Assemblea Nazionale 15-16 gennaio 2004 Riccione
Documento sulle politiche industriali e dell'occupazione 1. La crisi finanziaria e speculativa di molti grandi gruppi industriali, fino al collasso della Parmalat, non costituisce un caso particolare, ma solo la forma estrema di un vasto declino del sistema industriale e produttivo del nostro paese. In questi anni le imprese industriali hanno portato al meccanismo della globalizzazione finanziaria tutte le proprie debolezze e tutti i propri difetti. Le risorse rastrellate con la produttività del lavoro e la compressione dei costi non si sono tradotte in investimenti e in crescita qualitativa. E’ diminuito il peso complessivo delle grandi imprese, mentre quelle piccole e medie in molti casi hanno mancato l’obiettivo della crescita. L’Italia si è ritirata da decisivi settori strategici e a più alta tecnologia, diventando sempre di più importatrice di beni e servizi di alta qualità. La Confindustria, senza alcun accento critico sulle proprie scelte del passato, ha accentuato l’attacco ai diritti del lavoro e ha chiesto un’ulteriore riduzione della tutela sociale e dei diritti, per finanziare così la competitività delle imprese. Il Governo ha sposato questa linea degli industriali e ha scelto di favorire la competizione sui costi attraverso l’attacco ai diritti. In questo modo si sono estremamente aggravate contraddizioni e ritardi che vengono da lontano, per la responsabilità sia di scelte politiche che delle imprese. Per queste ragioni la crisi industriale va affrontata con un approccio radicalmente diverso da quello sinora dominante. Va prima di tutto salvaguardata la dimensione industriale del paese e quella delle grandi imprese. Questo significa in primo luogo impedire lo smantellamento della Fiat e dei suoi principali stabilimenti industriali, conservando in Italia una industria automobilistica indipendente. Questo si deve realizzare anche con l’intervento pubblico nell’azienda. Per le stesse ragioni va mantenuta l’attuale dimensione industriale di Finmeccanica, impedendo la sua divisione in due società, di cui una, quella delle produzioni civili, destinata alla frantumazione sul mercato, e l’altra, pubblica, destinata solo alla produzione militare. Vanno ridefinite le politiche industriali, occorrono piani di settore, bisogna ripristinare la funzione d’impulso e anche gestionale dell’intervento pubblico, occorrono vasti programmi di investimento finanziati pubblicamente e dal sistema delle banche, che deve essere chiamato a rispondere delle gravi responsabilità assunte sulla crisi industriale e deve essere più direttamente coinvolto nella ripresa dello sviluppo. Una crescita dei redditi dei lavoratori dei pensionati è indispensabile per superare la stagnazione economica, l’aumento dei salari reali diventa così obiettivo da perseguire anche ai fini della ripresa dello sviluppo. Il Mezzogiorno deve diventare una grande leva per lo sviluppo economico sociale e civile del paese. Bisogna respingere le tentazioni alla frantumazione territoriale, il federalismo fiscale, le gabbie salariali. Vanno contrastati con forza tutti i disegni economici e sociali che vorrebbero mettere il Mezzogiorno in competizione con i paesi a più basso costo del lavoro, condannandolo a una condizione di distacco dal resto del paese. Vanno definite nuove regole di controllo sul sistema finanziario con autorità e legislazioni adeguate. Diventano ancora più necessarie forme di tassazione che frenino la speculazione finanziaria, quali la Tobin-tax. Occorre affermare la legalità, sia di fronte alla criminalità economica, sia di fronte a quella organizzata di tipo mafioso. La legalità è una condizione fondamentale per uno sviluppo equilibrato e giusto. Vanno affermati, ovunque sia necessario, “protocolli di legalità” nella gestione e nel funzionamento delle imprese. Senza una rottura di continuità con il
passato il sistema industriale italiano è condannato a subire il declino, il
degrado, i guasti della speculazione finanziaria e le tentazioni più brutali
della delocalizzazione. Una nuova politica industriale con largo spazio
all’intervento pubblico è quindi la condizione per riconquistare competitività.
