Gianni Rinaldini, segretario generale Fiom-Cgil

Prima di dire alcune cose anche rispetto a questa iniziativa, che ha un rapporto tra il tipo di piattaforma che abbiamo costruito e la capacità di parlare alla condizione dei lavoratori migranti, voglio fare una considerazione rispetto all’ultimo intervento che poneva una domanda più generale sul contratto, a partire dall’accordo separato sul rinnovo del biennio economico di due anni fa,  agli scioperi generali che abbiamo fatto come Fiom, alla raccolta di firme per la richiesta del voto dei lavoratori su quell’accordo. Si chiede che fine hanno fatto queste iniziative. Io la metto così anche per tentare di essere tra di noi il più chiari possibile. La battaglia che ha aperto la Fiom contro l’attacco al contratto nazionale, la negazione della democrazia e del voto dei lavoratori ha il suo orizzonte proprio nella battaglia contrattuale e nella piattaforma che stiamo costruendo. Su questo, tra di noi, è necessario essere chiari, perché altrimenti si dice, da una parte, che con Fim e Uilm non è possibile più fare niente ecc., e dall’altra che bisogna fare la piattaforma unitaria.

In che senso il problema vive dentro la battaglia della piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale? Primo, nel costruire la richiesta dal punto di vista dell’aumento retributivo non abbiamo preso come considerazione l’accordo separato firmato dagli altri, ma abbaimo assunto come riferimento il differenziale a partire dal gennaio 2001, e cioè le famose 18.000 lire. Secondo, per noi la questione della democrazia e del voto dei lavoratori sulla piattaforma e sull’accordo finale è un elemento di scelta, già compiuta a dir la verità, che per noi è irrinunciabile nel rapporto con i lavoratori, cioè nell’affermazione del fatto che va sancito che esiste un diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori in quanto tali, di votare sulle piattaforme e sugli accordi che riguardano la loro condizione.

Queste due questioni, che sono state alla base della battaglia di due anni fa, vivono per intero nella piattaforma e nella discussione che stiamo affrontando in questa fase. Io penso che la domanda avrebbe avuto un senso più forte se noi avessimo deciso ad esempio di fare una piattaforma unitaria che assumeva come riferimento l’accordo separato fatto dagli altri due anni fa e avessimo rinunciato  all’espressione della democrazia e del voto dei lavoratori per quanto riguarda le piattaforme e gli accordi finali. In quel caso, effettivamente, uno si sarebbe posto la domanda: “Ma allora perché due anni fa noi abbiamo fatto quelle scelte di lotta se poi l’approdo nel rapporto con il contratto nazionale è semplicemente l’accettazione dei nodi di fondo strategici che le altre organizzazioni avevano allora assunto?”.

Io lo voglio richiamare anche come elemento di chiarezza così come c’è un altro aspetto fondamentale che a me interessa richiamare e per il quale, come veniva detto, ci sono posizioni molto diverse tra le varie organizzazioni sindacali. Penso alla precarizzazione.

Detto questo io ho poche cose da aggiungere a tutte quelle che sono state dette qui oggi nei diversi interventi e non è mia intenzione ripercorrere in un incontro di questa natura giudizi che abbiamo già espresso in ripetute occasioni.

Partendo da ciò che rappresenta la Legge Bossi-Fini, per la quale non posso che dare un giudizio totalmente negativo, devo dire che nel corso di questi mesi è cresciuto non solo per merito nostro ma certo anche con un contributo delle organizzazioni sindacali un movimento importante di opposizione a questa legge. Certo la legge è passata ugualmente, ma ci sono, come dire, alcuni elementi di novità introdotti ultimamente, come la disposizione che il lavoratore ha la possibilità di denunciare il padrone che non chiede il riconoscimento e la legalizzazione.

Io so che ci sono molte Camere del lavoro che in questi giorni sono praticamente invase, molte apriranno anche nella giornata di domani (domenica) perché c’è un afflusso da parte di lavoratori e lavoratrici per questa nuova disposizione. Però rimane inalterato l’impianto della Legge Bossi-Fini sul quale il giudizio è altamente negativo, non cambia il quadro di un’operazione che mantiene caratteristiche di discriminazione, cartteristiche non accettabili da parte nostra sul piano dei diritti ecc. Così come abbiamo espresso un giudizio sui centri di permanenza e sul loro significato che richiamo perché è uno degli altri elementi su cui, anche in questa fase, si vanno costruendo iniziative, manifestazioni – è preannunciata per la fine del mese una manifestazione che si svolgerà a Torino, a cui noi come Fiom abbiamo dato la nostra adesione.

