

Contemporaneamente, sono stati tagliati 74 miliardi di dollari in servizi sociali , il che significa che quella guerra la stanno pagando, al suono di 6 miliardi di dollari al mese, i poveri degli Stati Uniti.

Non solo pagano questa guerra perché rimangono senza servizi sociali, la pagano perché sono sempre i loro figli che vengono mandati a morire, ad ammazzare, a torturare.

Ogni volta che si parla di queste cose, si scatena l’attacco al movimento per la pace dicendo: «A volte la guerra è giusta; a volte è una dolorosa necessità», tutte espressioni che trovo nauseanti, e ogni volta si finisce sempre a parlare di Hitler: «Fosse per voi pacifisti, Hitler sarebbe ancora al potere».

Credo che Hitler non sia stato un prodotto del pacifismo, ma il risultato del persistere della logica di guerra anche dopo la fine della prima guerra mondiale.

Hitler non avrebbe mai potuto andare al potere se non fossero stati massacrati gli oppositori, se il movimento operaio tedesco non fosse stato decimato dai macellai al servizio della classe militare, dei latifondisti e dei grandi magnati industriali.

Loro hanno costruito Hitler e gli hanno consegnato la Germania! Hitler non avrebbe mai potuto scatenare quell’orrenda carneficina che è stata la Seconda guerra mondiale, se prima non fosse riuscito a ridurre i lavoratori tedeschi in schiavitù con salari da fame, privandoli dei sindacati, dei contratti collettivi di lavoro e del diritto di sciopero.

Prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, Bertolt Brecht scriveva: «La guerra che verrà non è la prima, prima ci sono state altre guerre, alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti, tra i vinti la povera gente faceva la fame, tra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente».

La «guerra che verrà» poi è arrivata, la Seconda guerra mondiale: aveva visto giusto Brecht? Io credo di sì: dopo il ’45 a fare la fame sono stati, ancora una volta, i più poveri e i più deboli, sia tra i vinti che tra i vincitori.

E chi paga oggi il prezzo della guerra in Iraq? Dittatori e terroristi? No, ancora una volta sono i cittadini iracheni, costretti a vivere in un inferno, tra un razzo e una mina, tra una bomba ed un’autobomba.

A volere la guerra, a preparare la guerra, a decidere la guerra e a raccoglierne i frutti sono sempre state le classi dominanti, attraverso i propri rappresentanti, e non importa se quei loro rappresentanti venissero di volta in volta chiamati «dittatori» o «presidenti».

Noi di Emergency crediamo che la scelta della guerra rappresenti sempre la più grave forma di violazione dei diritti umani e che sia incompatibile con la democrazia, che la soffochi fino ad annullarla.

Abbiamo bisogno di riflettere su forme e contenuti della democrazia e soprattutto di discutere tra cittadini per definire, di nuovo, i principi su cui vogliamo si fondi la nostra società. Ottenere la giustizia sociale senza ricorrere alla violenza: è questa la sfida più grande che abbiamo davanti ed è urgente affrontarla.

Per costruire una strategia di pace, abbiamo bisogno di una grande unità popolare tra milioni di cittadini che definiscono insieme le condizioni minime, i principi di fondo da rispettare per poterci definire un paese civile.

La democrazia e la civiltà non hanno nulla a che fare né con la guerra, né con la logica della guerra, non hanno a che fare con la rapina economica, né con la sanità privata, non hanno a che fare con la scuola privata, né con l’informazione privata.

Quando i cittadini che lavorano sono costretti a scioperare e a manifestare nel proprio paese per difendere il diritto a una vita dignitosa, per loro e per le proprie famiglie, non si può parlare di civiltà e di democrazia. Non è tollerabile che nel terzo millennio vi siano ogni anno migliaia di morti sul lavoro per i quali – per loro sì – andrebbe fatto un funerale di stato.

Dobbiamo ridefinire i principi irrinunciabili di una società civile e aggregare milioni di persone per una sorta di manifesto del cittadino: in che società vogliamo vivere, su quali principi? Pace, lavoro, sanità, scuola, casa, informazione, ricerca, che cosa vogliamo? Non è difficile dirlo, ma dobbiamo riaffermare le condizioni irrinunciabili per soddisfare il principio dell’uguaglianza dei diritti fra gli esseri umani. E queste condizioni irrinunciabili non possono prescindere dalla giustizia economica.