Una nuova politica industriale richiede necessariamente una nuova politica
economica e fiscale, alternativa a quella che si è sinora affermata sotto il
dominio dell’ideologia liberista. In questo quadro è necessario che siano
rimessi in discussione quei vincoli del Patto di stabilità dell’Unione
Europea, che limitano fortemente le possibilità di ripresa equilibrata dello
sviluppo. 2.
Per quanto riguarda gli interventi necessari a tutti i settori, occorre
definire: -
un piano di sostegno agli investimenti alla ricerca e allo sviluppo che
abbia lo scopo di portare la quota di essi sul Pil almeno al 2%. Questo
significa il raddoppio della dimensione attuale degli investimenti in ricerca e
reclama un fortissimo intervento pubblico. -
Un piano per la ripresa industriale del Mezzogiorno,
che favorisca lo sviluppo di un autonomo sistema di imprese, che non sia
il puro decentramento dell’industria settentrionale o delle multinazionali. A
tale scopo gli interventi finanziari, fiscali e a sostegno dello sviluppo,
devono essere fortemente selettivi, mirati ad uno sviluppo sostenibile
nel territorio e volti a valorizzare autentiche capacità imprenditoriali.
Decisivo al riguardo è l’esercizio di adeguati poteri di controllo da parte
dell’autorità pubblica. -
Interventi a sostegno della crescita delle piccole imprese e dei
distretti industriali, con agevolazioni sugli investimenti, sulla ricerca, sul
credito, sulla commercializzazione dei prodotti. Tali interventi dovranno
favorire lo sviluppo delle imprese che intendono collocarsi autonomamente sul
mercato, favorendo la loro crescita dimensionale e l’organizzazione
consorziata della presenza sul mercato. Allo stesso modo andrà favorita
l’autentica impresa artigiana. E’ decisivo per lo sviluppo per la piccola e
media impresa un sistema di interventi in grado di distinguere tra la crescita
imprenditoriale e il puro decentramento della grande impresa. -
Un programma di investimenti strutturali alternativo al progetto
“Grandi opere”, teso a potenziare le infrastrutture esistenti ed in
particolar il trasporto pubblico, quello su ferro, quello per acqua. Prioritario
è intervenire nelle
zone più deboli. -
Una politica energetica fondata sul risparmio e l’ottimizzazione delle
risorse e su forti investimenti per le energie da fonti rinnovabili. Allo stesso
modo di grande rilevanza è l’intervento per promuovere lo sviluppo
dell’utilizzo dell’idrogeno di altre fonti energetiche a minor impatto
ambientale. -
Interventi strutturali sul piano dell’istruzione, della sanità,
dell’edilizia, che definiscano veri e propri programmi di investimento
pubblico o promossi dall’investimento pubblico per il risanamento e lo
sviluppo del sistema paese. 3.
Va ricostruita la programmazione industriale di settore. Questo deve
avvenire attraverso la definizione di tavoli centrali per i principali settori
produttivi, nei quali si affrontino le prospettive, le strategie di sviluppo, i
programmi delle imprese. Questi tavoli saranno anche utilizzati come sede per
affrontare le principali crisi, a partire da quella tuttora persistente
dell’auto, e ove si misurino con assoluta trasparenza tutte le condizioni e le
scelte che sono sul campo. In particolare: -
devono essere coinvolti nei tavoli di trattativa e confronto tutti i
principali istituti di credito che oggi sono parte integrante del finanziamento
del sistema industriale. -
Le multinazionali devono essere chiamate dal governo, anche coinvolgendo
i paesi di provenienza, al rispetto delle priorità di sviluppo del sistema
industriale italiano. -
Nei settori ove si è da poco formalmente superato il monopolio del
servizio, telecomunicazioni, energia, trasporti ed in particolare quello
ferroviario servizi ecc., occorre definire piani di sviluppo e investimento che
impegnino le grandi imprese, superando la logica di finanziarizzazione oggi
prevalente in tutte le grandi aziende privatizzate. In questi settori va
contrastato con forza il processo di decentramento estremo delle produzioni,
realizzato attraverso il meccanismo del sub-appalto e delle esternalizzazioni.