Noi abbiamo quindi un quadro generale che qui è stato richiamato e che fa parte della nostra iniziativa. C’è un elemento che voglio sottolineare, rispetto alla situazione che è composta da tutte queste cose: una piattaforma per il contratto è in grado di dire qualcosa, di incidere, rispetto alla condizione di vita dei lavoratori migranti oppure no? Noi, nel costruire la piattaforma, abbiamo fatto una scelta, che sta poi alla base dell’incontro di oggi; abbiamo fatto una scelta che non sta soltanto nei capitoli specifici riferiti soltanto alla condizione dei lavoratori migranti, non sta solo nelle tre o quattro questioni che sono immediatamente riferite alla condizione dei lavoratori migranti, dalla possibilità del cumulo per quanto riguarda l’utilizzo della banca ore, dell’utilizzo dei permessi rispetto alla questione delle festività ecc. ma è proprio l’asse stesso della piattaforma che propone e tenta un’operazione di ricomposizione a fronte di un processo che è quello della precarizzazione di massa che trova nella condizione dei lavoratori stranieri, nel rapporto con la Legge Bossi-Fini, uno degli elementi di attacco, io direi, fondamentali che, in qualche modo, nell’operazione sui lavoratori stranieri prefigura una condizione generale dei lavoratori su questo versante. Con questo intendo dire che quando il contratto di soggiorno è direttamente legato al posto di lavoro e quando il non rinnovo di un rapporto di lavoro a tempo determinato e comunque di un rapporto di lavoro che non sia quello a tempo indeterminato, è direttamente legato alla propria condizione di vita generale, perché dietro questo c’è il rischio non solo del posto di lavoro ma dell’espulsione, noi siamo in una condizione in cui abbiamo una parte di lavoratori – che oramai sono una parte consistente anche nelle industrie metalmeccaniche – che sono nella totale assenza di qualsiasi diritto e nella impossibilità, sottoposti a un ricatto assoluto che associa rapporto di lavoro e condizione di vita complessiva, di poter intervenire sulla propria condizione lavorativa.

Darci come obiettivo che dopo 8 mesi vanno superati i contratti di lavoro temporanei con il passaggio a tempo indeterminato ha un valore di carattere generale, per l’insieme dei lavoratori, e nello stesso tempo, io la dico così, è un pugno in faccia rispetto alla filosofia della Legge Bossi-Fini per quanto riguarda i lavoratori stranieri. Perché dentro questa operazione di ricomposizione a partire in questo caso dalla sicurezza per quanto riguarda il rapporto di lavoro, tu introduci un elemento che è dirompente rispetto a tutta la filosofia che oggi viene avanti non solo sulla Bossi-Fini – Treves parlava della delega sul lavoro che è in discussione in Parlamento ecc. – che punta viceversa a un processo di frammentazione e precarizzazione di massa della condizione dei lavoratori dipendenti.

Però un obiettivo di questo genere, che è ambizioso, è una cosa diversa, opposta da chi sceglie invece di fare la piattaforma mettendoci gli enti bilaterali per gestire il rapporto tra domanda e offerta. E’ una cosa totalmente diversa e opposta da quella di chi pensa che in una piattaforma va chiesto un ente bilaterale da gestire assieme tra sindacato e associazioni imprenditoriali per gestire l’incrocio tra domanda e offerta, che concretamente vuole dire che tutto quello che ci sta arrivando addosso quando uno cessa il rapporto a tempo determinato o interinale o a chiamata ecc. ecc., entra dentro questo ente bilaterale che diventa l’ufficio di collocamento. Credo che ci sia qualche differenza. Certo che nello scegliere l’altra strada e darsi un obiettivo così ambizioso come la lotta contro la precarizzazione, o noi siamo in grado di mettere in movimento in primo luogo i giovani, quelli che vivono nella condizione di precarietà e che sono immediatamente colpiti da quei processi o noi questa battaglia difficilmente saremo in grado di reggerla e, come dire, di passare su un aspetto che oggi è decisivo nell’organizzazione del lavoro, sia nelle imprese e sia come organizzazione sociale complessiva.

