«Dobbiamo vincere, stavolta»

I metalmeccanici dell'Italia centrale: «Abbiamo ragione, ma serve un obiettivo visibile e praticabile»
Niente picchetti La Fiom: «Non abbiamo bisogno di farli, i lavoratori sono con noi» Dalla Piaggio in carovana a Pisa, tutti chiedono «un contratto vero»

FRANCESCO PICCIONI


Oggi ci si conta. Lo sciopero generale dei metalmeccanici - proclamato dalla Fiom - consentirà di valutare meglio cosa pensano i lavoratori del «pacco» che Federmeccanica e governo da un lato, Fim e Uilm (e il Fismic, l'ex Sida di stretta osservanza Fiat) dall'altro, hanno preparato per loro. Nelle fabbriche del centro Italia ci si prepara, ma lo stato d'animo non è lo stesso dappertutto. A Cassino, per citare un caso limite, non ci sarà nessuno sciopero: lo stabilimento infatti è fermo, e tutti i dipendenti sono in cassa integrazione. Alcuni rientreranno lunedì 18, altri il 27; delle promesse di qualche mese fa (rientreranno tutti») sembra non ricordarsi più nessuno. «C'è molta perplessità - racconta Antonio - perché Fim e Uilm vanno avanti tutelando i padroni, come se niente fosse. La gente si lamenta, ma poi - perlomeno qui - non li penalizza al momento del voto. Specie tra i nuovi assunti, che sentono il ricatto del sistema clientelare grazie a cui hanno trovato un lavoro». E colpa anche della Stilo, un «modello che non tira», neppure in versione multi-wagon. Al rientro, lunedì, troveranno linee tarate per produrre 1100 macchine al giorno, invece delle 1300 di prima della fermata.

Tutt'altra aria nelle regioni «rosse». In Emilia Romagna, giura Pattelli, «lo sciopero riuscirà alla grande; qualche complicazione, complice il bel tempo, potrebbe esserci invece per la manifestazione provinciale». Ma l'adesione è prevista talmente alta che in molte fabbriche le Rsu hanno deciso di prolungare la fermata a otto ore. E Fim e Uilm, cosa faranno oggi? «Ufficialmente non sappiamo nulla - risponde un delegato della Kone - ma in certe fabbriche, come questa, la quota di loro iscritti è veramente minima». Non ci sono problemi di consenso sul perché la Fiom non ha firmato l'accordo e, quindi, si va allo sciopero. Ma i lavoratori chiedono chiarezza «sulle prospettive». Anche dopo l'accordo separato del 2001, per il rinnovo della parte economica nel secondo biennio del contratto, «ci sono stati molti scioperi, ma non si è riusciti a cambiare il risultato». Federmeccanica, in questo, è addirittura sprezzante: «Quindici giorni di casino e poi tutti a lavorare». La domanda della base chiede perciò «un obiettivo visibile e praticabile». Insomma: «Abbiamo ragione, ma come facciamo a vincere?».

Dappertutto ti raccontano dell'«incazzatura» per la «prepotenza di gente che, in minoranza, dice di aver firmato un contratto che ti vincola e tu te lo devi tenere». Sulla richiesta di sottoporre ogni accordo al vaglio e al voto dei lavoratori il consenso sembra davvero unanime. E giù risate, racconta Ermes, quando si sparge la voce che in qualche fabbrica la Fim starebbe volantinando una sorta di scheda con la domanda «Accetti l'accordo economico: sì o no?». «Bella democrazia - dicono in molti - con una croce su un pezzo di carta a caso fatta in mezzo a una strada».

Altrettanto determinati, e preoccupati, in Toscana. Qui gioca anche l'essere stati l'epicentro della contestazione alla Cisl (i fischi a Pezzotta), e si teme che possa esserci «qualche provocazione». Non solo nel senso di «azioni inconsulte», ma di «gonfiamento» strumentale dei piccoli screzi fisiologici in una situazione di conflitto che in parte attraversa - dopo un paio di decenni di «unità sindacale confederale» appena disturbata da Cobas e organismi di base - un corpo sociale, alla base, abituato a considerasi compatto. Un esempio sono proprio gli operai della Perini di Lucca, criminalizzati per i fischi al segretario della Cisl. «Una settimana prima erano stati dipinti come santi per aver donato 500 ore di lavoro a favore di Emergency; poi sono stati trattati come `terroristi'».

La domanda centrale che sale dalla base è comunque ricorrente: «Come andiamo avanti?». La paura è una sola, quella di «dover subire il contratto, anche dopo molte ore di sciopero». Questione di obiettivo, si diceva, ma anche di forme di lotta. Federmeccanica e governo sembrano dare per scontata una raffica di scioperi, ma pensano che i lavoratori si stancheranno presto di sbattere la testa contro il muro dei «no» preparato davanti a ogni richiesta di riaprire il confronto con la Fiom. A livello di azienda, dicono tutti, «le forme più incisive sono quelle articolate». Ma c'è anche il problema di dare visibilità alle lotte («Dell'assemblea nazionale dei delegati fatta a Brescia, in piazza della Loggia, hanno parlato solo il manifesto e pochi altri»). «Innovazione e creatività» si impongono, e qualcosa si sta studiando. Dalla Piaggio, stamattina alle 8 e 30, partirà una «carovana per i diritti, la democrazia e il contratto», con un corteo di auto che raggiungerà Pisa per la manifestazione. Per il momento, però, si sciopera «contro il metodo», perché i lavoratori hanno il diritto di decidere sul contratto che li lega alle aziende. E qualcosa si muove anche a livello legale. Una iniziativa sull'art. 39 della Costituzione (sulla rappresentatività sindacale) e un ricorso secondo cui non sarebbero applicabili agli iscritti Fiom gli aspetti normativi peggiorativi previsti dall'accordo firmato da Fim e Uilm. «Bisogna comunque attrezzarsi per una lotta lunga - dice Faticanti, della segreteria regionale toscana - e inventarsi forme innovative». A favore gioca però l'intreccio con la scadenza referendaria sull'art. 18, che permette di chiarire perfettamente il nesso tra questo «contratto che abolisce il contratto» e la sfera dei diritti del lavoro. Ma che, soprattutto, permette di mobilitare forze e soggetti altrimenti estranei al mondo della fabbrica metalmeccanica.

Tra le preoccupazioni, infine, quelle legate allo stato critico dei rapporti tra sindacati, soprattutto a livello di base. Pezzotta e Angeletti, ieri, tanto per surriscaldare gli animi, hanno espresso il timore di «intimidazioni per impedire ai lavoratori di entrare in fabbrica»; il pensiero corre ai picchetti. «Non ne faremo - rispondono sia il toscano Faticanti che l'emiliano Pattelli - Soprattutto perché non ne abbiamo bisogno: gli impianti resteranno vuoti perché i lavoratori hanno capito cosa sta accadendo. E seguono la Fiom». Che ora ha la responsabilità di trovare la strada per raggiungere quell'obiettivo «visibile e praticabile» che i metalmeccanici hanno la necessità di dover raggiungere.