1946 - IX Congresso nazionale, 5/9-dicembre, Torino

 

Dopo 22 anni terribili, cominciati con il regime fascista e terminati con la Seconda guerra mondiale, la Fiom, sei mesi dopo la proclamazione della Repubblica, tenne il suo nono congresso – il primo unitario, dopo la firma del “Patto di Roma” del giugno 1944 – forte di 638.697 iscritti, con un tasso di sindacalizzazione che sfiorava l’80%.

La relazione di apertura fu di Giovanni Parodi che subito dopo la guerra, con Arturo Chiari e Marco Pinna, ebbe il compito di riorganizzare la Fiom e portarla a questo Congresso. Chiari, invece, tenne la relazione di “indirizzo” nel quale si stabiliva che l’obiettivo primario era il contratto unico operai-impiegati e che i costi e i sacrifici della ricostruzione dovevano gravare non solo sui lavoratori ma anche, e soprattutto, su quelle forze imprenditoriali, economiche e finanziarie che, nonostante la guerra, conservavano grandi possibilità, soffermandosi infine sul futuro ordinamento sindacale da discutere nell’assemblea costituente.

Si tennero poi altre relazioni: sui problemi delle donne, dei giovani e su quelli della protezione sociale (malattia, infortuni e pensioni). Infine venne approvato il nuovo Statuto che trasforma la Fiom da Federazione italiana operai metallurgici in Federazione impiegati e operai metallurgici.

Le conclusioni furono di Giuseppe Di Vittorio che, all’inizio del suo intervento, presentò a nome della Cgil la candidatura a segretario generale di Giovanni Roveda, all’epoca sindaco di Torino, che sarà poi ratificata dal nuovo Comitato centrale.