Come si distribuisce oggi la ricchezza? Ha senso, secondo voi, che tra le attività umane peggio pagate ci siano infermieri e insegnanti e ci siate voi, amici della Fiom? Ha senso un mondo dove un lavoratore meccanico guadagna molto, molto meno del truccatore del presidente del consiglio?

A me pare più sensata una società in cui vengono retribuiti di più quelli che svolgono funzioni socialmente più utili, essenziali per la vita di una comunità.

E se in una società la ricchezza sociale non è ridistribuita in modo equo, non c’è uguaglianza, né giustizia economica.

Perché lo stato spende i nostri soldi in armamenti? Negli ultimi dieci anni l’Italia ha speso mediamente 20 miliardi di euro all’anno per gli armamenti. Sono d’accordo i cittadini su questo? Io credo di no, ma nessuno glielo chiede.

Così ci troviamo in una situazione assurda in cui i cittadini debbono pagare di tasca propria per la casa e per la sanità, per la scuola e per i servizi, mentre la repubblica spende i soldi dei cittadini per gli armamenti, anche contro il volere dei cittadini.

Pace, diritti umani e democrazia sono inseparabili, come inseparabili sono violenza, guerra e terrorismo: non si alimentano a vicenda, sono la stessa cosa, producono gli stessi effetti.

Potessimo chiedere ai cittadini italiani: «Sei a favore del terrorismo?», nessuno risponderebbe: «Sì, sono a favore», ma se chiedessimo: «Sei a favore della guerra?», lì comincerebbero i «distinguo». Sei con l’Onu? Con la Nato? Il terrorismo e la guerra ci vengono presentati oggi come due cose distinte, quindi noi tendiamo a percepirle come due cose distinte.

Quando un leader politico, e non importa di quale schieramento, usa la parola «terrorismo», potete stare sicuri che non intende mai l’operato del presidente degli Stati Uniti.

La parola «terrorista» è riservata agli afgani o agli iracheni o ai palestinesi di turno, mai viene usata per indicare invece chi ha scatenato, voluto, finanziato e diretto quasi tutti i massacri degli ultimi decenni.

Il 6 agosto del 1945 gli Stati Uniti sganciarono la prima bomba atomica sui cittadini del Giappone: 140 mila persone morirono ad Hiroshima immediatamente, altre 130 mila morirono nei 5 anni successivi, altre centinai di migliaia restarono ammalate gravemente o mutilate.

Il giorno dopo, il presidente Truman dichiarò: «Il mondo dovrà ammettere che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare». Le stesse bugie che ci vengono raccontate oggi.

Io credo che la bomba atomica sia stato uno dei più atroci atti di terrorismo della storia e credo che non ci potrà mai essere una guerra al terrorismo perché la guerra è terrorismo, come il terrorismo è guerra.

E credo che non sia, in fondo, così importante se un essere umano muore per un razzo, per una mina o per una bomba, l’importante è che un essere umano è morto.

Finché non saremo capaci di capire e di accettare, di assimilare che quell’essere umano che è morto, chiunque egli sia, è uno di noi, il razzismo e la logica della guerra continueranno a imperversare. Finché non saremo capaci di fare questo passaggio culturale continueranno i massacri più orrendi, perpetrati da questo dittatore o dal quel presidente, ciascuno per le sue ragioni, che poi sono le stesse: rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Mujaheddin, terroristi di Al Qaeda, terroristi della Cia, non fa una gran differenza: la guerra, il terrorismo, il razzismo e la violenza, l’ingiustizia sociale e quella economica sono soltanto modi diversi di esistere del vero «mostro» che abbiamo davanti, dell’unica guerra che vale la pena di combattere, la guerra per sconfiggere in modo non violento lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Lo so, cari compagne e compagni, questo è un sogno antico, un sogno che ha tanti sapori in questa città, ma è un problema di oggi se vogliamo garantire e garantirci un futuro, è una sfida urgente e non più procrastinabile.

Non sarà facile, ma in questo cammino Emergency sarà sempre al vostro fianco, cari amici e compagni della Fiom.