Va riaffermata la responsabilità delle grandi imprese su tutta la filiera del
lavoro da esse organizzato e va ricostruita la funzione industriale e il ruolo
di servizio pubblico delle grandi imprese di servizio. -
Occorre definire uno spazio strategico per l’intervento pubblico,
favorendo un modello di investimento che garantisca la continuità dei sistemi
industriali, evitando il rischio del loro smantellamento. Non si tratta solo
della Fiat, ma di ridefinire un metodo per il quale la conservazione e il
rilancio di industrie strategiche richiede, ove necessario, un intervento
strutturale del capitale pubblico nella gestione delle imprese. Va sottolineato
che intervento pubblico non è solo quello dello stato, ma, come in grandi paesi
europei, può essere quello delle regioni, degli enti locali, delle aziende
pubbliche. - Le varie fasi del confronto dovranno coinvolgere anche le istituzioni regionali e locali. Con il concorso di tutte le istituzioni dovranno essere definiti piani industriali di settore per i principali settori produttivi, con precisi obiettivi di investimento ed occupazionali. -
Il governo italiano deve intervenire nelle sedi dell’Unione Europea
sostenendo le priorità industriali dell’Italia,
al fine di affermare in quella sede le ragioni dello sviluppo del paese. 4.
I programmi di sviluppo industriale vanno collocati in un progetto più
ampio di sviluppo compatibile con i limiti ambientali e con le esigenze sociali
del paese. Investimenti nelle nuove tecnologie, nei nuovi materiali, progetti
integrati di mobilità, programmi di risanamento ambientale, programmi di
valorizzazione delle risorse culturali, devono diventare il quadro nel quale
collocare gli interventi strategici nei settori produttivi e, nello stesso
tempo, le nuove condizione per promuovere domanda e sviluppo. Tali programmi
dovranno essere affrontati in un contesto democratico che coinvolga le regioni,
gli enti locali, le popolazioni, i soggetti e le espressioni della società
civile. 5.
In questo contesto occorre impedire che l’emergenza delle crisi
distrugga risorse non più recuperabili in una fase di ripresa. Bisogna impedire
che le imprese a tutti i livelli si dimensionino al livello più basso possibile
dei loro punti di pareggio, tagliando personale e strutture che poi non
sarebbero più rimpiazzabili, o che potrebbero essere solo sostituiti da lavoro
precario. A tale scopo: -
occorre definire un vero e proprio blocco dei licenziamenti collettivi
fino a una piena ripresa economica in tutto il sistema industriale e dei
servizi. Bisogna contrastare il disegno di sostenere i livelli occupazionali con
il degrado e la precarizzazione del lavoro. In questo senso ogni freno
all’applicazione delle nuove leggi sul lavoro e alla frantumazione delle
imprese per ridurre il costo del lavoro, ha anche una funzione positiva per lo
sviluppo. Occorre aumentare nettamente le penalizzazioni per le aziende che non
assumono vincoli di responsabilità sociale. -
Occorre garantire la continuità di tutti i principali siti industriali e
impedire la chiusura delle imprese. A tale scopo vanno coinvolti tutti i livelli
delle imprese, locali, nazionali, multinazionali. Vanno inoltre sempre
responsabilizzate le strutture di rappresentanza degli industriali su ogni crisi
di sito industriale. -
Va posto un freno, anche con adeguate penalizzazioni fiscali e
contributive, alle operazioni di decentramento, terziarizzazione e
delocalizzazione che comportino disinvestimenti e conseguenze negative
sull’occupazione. In particolare i processi di delocalizzazione debbono essere
sottoposti a un rigoroso controllo pubblico. Si tratta di affermare il principio
per cui l’azienda che eventualmente dovesse delocalizzare è totalmente
responsabile di garantire l’occupazione dei lavoratori coinvolti nel processo.