Ora, in questo ragionamento, c’è anche per noi un salto di qualità rispetto alle esperienze fatte dalla Cgil nel rapporto con i lavoratori migranti. Ora è chiaro che noi a volte semplifichiamo le cose, perché anche tra i lavoratori stranieri ci sono enormi differenze, tra le tante comunità presenti qui da noi, ma il problema è che, anche su questo versante, al di là delle cose positive che abbiamo pur costruito e che abbiamo pur fatto, non è vero che l’insieme dell’organizzazione ha vissuto e vive il rapporto con i lavoratori migranti come un percorso di partecipazione attiva e democratica alla vita dell’organizzazione e alle scelte contrattuali che si compiono. Del resto il numero dei delegati stranieri e il tipo di rappresentanza che c’è al livello dei delegati, anche nel rapporto con gli iscritti alla Fiom, dimostra che non è vero che c’è un rapporto di rappresentanza corrispondente. Noi abbiamo in diverse strutture ormai il 10-15% di lavoratori iscritti alla Fiom che sono stranieri. Quando facciamo gli attivi dei delegati io non vedo in molte realtà situazioni in cui si è favorita la crescita di situazioni che sono quelle di elezioni di delegati nelle rsu di lavoratori stranieri.

In questo c’è il nodo anche positivo, insisto, con il lavoro enorme che è stato fatto – qui veniva richiamato – dalla Fiom e dalla Cgil che, però, non può essere semplicemente ricondotto a un rapporto fondato su quelli che sono gli uffici, gli sportelli, le camere del lavoro invase dai lavoratori stranieri per regolarizzare la loro situazione. Noi come Fiom non dobbiamo assolutamente, rispetto a queste dimensioni del lavoro, pensare a un’operazione che riproduca quella dimensione. Io penso che noi dobbiamo fare, come Fiom, il coordinamento dei lavoratori stranieri a partire dal coordinamento dei delegati dei lavoratori stranieri. Che diventino uno strumento nella vita e nel dibattito della nostra organizzazione, certo in rapporto anche con altre attività che fa la Cgil, che possa permettere a tutti noi di cogliere nelle scelte contrattuali non solo quelle generali ma anche quelle che si compiono a livello aziendale, non solo le battaglie di carattere generale (sulla legislazione ecc.) ma anche le scelte che concretamente si svolgono a partire dalle condizioni di lavoro e quindi dall’affermazione dei diritti e delle tutele nell’esercizio dell’attività lavorativa.

Credo che noi con l’iniziativa di oggi, avendo nell’immediato il rapporto con la questione della piattaforma e degli obiettivi che ci siamo proposti, dobbiamo aprire un fase nei territori e a livello regionale che ci porti a far crescere una struttura nostra che abbia queste caratteristiche e queste dimensioni che diventa una struttura di delegati e di lavoratori migranti della Fiom che in quanto tale diventa parte integrante di tutti i livelli di discussione e di dibattito nelle scelte della nostra organizzazione. Io vedo in questo il senso e l’avvio, lo sviluppo di un percorso che anche con l’incontro di oggi noi dobbiamo ulteriormente sviluppare, perché vedo che per noi questa è uno degli altri aspetti della scommessa decisiva che stiamo facendo sulla piattaforma.

Badate che scegliere come asse centrale, oltre ai capitoli specifici che riguardano la condizione dei lavoratori stranieri, la lotta contro la precarizzazione significa esattamente l’opposto di quelli che sono i processi sociali in atto e che in questo caso riguardano i lavoratori stranieri in termini più espliciti. Fare questo è l’opposto non solo di quello che dice la Confindustria, ma di quello di cui stanno discutendo in Parlamento, di quella delega sul lavoro, oltre all’articolo 18, che Treves richiamava nel suo intervento.

Per affrontare un percorso di questo genere noi ovviamente dobbiamo scommettere a partire dalla condizione e quindi a una attivazione diretta nello scontro che si determinerà nella condizione dei lavoratori che più sono coinvolti, almeno nell’immediato, in processi di questa natura.

Quindi più che delle conclusioni io individuo nella riunione di oggi l’avvio di un percorso che permetta a tutti noi di compiere un salto di qualità in questa direzione nel favorire la costruzione di una struttura Fiom dei lavoratori migranti, dei delegati, che diventi parte integrante della vita della nostra organizzazione e delle scelte che la nostra organizzazione vuole e deve compiere anche nei prossimi mesi.