In ogni caso le imprese devono impegnarsi a garantire i fondamentali diritti del
lavoro nei loro investimenti esteri. Occorre affermare la totale responsabilità
delle aziende decentranti su eventuali crisi nelle imprese terziarizzate, con
l’obbligo per le grandi imprese di farsi carico di tutti i problemi
occupazionali, dei diritti e delle condizioni di lavoro. -
Le misure a sostegno dell’occupazione rivolte ai grandi gruppi
industriali, devono estendersi automaticamente a tutte le imprese coinvolte in
una crisi, compresi gli appalti per servizi, indipendentemente dalla dimensione
d’impresa. 6.
E’ necessario un avanzamento sul terreno delle relazioni sindacali, al
fine di garantire ai lavoratori e al sindacato un adeguato controllo sulle
scelte aziendali. Questo non solo sul piano delle conseguenze occupazionali, ma
anche su quello delle scelte strategiche delle imprese. A tale proposito occorre
in primo luogo ricostruire e riaffermare i poteri di controllo previsti nel
protocollo di relazioni industriali dell’Iri. 7.
Sul terreno della contrattazione con le imprese, ferme restando le
impostazioni e i punti centrali sopra definiti, la posizione contrattuale della
Fiom nelle crisi aziendali e di gruppo si orienterà sulla base dei seguenti
punti: -
vanno respinti i licenziamenti sotto qualsiasi forma, sia come mobilità
obbligatoria, sia come cassa integrazione a zero ore. Non verranno sottoscritte
in ogni caso intese che prevedano i licenziamenti e qualsiasi forma di
obbligatorietà nell’espulsione dei lavoratori dalle imprese. -
Le intese dovranno prioritariamente utilizzare la cassa integrazione a
rotazione e i contratti di solidarietà. Le intese sulla gestione del personale
devono sempre seguire accordi sul programma industriale, la Fiom non
sottoscriverà intese che non si fondino su un convincente piano industriale. -
La gestione dei processi di ristrutturazione dovrà accompagnarsi con
garanzie precise sui programmi di assunzione futura, che escludano le forme più
brutali di precarietà previste dalla legislazione del Governo e che implichino
tutte le forme di controllo sul mercato del lavoro e di garanzia dei diritti
previste dai pre-contratti e dalla contrattazione aziendale. -
Se si realizzeranno intese condivise sul piano industriale e sulla
gestione del personale, la Fiom può essere disponibile a utilizzare come misura
residua la mobilità come accompagnamento alla pensione, a condizione della
esplicita volontarietà della scelta da parte dei lavoratori. Le intese dovranno
comportare l’impegno delle aziende a non effettuare nel futuro licenziamenti
collettivi e riduzioni del personale e della capacità produttiva. Nel caso in
cui le aziende propongano anche l’entrata di nuovi
lavoratori al posto di quelli avviati alla pensione, questi lavoratori
dovranno usufruire della garanzia dell’assunzione a tempo indeterminato. -
Tutti gli accordi sul decentramento e la terziarizzazione delle
produzioni dovranno vincolare le imprese che decentrano alla piena assunzione di
responsabilità sul futuro dei lavoratori trasferiti ad altra azienda. Occorre
definire un quadro rigoroso di controllo sugli appalti e affermare la
contrattazione di sito. -
Nelle aziende con insediamenti transnazionali occorre definire un quadro
di garanzie e di equilibri tra l’occupazione in Italia e quella all’estero. - Gli accordi sulla gestione delle crisi dovranno prevedere un avanzamento nei sistemi di informazione di controllo e verifica sulla ristrutturazione sia per le Rsu che per le organizzazioni sindacali esterne. I piani industriali dovranno contenere come parte integrante un’innovazione democratica nei sistemi di relazione industriale. Riccione, 16 gennaio 2004 Approvato a larga maggioranza con 2 contrari e 2 astenuti |